2 GIUGNO - LE PAROLE DI MATTARELLA
"Non c'è pace senza dignità"
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Il 2 giugno rappresenta una ricorrenza speciale per il nostro Paese. In quella data, 76 anni fa, l’Italia scelse infatti di incamminarsi sulla strada della pace “archiviando le avventure belliciste proprie di un regime autoritario come quello fascista”. Una opzione nel segno della consapevolezza “che venne poi solennemente ratificata nella Costituzione”, ha ricordato il Capo dello Stato Sergio Mattarella nel suo messaggio per la Festa della Repubblica.
Pace, ha specificato ancora, richiamandosi alla stretta attualità di queste settimane, che non si impone da sola “ma è frutto della volontà e dell’impegno concreto degli uomini e degli Stati”, ed è inoltre basata “sul rispetto delle persone e della loro dignità, dei confini territoriali, dello stato di diritto, della sovranità democratica”, e ancora “sull’utilizzo della diplomazia come mezzo di risoluzione delle crisi tra Nazioni” e “sul rispetto dei diritti umani”. Come settantasei anni fa, ha detto Mattarella, “ribadiamo le ragioni che hanno spinto il popolo italiano, dopo le sofferenze di due guerre mondiali e della dittatura, a percorrere il lungo cammino verso uno Stato democratico, i cui valori di libertà, pace, uguaglianza e giustizia diventarono i principi di supremo riferimento”.
Sofferenze che a Roma, dove la giornata istituzionale si è aperta come di consueto all’Altare della Patria, hanno tra i suoi simboli l’eccidio compiuto alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944. A questo evento guarderà uno dei prossimi eventi sotto l’egida del Quirinale: la presentazione del progetto “ViBiA – Virtual Biographical Archive”, in programma martedì 7 giugno mattina presso l’archivio storico della Presidenza della Repubblica. Si tratta di un archivio digitale lanciato nel 2015 e sviluppato dal Museo storico della Liberazione in collaborazione con l’Università Tor Vergata e il governo federale tedesco. Suo scopo primario è quello di ricostruire le storie e i percorsi di vita delle vittime dell’eccidio. Migliaia ad oggi i documenti raccolti e condivisi.
(Foto: Quirinale)
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2 GIUGNO - IL MESSAGGIO DEL PRESIDENTE ISRAELIANO HERZOG
"Italia e Israele, relazioni eccellenti"
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Tra i leader internazionali che hanno inviato al Quirinale un messaggio per il 2 Giugno c’è anche il Presidente israeliano Isaac Herzog.
“Lo Stato d’Israele – vi si legge – apprezza profondamente le sue eccellenti e floride relazioni con la Repubblica italiana, in un’ampia varietà di campi che abbracciano gli ambiti politico, economico, commerciale, culturale, scientifico e tecnologico”. Herzog si dice particolarmente lieto “per la nostra cooperazione bilaterale su questioni relative alla salute negli ultimi due anni, in cui abbiamo condiviso informazioni e approfondimenti conseguiti duramente sulla lotta contro il Covid”. E per il successo conseguito dall’evento “promosso dall’ambasciata d’Israele in Italia nella città di Napoli il mese scorso, incentrato sull’agricoltura del futuro”. Ad essere riunite nell’occasione oltre 100 aziende israeliane e italiane “per discutere di collaborazione nei settori dell’agro-tecnologia, dell’alimentazione e dell’acqua”. Iniziativa, rimarca Herzog, che va nella direzione di un ulteriore rafforzamento del potenziale “per la creazione di un futuro migliore per i nostri rispettivi popoli e la comunità internazionale”. Herzog guarda con sentimenti positivi anche all’imminente visita in Israele del premier Draghi, confidando sul fatto che anch’essa “contribuirà a rafforzare e approfondire ulteriormente il legame tra le nostre due nazioni”.
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2 GIUGNO - IL MESSAGGIO DELLA PRESIDENTE UCEI
Il 2 giugno, Shavuot e la sfida della libertà
Quest’anno la festa della Repubblica, che stiamo celebrando con profondissimo senso di identificazione e partecipazione, è quasi sovrapposta alla festa di Shavuot. Al di là della distanza millenaria nella fissazione delle rispettive date vengono alla mente parallelismi e distinguo su cui condivido l’invito a riflettere.
