Dagli espropri del 1938 al presente, riflettere sul diritto alla casa
“La casa è un nido, una protezione, un luogo animato da ricordi, memorie, abitudini”, spiega la filosofa e scrittrice Sara Gomel, intervenendo al Salone del Libro di Torino. È sia un luogo fisico, sia un luogo dell’anima, prosegue. “È tanto importante nelle nostre vite che il filosofo Martin Buber parlava di epoche con o senza casa. Quando non ne abbiamo una, ci sentiamo sradicati, privi di radici, una condizione che diventa esistenziale”. Un tema profondamente attuale, ha evidenziato Gomel, il cui intervento è stato un modo originale per presentare al pubblico del Salone il significato del progetto Remembr-House. Un’iniziativa didattica, rivolta al mondo della scuola, frutto della collaborazione tra la Fondazione 1563 per l’Arte e la Cultura della Compagnia di San Paolo e il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara che pone al centro appunto la casa. O meglio le case: quelle sequestrate agli ebrei dall’Italia fascista. Espropri che privarono migliaia di ebrei della protezione più elementare, di quel nido descritto da Gomel. Ma anche di parte dello identità e della loro vita. E su questo vuole far riflettere gli studenti il progetto Remembr-House, hanno sottolineato la direttrice esecutiva della Fondazione 1563 Elisabetta Ballaira e il presidente del Meis Dario Disegni. Un lavoro di recupero delle storie dietro questi espropri per capirne l’effetto dirompente, ma anche per interrogarsi sul significato di essere costretti ad abbandonare la propria casa. Il progetto parte dalle carte del Fondo Egeli, custodite nell’archivio storico della Compagnia di San Paolo, che raccoglie gli elenchi dei beni sequestrati agli ebrei in Piemonte e Liguria dopo le leggi razziste del 1938. “Si tratta di una documentazione apparentemente asettica. Sono elenchi di oggetti minuziosamente descritti dai periti e burocrati fascisti. Ma dietro questi elenchi si nascondono molti significati e spunti possibili che toccano anche i diritti fondamentali di oggi”, hanno rilevato Erika Salassa dell’archivio storico della Fondazione 1563, e Sharon Reichel, curatrice del Meis. Attraverso laboratori e un kit per le scuole, Remembr-House accompagna gli studenti nella ricostruzione delle case sequestrate e delle storie di quegli ebrei costretti a lasciarle. Alle singole classi poi sarà affidato di realizzare una propria casa di memoria con la possibilità di partecipare a un contest internazionale che sarà lanciato il prossimo 30 maggio. “Ai progetti migliori daremo una veste tridimensionale e uno spazio pubblico in cui saranno esposti e raccontati”, hanno spiegato Reichel e Salassa.
Intanto i primi spunti su come declinare il concetto di casa sono arrivati da Gomel, che ha citato una frase ricorrente di Etty Hillesum, scrittrice olandese assassinata nel 1943 ad Auschwitz. “Hillesum nei suoi diari più volte scrive che ‘si è a casa ovunque su questa terra se si porta tutto in noi stessi’”. Non più dunque uno spazio fatto di mura reali, ma una casa dell’animo. “Un’idea che ci ricorda come abbiamo veramente diritto alla casa nel suo senso più essenziale: il diritto di potersi sentire al sicuro”.