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23 maggio 2017 - 27 Iyar 5777
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eventi

Salone del Libro di Torino: appuntamento
oltre i confini e oltre le aspettative

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Con 165.746 visitatori, di cui 140.746 al Lingotto e oltre 25mila al Salone Off, cifre più tardi definite “della Questura” da Lagioia, calcolate non solo alle 16 dell’ultimo giorno, quando ancora molti stavano entrando, ma volutamente al ribasso, per essere sicuri di non fare il benché minimo errore, non restano dubbi. Il Salone è Torino, e Torino è il Salone. È stato Massimo Bray, presidente della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura, a prendere la parola per primo – con la traduzione in linguaggio dei segni che ha accompagnato tutti gli appuntamenti principali di questi giorni – ammettendo con grande franchezza di aver iniziato a respirare solo un’ora prima: “Ho passato queste giornate in apnea, dormendo pochissimo. Ora posso dirlo, ora siamo felici”.

Ada Treves

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ACCADDE DOMANI

La prova riuscita del Salone del libro
La cultura italiana riparte da Torino

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Fra poche ora sarà il momento dei numeri. Alla conferenza stampa conclusiva, non appena chiusi i battenti della sua ultima giornata, per il trentesimo Salone internazionale del libro sarà il momento di un primo bilancio. Ma i numeri, tutti lo sanno già, tutti hanno potuto constatarlo di persona in questi cinque giorni roventi di folla e di cultura, smentendo i profeti di sventura saranno molto confortanti. Questa sera sarà piuttosto il momento di tirare un sospiro di sollievo, e di ripartire in corsa.
A un anno di distanza dalla grande crisi e dalla minaccia di chiusura, di smembramento, la città ha reagito chiamando a raccolta la cultura italiana. La risposta è arrivata e non poteva essere più chiara.
Sorride Massimo Bray, presidente della Fondazione per il libro e di Treccani. “Ce l’abbiamo fatta – commenta – e i segnali che sto raccogliendo da tutte le case editrici e dalle istituzioni che hanno partecipato sono largamente positivi”.

gv

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MEMORIA

I tedeschi e il Dopoguerra secondo Primo Levi

img headerMartina Mengoni / PRIMO LEVI E I TEDESCHI / Einaudi

Nel dopoguerra, il rapporto di Primo Levi con i tedeschi fu caratterizzato da una sostanziale lucidità: lo scrittore e testimone non puntò semplicemente il dito accusatore contro gli artefici della barbarie, sentendo invece la profonda esigenza di comprendere, di indagare. Ed elaborando via via il famoso concetto di “zona grigia”, di quell’universo di indifferenza che aveva reso possibile e attuabile la Shoah.
Il saggio “Primo Levi e i tedeschi”, edito da Einaudi nella collana bilingue italiano/inglese Lezioni Primo Levi, curato dalla ricercatrice alla Normale di Pisa Martina Mengoni, indaga proprio questo aspetto della biografia dell’autore di “Se questo è un uomo”.
Fu proprio la pubblicazione in Germania del libro più noto di Levi a creare l’opportunità di una serie di contatti epistolari tra lo scrittore e i suoi lettori tedeschi, lettere importanti al fine di ricostruire uno degli aspetti fondamentali del suo universo intellettuale, e della sua elaborazione anche “filosofica” di quanto aveva drammaticamente vissuto e raccontato. Il libro contiene materiale edito e inedito, e sono molti i passaggi salienti dei carteggi. La prima lettera che Levi scrisse a “un tedesco”, finora totalmente inedita, risale al marzo del 1967, ed è indirizzata al dottor Meyer, uno dei capi del laboratorio di Monowitz dove egli lavorò (e di cui Levi non conservava un ricordo negativo), con il quale era venuto in contatto tramite una conoscenza comune.