Entrambe le feste segnano un momento costituente dopo alcune settimane dalla liberazione fisica – quella nazifascista del 25 Aprile 1945 e quella dell’uscita dall’Egitto – completate con la ricezione di un testo indirizzato al popolo che regola la vita di una collettività su un determinato territorio; collettività accomunata intorno ad un nucleo di valori – quello della vita senz’altro tra i più fondamentali, se non l’assoluto primario. Il testo biblico è emanato da D-o e da quel Dio unico che siamo comandati di riconoscere, seguire e di cui fidarci, ma trasmesso e spiegatoci da Mosè; la Costituzione italiana scritta da uomini, senza dubbio di grande cultura e spessore, dopo la fondamentale scelta referendaria della forma repubblicana, anziché monarchica. Scelte entrambe intorno alla quali ricostruire la propria identità nazionale e collettiva, dopo la schiavitù durata 400 anni in Egitto, la guerra e la devastazione fascista nel caso italiano. In questo caso – e su questo occorre riflettere – il popolo italiano si è liberato da un male e dalla schiavitù di un regime che aveva però accettato e sostenuto per moltissimi anni. Non tutti certo, e grazie a quei pochi combattenti antifascisti si è conquistata quella libertà festeggiata alcune settimane fa. C’è quindi una dimensione di corresponsabilità.
La liberazione, quindi libertà, richiede regole di vita e di relazioni, tra singoli e tra istituzioni ed è nostro dovere ricordarcelo ogni giorno. Questo vale per noi come ebrei rispetto al testo biblico, che ha ispirato concetti e istituzioni che le democrazie occidentali hanno maturato solo nel ventesimo secolo dopo la guerra, e che sono oggi anche alla base del testo costituzionale, punto di riferimento per noi tutti come italiani. Ve ne sono altri di aspetti comparativi da approfondire, ad esempio le distinzioni a partire dal concetto di abbinamento o separazione tra stato e religione. Mi fermo non per esaustività della riflessione, che può proseguire, ma per rimarcare quanto con il 2 giugno e la festa di Shavuot siamo responsabilizzati a vivere secondo schemi che tutelano libertà oggi severamente in pericolo e che sono per nulla scontate.
Noemi Di Segni, Presidente UCEI
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IL FESTIVAL DELL'ECONOMIA DI TORINO
L'Italia e le diversità da tutelare
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Quella italiana è una società percepita come profondamente ingiusta, in cui le diseguaglianze crescono su vari livelli e su cui è necessario intervenire. Ma ancor prima, serve studiarle in modo approfondito, discuterne e poi dibattere a livello pubblico sulle possibili soluzioni. E su questo si concentra la prima edizione del Festival internazionale dell’economia in svolgimento a Torino.
“Noi sappiamo di toccare un nervo scoperto. C’è una profonda indignazione per le diseguaglianze presenti nel nostro paese, percepite come maggiori rispetto ad altre realtà", ha sottolineato in apertura di rassegna il suo direttore Tito Boeri. "Per questo siamo qui: per analizzare e discutere su cosa fare per rimuovere le sorgenti di diseguaglianze a partire dalle discriminazioni di genere, etniche, su base razziale, di orientamento sessuale, e così via”.
L’obiettivo del Festival, organizzato dagli Editori Laterza con la collaborazione del Collegio Carlo Alberto e dedicato a “Merito, diversità e giustizia sociale”, è di portare una discussione diffusa su questi temi. Tra questi, ritorna un argomento fondamentale per la convivenza civile e per realtà di minoranza come quella ebraica e valdese: il rispetto della diversità religiosa in uno Stato laico.
A confrontarsi al Festival dell’Economia sulla situazione italiana in merito alle tutele garantite nel nostro paese e i passi ancora da fare il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni e la presidente del Concistoro della Chiesa valdese di Torino Patrizia Mathieu. L’appuntamento, moderato dal vaticanista Domenico Agasso in piazza Carlo Alberto, sarà un’occasione significativa per dare voce, in un palcoscenico internazionale come il Festival che ospita ministri e Premi Nobel, a molte problematiche troppo a lungo accantonate.
