DOPO L'ATTACCO TERRORISTICO NELLA CAPITALE D'ISRAELE

"Attentato a Gerusalemme, azione di un singolo.
La città è sicura, forte e accogliente"

Un atto di un lupo solitario, che ha agito in autonomia senza il supporto di nessuna rete. È quanto emerge dalle indagini compiute dalle forze di sicurezza israeliane sull'attacco terroristico che ha segnato la domenica di Gerusalemme. Nelle prime ore del mattino un terrorista - un giovane palestinese con passaporto israeliano residente a Gerusalemme Est - ha aperto il fuoco in due zone della Città Vecchia, ferendo otto persone. Due in modo grave, tra cui una donna incinta, che è stata portata immediatamente in ospedale per un parto d’emergenza. Il neonato, raccontano i media locali, è in condizioni critiche ed è ricoverato in terapia intensiva. Anche la madre versa in condizioni difficili e su di loro si concentra la preoccupazione del paese. “Tutti noi preghiamo per loro e speriamo in una pronta guarigione”, il messaggio del Primo ministro Yair Lapid, che nella riunione governativa di inizio settimana ha fatto un quadro della situazione. “Le forze di sicurezza si sono recate sul posto dell'attacco dopo pochi minuti, e per tutta la notte è stato condotto un inseguimento con la collaborazione dello Shin Bet, delle forze di difesa israeliane e della polizia”, ha spiegato il Premier. La caccia all'uomo, concentratasi nel quartiere di Silwan, si è protratta fino alla mattina, quando il terrorista si è costituito, presentandosi con l'arma usata nell'attacco a una stazione di polizia. Le valutazioni dell'intelligence, ha aggiunto Lapid, portano tutte verso la conclusione che si sia trattato di un attacco solitario. Dunque non vi sarebbe una regia esterna, temuta anche alla luce della recente operazione israeliana a Gaza contro la Jihad Islamica.

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PAGINE EBRAICHE - IL NUOVO LIBRO DI ALBERTO CAVAGLION 

Il mondo ebraico e il richiamo di Dante

Fra Ottocento e Novecento la poesia, la letteratura e in particolare la Divina Commedia assumono un ruolo centrale nella costruzione dell’identità ebraica italiana in un processo di metamorfosi culturale senza precedenti. La conoscenza matura sui banchi delle scuole e raggiunge una sfera che travalica quella degli intellettuali per radicarsi nella coscienza collettiva, come racconta Alberto Cavaglion che al rapporto fra Dante e la cultura ebraica italiana nel suo ultimo libro – La misura dell’inatteso (Viella) – dedica un saggio di grande interesse. “Il numero di traduzioni in ebraico di poeti italiani è impressionante. – scrive – Se ne potrebbe fare un’antologia. La sola ode per Bonaparte di Alessandro Manzoni, Cinque maggio, vanterà decine di traduzioni soltanto in Piemonte. Nulla, in ogni caso, di paragonabile alla fortuna veramente endemica di canti di Dante girati in ebraico”. Non per caso la traduzione dell’intera prima cantica, realizzata da Saul Formiggini con immenso impegno e pubblicata a Trieste nel 1869, innesca un’accesa discussione teorica che chiama in causa sia la correttezza dell’ebraico usato dal traduttore sia il fatto di usare l’ebraico per rendere un poema cristiano. Le altre colonne portanti della maturazione di una rinnovata identità sono Tasso e Manzoni, che nell’Ottocento vanta un numero di traduzioni in ebraico pari o di poco inferiore soltanto a Dante (non i Promessi sposi, ma l’ode Cinque maggio, l’inno a Napoleone che aveva reso possibile quella libertà medesima). Più tardi il confronto si amplierà a comprendere Cuore di De De Amicis, che vanta perfino un’imitazione, un Cuore di Israele firmato da Guglielmo Lattes all’inizio del Novecento, così come il capolavoro di Manzoni si guadagna una riscrittura parodica di Guido Da Verona, libro che ritroviamo anche nella biblioteca di Giorgio Bassani. Nessuno riuscirà però a raggiungere la statura di Dante. Il poeta “diventa oggetto di venerazione, su un alto piedistallo simbolico, come la statua in piazza Santa Croce a Firenze, il suo profilo inizia a confondersi nelle case ebraiche con la copia del Mosè di Michelangelo o il ritratto di Montefiore”. Dante scandisce la stagione felice della conquista della libertà e dei diritti politici e accompagnerà il tempo drammatico delle leggi razziali e della persecuzione. La lezione del poeta risuona con potenza indimenticabile nella scrittura di Primo Levi, ma da Clara Sereni a Giorgio Voghera sono numerosi gli scrittori ebrei italiani che nei versi della Divina Commedia ritrovano il filo prezioso di un profilo culturale condiviso.
 

