Otto per Mille e Cinque per Mille,
un sostegno concreto all'Italia ebraica
“Per l’Italia ebraica, per solidarietà, per il nostro passato, per il nostro futuro, perché basta una firma e non ti costa nulla”. Sono le parole che accompagnano l’invito dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nel rivolgersi alla società italiana in questa stagione di scelte, a destinare il proprio Otto per Mille all’UCEI. Un invito che va di pari passo con quello a sostenere l’ebraismo italiano anche attraverso la destinazione del Cinque per Mille a enti e Comunità.
Una grande festa, in tutti i sensi: festa del libro, dei libri, delle idee e anche festa che si è protratta ben oltre l’orario di chiusura a salutare Nicola Lagioia, che dopo aver diretto per sette anni il Salone Internazionale del Libro di Torino ha ieri sera lasciato alla nuova direttrice editoriale, Annalena Benini, l’onore di annunciare le date della prossima edizione, che si terrà dal 9 al 13 maggio 2024. “In 215.000 attraverso lo specchio” è il significativo slogan della conferenza stampa di chiusura di un’edizione che ha infranto tutti i record: 573 stand e 48 sale, distribuite tra i padiglioni 1, 2, 3 e l’Oval, più il Centro Congressi e la Pista 500, il progetto artistico sviluppato dalla Pinacoteca Agnelli che ha ampliato a quella che era la pista per i collaudi della Fiat gli spazi esterni del Salone. Il numero di visitatori, mai raggiunto prima, ha certificato una volta di più il successo di una direzione che ha saputo allargare gli spazi e sfondare i muri del Lingotto investendo sul Salone OFF – che ha letteralmente invaso gli spazi cittadini con centinaia di incontri in spazi anche non convenzionali – e sulla community digitale, oltre che sull’online.
Tutti gli editori – dai più piccoli, a volte presenti per la prima volta, ai grandi stand dei più noti – hanno visto le vendite crescere di numeri anche importanti, e hanno portato a Torino quella ricchezza e pluralità di idee che Lagioia ha più volte citato, dichiarando anche che “Uno dei segreti del successo del Salone di questi anni è stato l’indipendenza. Tutelatela. Mi rivolgo soprattutto agli editori: siate anche voi i garanti di questa libertà”. Per poi continuare ricordando: “Finisce la mia esperienza di civil servant. Ho fatto quello che ho potuto, ciò che non sono riuscito a fare è mia responsabilità, ciò che di buono si è fatto è merito del gruppo di lavoro. Molto amore. I libri se la cavano sempre”.
Sono rientrate a Trieste Sofia Busatto, Alida Caccia, Diana Drudi, Margherita Francese e Marta Gustinucci, le studentesse dell’Università di Trieste che stanno svolgendo il tirocinio nella redazione giornalistica dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Accreditate come traduttrici – un primo piccolo passo, un riconoscimento normalmente riservato ai professionisti del settore – hanno avuto modo di immergersi nella fittissima programmazione de l’AutoreInvisibile, quella sezione del programma curata da Ilide Carmignani dedicata specificamente alla traduzione. Travolte da un ritmo ben più frenetico di quanto avessero immaginato, hanno seguito incontri, partecipato a corsi professionali e soprattutto hanno avuto modo di confrontarsi con un mondo cui si stanno solo affacciando. Da “Book-Makers”, il progetto che il Salone ha sviluppato in collaborazione con la Scuola del Libro per mettere in relazione scuole e master universitari di editoria e scrittura creativa con studenti e professionisti del settore alla presentazione di “Enigma svedese”, oggetto della tesi di Alida Caccia, al lavoro dal vivo di Francesco Costa per “Morning”, podcast mattutino del Post, a numerosi incontri sugli argomenti più svariati, le giornate sono state più che piene. Ora, con il bagaglio arricchito da un’esperienza in più, sono già nuovamente al lavoro, sia sui libri, per la sessione di esami e lauree che si avvicina, che per la newsletter che esce settimanalmente (anche grazie al lavoro che svolgono per il loro tirocinio) Pagine Ebraiche international.
Dagli espropri del '38 al presente:
il diritto alla casa nel progetto del Meis
“La casa è un nido, una protezione, un luogo animato da ricordi, memorie, abitudini” spiega la filosofa e scrittrice Sara Gomel, intervenendo al Salone del Libro di Torino. È sia un luogo fisico, sia un luogo dell’anima, prosegue. “È tanto importante nelle nostre vite che il filosofo Martin Buber parlava di epoche con o senza casa. Quando non ne abbiamo una, ci sentiamo sradicati, privi di radici, una condizione che diventa esistenziale”. Un tema profondamente attuale, ha evidenziato Gomel, il cui intervento è stato un modo originale per presentare al pubblico del Salone il significato del progetto Remembr-House.