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2 GIUGNO - IL RICORDO DELLA FAMIGLIA COLOMBO
Elena e l'infanzia spezzata dalla Shoah,
un'area giochi nel suo nome
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Sfollata a Rivarolo Canavese per sfuggire ai bombardamenti su Torino, la famiglia ebraica Colombo vi trascorse un periodo di relativa tranquillità fino all’otto settembre del ’43. La successiva occupazione nazista del Paese costrinse infatti Sandro, Vanda e la figlia Elena a una clandestinità di qualche settimana interrotta poi in dicembre dall’arresto. I genitori saranno subito deportati e uccisi ad Auschwitz. La figlia di neanche 11 anni sarà invece affidata a una famiglia amica e poi alle cure di un istituto. Ma sarà un rifugio temporaneo: tre mesi dopo i genitori, infatti, dovrà compiere lo stesso tragitto. Anche lei purtroppo senza ritorno. “L’unico caso documentato nella Shoah italiana di un minore che ha dovuto affrontare da solo l’arresto, la deportazione, lo sterminio”, sottolinea il giornalista Fabrizio Rondolino. Sandro era il fratello di sua nonna.
Due le iniziative che hanno ricordato i Colombo nel Comune piemontese. Prima lo svelamento di un totem davanti alla casa di corso Indipendenza dove vissero dal dicembre 1942 al settembre 1943. Quindi l’intitolazione di un’area giochi del parco Dante Meaglia alla memoria di Elena.
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2 GIUGNO - LA CERIMONIA
Mussolini e i vicini scomodi,
una targa per la Memoria
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Una targa ricorda da quest’oggi “I vicini scomodi” di Mussolini. Un segno visivo, svelato stamane sul lungomare di Riccione, in memoria della famiglia ebraica Matatia la cui villa confinava con quella del dittatore fascista e che fu prima perseguitata nei diritti con i provvedimenti antisemiti del ’38 e poi assassinata ad Auschwitz. Qui risiedevano Nissim Matatia, la moglie Matilde Hakim e i figli Beniamino, Roberto e Camelia. I “vicini scomodi”, per l’appunto, locuzione che dà il titolo al libro sulla loro storia scritto alcuni fa da Roberto Matatia.
Con la promulgazione delle leggi razziste, è stato spiegato, Nissim iniziò ad essere convocato con regolarità in questura e sottoposto a minacce di grave entità affinché vendesse la villetta. Resistette fino al novembre del ’39, quando venne espulso dall’Italia in quanto ebreo straniero e ogni suo bene fu affidato a un curatore perché fosse alienato. Così, nel giugno del 1940, la villetta rossa in cui aveva investito i suoi risparmi e le sue speranze cambiò proprietà. Nissim rientrò poi in Italia, clandestinamente, per essere vicino ai suoi cari. E con loro trovò la morte in lager.
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SEGNALIBRO
Le leggi del '38 e la persecuzione economica
I romani non conoscono le bellezze di Roma. Vero. Da romana lo sperimento nelle mie passeggiate quotidiane in centro città. E ne ho avuto ulteriore conferma negli scorsi giorni quando, invitata dal Presidente della Fondazione Museo della Shoah di Roma Mario Venezia a presentare un libro, sono entrata nello splendido Palazzo Besso a Largo di Torre Argentina, sede delle due Fondazioni Ernesta Besso e Marco Besso.
Un sontuoso palazzo ricco di cultura ed opere d’arte, magnificamente ristrutturato e conservato, acquistato dall’ebreo Marco Besso nell’800 – ho subito pensato – non poteva essere cornice migliore per discutere del volume della storica Ilaria Pavan, dedicato a “Le conseguenze economiche delle leggi razziali” (II ed., Il Mulino, 2022).
Sono infatti la Presidente della Fondazione Ernesta Besso, Caterina De Mata e poi lo storico Amedeo Osti Guerrazzi ad accennare a come la Fondazione Marco Besso riuscì a sottrarsi alla liquidazione imposta dal regime fascista grazie alla “arianizzazione” del suo consiglio (ossia alla sostituzione con membri cattolici della famiglia). Stessa sorte non toccò invece alla fondazione Ernesta Besso.
Fabiana Di Porto
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Gli Accordi di Abramo e i suoi sviluppi
 Non è possibile sottovalutare l’importanza degli Accordi di Abramo, stipulati il 13 agosto 2020 tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein – a cui successivamente si sono uniti il Marocco e il Sudan – che ha consentito lo stabilimento di regolari rapporti diplomatici, condizione per accordi economici, culturali e turistici e premessa a loro volta per intese politiche di più ampio respiro.
Ma gli Accordi hanno bisogno – perché finalmente si giunga a un assetto pacifico del Medio Oriente – di un ulteriore sviluppo, di un’ulteriore espansione.
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