Gli ebrei emancipati dimenticano l’ebraico, ma scoprono il greco, il latino, poi, soprattutto, Dante. Il primo accesso agli studi profani, la conoscenza della letteratura classica e della filosofia si rafforzano tra i banchi delle scuole pubbliche e coincidono con la scoperta della Commedia. Non è quindi prerogativa dei dotti, che pure avranno la loro parte: Lelio Della Torre, Salvatore De Benedetti, Alessandro D’Ancona, lo stesso Graziadio I. Ascoli.
La funzione maieutica della scuola durerà un secolo: di un Dante «scolastico» ci si innamora nel momento in cui si conquistano libertà e diritti politici; a lui si ritornerà con nostalgia dolente quando si sarà costretti alla fuga, sradicati dalle proprie case. Un viaggio all’ingiù, come scriverà Primo Levi in Se questo è un uomo, in omaggio a un poeta da lui definito Sommo Padre.
Il viaggio all’ingiù in compagnia dei versi danteschi è tuttavia preceduto da un lungo e più sereno viaggio all’insù, durante il quale gli ebrei italiani si appoggiano all’opera dantesca per trovare sostegno nel mare aperto della libertà e dell’eguaglianza. Si attua, fra i banchi scolastici, il primo confronto tra Dante e la Scrittura biblica. Dalla Commedia il dialogo si estenderà poi al confronto con Tasso, Ariosto, Manzoni. Di questa storia, per dimensioni e popolarità, faranno parte Collodi e De Amicis, ma nessuno potrà competere, per intensità e durata, con la forza seduttrice del Sommo Padre; nessuno solleverà eguali palpiti, nessuno entrerà a far parte della vita intellettuale con eguale rapidità, nelle intelligenze più alte, ma anche, e direi soprattutto, nei suoi strati più umili. Intendo dire che non si dovrà volgere il nostro sguardo soltanto in direzione dei professori, dei rabbini che proveranno a tradurre in ebraico qualche canto, ma anche delle persone più semplici, rappresentanti della piccola borghesia che inizia a portare a memoria versetti danteschi con la stessa intensità con cui aveva memorizzato versetti dei Salmi o Massime dei Padri. L’uomo colto, dal canto suo, sa leggere adesso il greco, il latino, e non rimuove l’ebraico. L’elogio del vir trilinguis, ritrovato in un frammento del De vulgari eloquentia («Fuit ergo hebraicum idioma illud quod primi loquentis labia fabricarunt»; «Fu dunque la lingua ebraica quella che mossero le labbra del primo parlante», I, VI, 7) ritorna nei ricordi dei Maestri, ma l’orizzonte di attesa che dobbiamo esplorare è più vasto.

Alberto Cavaglion

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IL CORDOGLIO DEL MONDO EBRAICO E IL RICORDO DEL PADRE GIUSTO TRA LE NAZIONI

Piero Angela e l’esempio di papà Carlo
“Onestà e senso del dovere”

Grande cordoglio, anche nel mondo ebraico, per la scomparsa di Piero Angela. Il protagonista di una luminosa pagina di cultura e divulgazione che il Capo dello Stato Sergio Mattarella ha voluto ricordare nei suoi tratti di “intellettuale raffinato, giornalista e scrittore che ha segnato in misura indimenticabile la storia della televisione in Italia”. E tra tante sfaccettature anche il custode di una storia di salvezza che aveva visto il padre Carlo, medico antifascista, falsificare le cartelle cliniche della casa di cura per malattie mentali che dirigeva a San Maurizio Canavese per accogliervi decine di ebrei perseguitati. “Ha fatto sempre il suo dovere senza mai chiedere niente in cambio”, racconterà il figlio. A ripercorrere quegli eventi un documentario Rai del 2017, “Carlo Angela – Un medico stratega”, con all’interno un contributo della redazione di Pagine Ebraiche. Piero si riallaccerà a quella vicenda anche tra le pagine di un libro, Il mio lungo viaggio, uscito nell’occasione dei suoi 90 anni. Tra le figure menzionate quella di Renzo Segre, la cui testimonianza in forma di diario risulterà decisiva ai fini dell’attribuzione del titolo di “Giusto tra le nazioni” da parte dello Yad Vashem. Onestà, senso del dovere, schiena dritta: questi, dirà Angela, i valori più forti trasmessi dal padre. Un esempio coltivato in una carriera che è stata intensa e meravigliosa. Sia il suo ricordo di benedizione.

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IL CONGRESSO MONDIALE A GERUSALEMME E LA PARTECIPAZIONE DEL MEIS 

Studi ebraici, esperti e studiosi a confronto

Dalla letteratura rabbinica al cinema, dalla demografia alle lingue, esperti e studiosi internazionali si sono incontrati di recente a Gerusalemme per il diciottesimo Congresso mondiale di Studi ebraici. Un appuntamento atteso e prestigioso, aperto dai saluti del Presidente d'Israele Isaac Herzog e organizzato all'Università Ebraica. Questo incontro, ha spiegato in apertura Sara Yanovsky, direttrice dell'Unione Mondiale di Studi Ebraici, è un palcoscenico per discutere delle questioni centrali per l'ebraismo. “Un luogo fertile per lo scambio di idee, opinioni, per presentare nuovi progetti e avviare collaborazioni”. Tra le iniziative raccontante al pubblico di esperti e studiosi raccoltisi a Gerusalemme, anche I-TAL-YA BOOKS, l’innovativo progetto frutto della collaborazione tra Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (BNCR) e Biblioteca Nazionale d’Israele (NLI) per creare, per la prima volta in assoluto, un catalogo unificato di tutti i libri ebraici in Italia. A presentarlo, il direttore del Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah rav Amedeo Spagnoletto. In particolare il direttore del Meis si è soffermato sulla catalogazione del fondo di volumi ebraici antichi donati da Susanna e Daniele Ravenna al museo.

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Un po' più poveri
Piero Angela è passato all’altra riva. Noi siamo un po’ più poveri.
David Bidussa
Il pensiero critico
In tempi deformanti - tali poiché "tutto quello che è solido svanisce nell'aria" (come avrebbe detto il filosofo) - pare sia quasi inevitabile il fatto che una parte di ciò che residua del pensiero critico possa trasformarsi in una sua pantomima. Poiché si ripropone come farsa, ovvero una macchiettista critica al potere nel mentre neanche sa dove si situino per davvero i poteri nell’età corrente e in cosa consistano per davvero. È pensiero critico ciò che evita la polemica strumentale e superficiale, oggi invece molto diffusa, per dare spazio alla riflessione articolata e argomentata. 
Claudio Vercelli
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