Marco Di Porto

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BIOGRAFIE

Sognando di rivedere il tramonto libico
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img headerRaphael Luzon / TRAMONTO LIBICO / Giuntina

“Quindici anni fa lavoravo per la Rai e avevo stretto una forte amicizia con la direttrice americana della Reuters; un giorno cenando insieme le ho cominciato a raccontare la mia vita e lei è saltata sulla sedia. ‘Ma devi farci un libro, un film!’ ha esclamato. Abbiamo iniziato a lavorarci insieme, ma poi il progetto è finito nel cassetto fino a quando Gheddafi mi ha invitato in Libia. A quel punto ho capito quanto fosse importate lasciare qualcosa di scritto alle nuove generazioni. Con l’editore abbiamo deciso di romanzarlo un po’, anche se è praticamente accaduto tutto realmente, e abbiamo cambiato l’ordine cronologico intervallando la narrazione con dei flash che spesso si usano anche nei film contemporanei”. Questa la genesi di Tramonto libico. Storia di un ebreo arabo (Giuntina) raccontata al Portale dell'ebraismo italiano moked.it dall'autore, Raphael Luzon: una vicenda che racconta la storia di una famiglia ebraica di Bengasi, in Libia, costretta come molte altre ad abbandonare casa e affetti nel 1967 – in coincidenza con la Guerra dei sei giorni - e cercare un rifugio al di là del mare a causa dei sanguinosi pogrom commessi dai concittadini arabi. Roma, Israele, Londra e poi di nuovo Libia, come un cerchio che si chiude, Luzon apre una finestra su un mondo ai più sconosciuto: quello degli ebrei di Libia. Laureatosi a Roma in Scienze politiche e con una lunga esperienza nella diplomazia, Luzon ha alle spalle una carriera da corrispondete in Italia per quotidiani israeliani e per la radio dell'esercito, nonché di senior producer per la Rai. Ed è forse anche per questa sua vena giornalistica, per una vita passata a guardare i fatti senza sovraccaricarli di una morale ingombrante, che nel suo libro non si trova risentimento per una terra, la Libia, che lo ha respinto nel più crudo dei modi.

Pagine Ebraiche, maggio 2017 

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MEMORIA

Due bambine e la Shoah 

filosofia

Michelstaedter from Usa

Affinity Konar /
GEMELLE IMPERFETTE / Longanesi



Ammesso che la memoria della Shoah ci interessi ancora, venuti meno i testimoni (per ragioni naturali) e giunti a un'età di rassegnazione i loro figli, essa può aver luogo solo nella trasfigurazione della realtà, nel rendere verosimile una verità; o, se vogliamo, nella creazione della verità artistica credibile perché capace di parlare ai nostri cuori e dirci qualcosa sulla nostra contemporaneità. Creare quel tipo di romanzi e opere d'arte è compito ormai della "terza generazione", dei nipoti dei sopravvissuti. E quanto tenta di fare la trentanovenne americana Affinity Konar nel suo romanzo Gemelle imperfette, molto acclamato dalla critica d'oltreoceano.

Wlodek Goldkorn Repubblica Robinson
21 maggio 201
7

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Valerio Cappozzo / STORIA E STORIOGRAFIA DI  MICHELSTAEDTER / University of Mississippi

È il primo libro negli States sul filosofo di Gorizia, questo "Storia e storiografia di Carlo Michelstaedter", a cura di Valerio Cappozzo, pubblicato ora per i tipi della University of Mississippi. Ma non il primo studio americano su di lui. Nel 1916, sei anni appena dopo il colpo di pistola con cui il ventitreenne Carlo pose fine alla sua vita, quando in Italia erano comparsi solo in poche copie "Il dialogo della salute" e un'approssimativa edizione de "La persuasione e la rettorica”, usciva a Chicago, inaspettatamente sulla rivista hegeliana "The Monist”, un saggio su di lui di Raffaello Piccoli, poliedrico italianista e anglista.

Roberto Di Caro L'Espresso
21 maggio 201
7

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