Gli Accordi di Abramo
e i suoi sviluppi

Non è possibile sottovalutare l’importanza degli Accordi di Abramo, stipulati il 13 agosto 2020 tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein – a cui successivamente si sono uniti il Marocco e il Sudan – che ha consentito lo stabilimento di regolari rapporti diplomatici, condizione per accordi economici, culturali e turistici e premessa a loro volta per intese politiche di più ampio respiro. Ma gli Accordi hanno bisogno – perché finalmente si giunga a un assetto pacifico del Medio Oriente – di un ulteriore sviluppo, di un’ulteriore espansione, altrimenti rischiano di essere solo un significativo episodio che ha permesso di raggiungere un’intesa con un Paese come il Marocco non solo importante nel quadro del Nord Africa ma dove si trova ancora – fatto ormai raro nel mondo arabo – una rilevante comunità ebraica; o di aver stabilito forti legami economici, culturali, turistici con un Paese – gli Emirati Arabi Uniti – con il quale Israele non è mai stato in guerra e che è a tutt’oggi, insieme a Israele, il Paese più dinamico, da tutti i punti di vista, del Medio Oriente; senza dimenticare il Bahrein, piccolo per estensione ma strategicamente importante. Tuttavia, nonostante questi importantissimi risultati, non si può fare a meno di avvertire che gli Accordi restano incompleti non solo perché ancora non hanno aderito Paesi come l’Oman o il Kuwait ma soprattutto perché senza l’adesione dell’Arabia Saudita questa costruzione resterà necessariamente incompleta.
L’Arabia Saudita è stata ed è oggetto di molte critiche, in particolare per quanto riguarda lo stato dei diritti umani, in particolare la condizione delle donne. Non sappiamo se quanto sostenuto da Matteo Renzi nel suo recente libro “Il Mostro” sia fondato o meno. Renzi ha affermato, tra l’altro, a proposito dell’Arabia Saudita (p. 132), che «quando il programma Vision 2030 sarà realizzato, e al momento l’execution procede spedita, sarà chiaro a tutto il mondo che cosa sta accadendo in quel Paese, un’oggettiva trasformazione di portata storica. Epocale, vedrete, per tutto il mondo islamico». Certo è che l’Arabia Saudita attraversa una fase di mutamento piuttosto rapido, per impulso soprattutto dell’erede al trono Mohammed Bin Salman.
In questa prospettiva va valutata l’importanza dell’accordo tra Egitto, Arabia Saudita e Israele in base al quale l’isola di Tiran passa dalla sovranità egiziana a quella saudita con l’assenso di Israele. Non si può dimenticare che proprio dagli stretti di Tiran partì il casus belli che scatenò nel giugno 1967 la guerra dei Sei giorni che – se da un lato permise ad Israele di liberarsi dall’incombente minaccia egiziana, siriana e giordana che aveva caratterizzato il primo ventennio di vita dello Stato ebraico e di conquistare la sua capitale storica, Gerusalemme – aveva tuttavia lasciato aperti non pochi problemi. L’intesa sull’isola di Tiran mette in evidenza il consolidarsi di un’area di relazioni pacifiche che va oltre gli Accordi di Abramo ma che ne rappresentano, in un certo senso, uno sviluppo.
Sarebbe un’altra manifestazione dell’ironia della storia se proprio dagli stretti di Tiran fosse nato il passaggio per arrivare a un definitivo assetto pacifico del Medio Oriente, dal quale resterebbero esclusi solo il Libano nelle mani di Hezbollah, e la Siria sconvolta dalla guerra civile e condizionata dalla pesante presenza russa. Due situazioni tutt’altro che stabilizzate e suscettibili di cambiamenti anche profondi, se riusciranno a uscire dallo stato di prostrazione nel quale il fondamentalismo islamico e la feroce dittatura di Assad li hanno ridotti. Il Qatar fa storia a sé, per la sua scelta di legarsi all’Iran sciita. Resterebbero infine i palestinesi, in preda alla loro stessa incapacità di accettare la realtà del Medio Oriente quale si è formata nel corso di decenni e che non riescono a prendere coscienza che l’equilibrio del Medio Oriente non ruota più, come in passato, intorno alla questione palestinese, che il problema della loro rappresentanza politica non è più al centro delle preoccupazioni degli stessi Stati arabi. La sterilità politica della loro posizione, caratterizzata dal rifiuto di ogni ragionevole accordo di pace fondato sul compromesso, ha finito per stancare la dirigenza di tutti gli Stati arabi, che ormai dedicano alla questione palestinese solo un’attenzione di facciata in occasione delle sessioni dell’Assemblea generale dell’ONU. In realtà sono solo l’ONU e l’Unione Europea che consentono – con l’inutile ripetizione di mozioni e risoluzioni senza alcun effetto pratico se non di tipo propagandistico – ai palestinesi di illudersi di essere ancora al centro del dibattito politico e quindi di non affrontare finalmente con realismo il problema dell’assetto politico della Cisgiordania e di Gaza.

Valentino Baldacci

(2 giugno 2022)

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