Un’iniziativa didattica, rivolta al mondo della scuola, frutto della collaborazione tra la Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo e il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara che pone al centro appunto la casa. O meglio le case: quelle sequestrate agli ebrei dall’Italia fascista. Espropri che privarono migliaia di ebrei della protezione più elementare, di quel nido descritto da Gomel. Ma anche di parte dello identità e della loro vita. E su questo vuole far riflettere gli studenti il progetto Remembr-House, hanno sottolineato la direttrice esecutiva della Fondazione 1563 Elisabetta Ballaira e il presidente del Meis Dario Disegni. Un lavoro di recupero delle storie dietro questi espropri per capirne l’effetto dirompente, ma anche per interrogarsi sul significato di essere costretti ad abbandonare la propria casa. Il progetto parte dalle carte del Fondo Egeli, custodite nell’archivio storico della Compagnia di San Paolo, che raccoglie gli elenchi dei beni sequestrati agli ebrei in Piemonte e Liguria dopo le leggi razziste.
“Si tratta di una documentazione apparentemente asettica. Sono elenchi di oggetti minuziosamente descritti dai periti e burocrati fascisti. Ma dietro questi elenchi si nascondono molti significati e spunti possibili che toccano anche i diritti fondamentali di oggi” hanno rilevato Erika Salassa dell’archivio storico della Fondazione 1563 e Sharon Reichel, curatrice del Meis.
Dalla famiglia di stampatori Soncino fino agli editori Emilio Treves, Leo Samuel Olschki, Angelo Fortunato Formíggini. Un itinerario nella storia che aiuta a comprendere, attraverso alcune personalità, l’impronta ebraica sulla cultura italiana. Si intitola “Il contributo del mondo ebraico allo sviluppo dell’editoria italiana. Dall’Unità alle leggi razziali” il convegno in corso in queste ore nelle sale del Memoriale della Shoah di Milano, frutto della collaborazione tra Fondazione Cdec, Università Cattolica e il Centro di Ricerca Europeo Libro Editoria Biblioteca.
Una giornata di studi aperta dai saluti del presidente Associazione Italiana Editori Ricardo Franco Levi e del presidente del Memoriale Roberto Jarach. A intervenire nel corso delle due sessioni del convegno – che ha ricevuto la prestigiosa medaglia del Presidente della Repubblica – alcuni dei maggiori esperti di editoria e cultura ebraica.
In un’Emilia-Romagna sconvolta dall’alluvione anche le istituzioni e le realtà ebraiche si stanno mobilitando per sostenere le popolazioni colpite. Tra le iniziative messe in campo, il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah-MEIS di Ferrara si è impegnato a dare un aiuto al mondo di cui fa parte, quello culturale. È stata infatti attivata in queste ore una raccolta fondi da destinare a musei, biblioteche, teatri e altre realtà dell’area danneggiate dall’alluvione. “Siamo addolorati per la perdita di vite e per le ferite inferte alle cose più care come la casa, i luoghi di lavoro e i campi della nostra regione. – ha sottolineato il direttore del Meis Amedeo Spagnoletto – Il Ministero della Cultura è a lavoro per contare i danni e mettere in sicurezza l’inestimabile patrimonio culturale. Come museo solidale alle tante istituzioni che costudiscono importanti collezioni messe a dura prova, iniziamo oggi una raccolta fondi che nel nostro piccolo costituirà un mattone per la ricostruzione e che destineremo ai progetti che il ministero lancerà per le zone alluvionate”.
Yiddish, fascino e avventure
di una lingua senza frontiere
Un pubblico numeroso e attento ha accolto la presentazione del libro “La lingua senza frontiere: fascino e avventure dello Yiddish” di Anna Linda Callow nel salone della Comunità ebraica di Verona. Un evento organizzato dalla Comunità stessa, in collaborazione con la sezione locale dell’Adei Wizo. La presidente della Comunità Anna Trenti Kaufman ha portato il suo saluto ai presenti, mentre chi scrive ha presentato i relatori, sottolineando la rilevanza dell’Yiddish per la storia della Comunità ebraica cittadina, tutt’ora di rito ashkenazita, e ricordando in questo ambito il libro Paris un Wiene attribuito a Elia Levita, traduzione in Yiddish di un romanzo cavalleresco edito da Francesco Dalle Donne nel 1594 a Verona. Lo stesso Elia Levita/Elye Bokher del “Bovo d’Antona “ di cui Callow parla nel suo libro.