BIOGRAFIE Sognando di rivedere il tramonto libico

luzon rabinRaphael Luzon / TRAMONTO LIBICO / Giuntina

“Quindici anni fa lavoravo per la Rai e avevo stretto una forte amicizia con la direttrice americana della Reuters; un giorno cenando insieme le ho cominciato a raccontare la mia vita e lei è saltata sulla sedia. ‘Ma devi farci un libro, un film!’ ha esclamato. Abbiamo iniziato a lavorarci insieme, ma poi il progetto è finito nel cassetto fino a quando Gheddafi mi ha invitato in Libia. A quel punto ho capito quanto fosse importate lasciare qualcosa di scritto alle nuove generazioni. Con l’editore abbiamo deciso di romanzarlo un po’, anche se è praticamente accaduto tutto realmente, e abbiamo cambiato l’ordine cronologico intervallando la narrazione con dei flash che spesso si usano anche nei film contemporanei”. Questa la genesi di Tramonto libico. Storia di un ebreo arabo (Giuntina) raccontata al Portale dell’ebraismo italiano moked.it dall’autore, Raphael Luzon: una vicenda che racconta la storia di una famiglia ebraica di Bengasi, in Libia, costretta come molte altre ad abbandonare casa e affetti nel 1967 – in coincidenza con la Guerra dei sei giorni – e cercare un rifugio al di là del mare a causa dei sanguinosi pogrom commessi dai concittadini arabi. Roma, Israele, Londra e poi di nuovo Libia, come un cerchio che si chiude, Luzon apre una finestra su un mondo ai più sconosciuto: quello degli ebrei di Libia. Laureatosi a Roma in Scienze politiche e con una lunga esperienza nella diplomazia, Luzon ha alle spalle una carriera da corrispondete in Italia per quotidiani israeliani e per la radio dell’esercito, nonché di senior producer per la Rai. Ed è forse anche per questa sua vena giornalistica, per una vita passata a guardare i fatti senza sovraccaricarli di una morale ingombrante, che nel suo libro non si trova risentimento per una terra, la Libia, che lo ha respinto nel più crudo dei modi. “Nel libro – raccontava ancora Luzon – inizio a raccontare dei pogrom fatti ai danni della comunità ebraica dagli arabi, ma specifico anche che in quel periodo ad aiutarci furono comunque altri arabi. Quando venni rapito qualche anno fa durante il mio viaggio in Libia sa chi si è battuto furiosamente per la mia liberazione? Sì, proprio gli arabi. Mi rifiuto di generalizzare, di dire che sono tutti cattivi. Io le prove che un dialogo è possibile ce le ho. Gli ebrei sono sempre riusciti ad amalgamarsi armonicamente nei paesi della cosiddetta Mezzaluna fertile e poi nel titolo del libro spiego chiaramente la mia identità: io stesso sono arabo, sono un ebreo arabo”. Nell’intervista a Moked racconterà anche l’incontro con il dittatore Gheddafi, poco prima della sua caduta: “Fu molto rude. Mi chiese cosa volevo ottenere da lui e io gli risposi che volevo avere i miei diritti di cittadino libico. Una mossa che lo lasciò molto colpito: per anni i leader della comunità ebraica libica hanno cercato di ottenere il pagamento dei danni materiali. Io voglio per prima cosa il diritto di ritornare. Il mio auspicio è che davvero riusciremo a organizzarci formando una istituzione centralizzata per lottare per ciò che ci spetta. In primis come cittadini”.

tramonto libicoQuel vuoto lasciato in Libia

Le stime ufficiali parlano di 856.000 ebrei che hanno abbandonato le proprie case, le proprie città, i propri paesi. Ebrei che si sentivano e si definivano “ebrei arabi” perché l’arabo era la loro lingua, perché da secoli, se non millenni, le loro radici erano piantate in quelle terre di sole, deserto e mare che vanno dal Medio Oriente al Maghreb. Iraq, Siria, Iran, Libano, Tunisia, Marocco, Egitto, Algeria, Yemen, Tunisia, Aden, Libia: paesi che avevano grandi comunità ebraiche vive e fiorenti, formate da commercianti, artigiani, rabbini, studiosi, medici, amministratori, comunità di 30.000 o di 150.000 ebrei che oggi non esistono più, frantumatesi nell’esilio seguito alle persecuzioni e alle discriminazioni montate dopo il 1948, dopo la nascita dello Stato d’Israele. Questo libro è legato a una di queste storie, alle vicende degli ebrei di Libia. Ebrei che vivevano in quelle terre prima ancora che venissero chiamate Libia proprio da noi, colonizzatori italiani. Si presume che i primi ebrei siano giunti in quel territorio allora chiamato Barberìa e abitato dai «barbaros», «balbuzienti» (i greci così chiamavano tutte le popolazioni che non parlavano la loro lingua), dopo la distruzione del primo tempio di Gerusalemme nel 586 a. C. Da allora e fino al 1967, anno in cui iniziano le vicende di Tramonto libico, gli ebrei hanno testimoniato ogni nuovo conquistatore, hanno combattuto insieme ai berberi contro gli eserciti di Maometto, hanno contribuito alla crescita della regione durante l’impero ottomano e poi nel periodo di colonizzazione italiana, si sono talvolta mescolati con la popolazione locale con matrimoni e conversioni, ma hanno sempre mantenuto le proprie tradizioni e il legame saldo con la propria fede perseverando nell’osservanza dei precetti religiosi. Un esempio drammatico di quanto l’osservanza fosse radicata tra gli ebrei di Libia è rappresentato dall’episodio della pubblica fustigazione di tre ebrei che si erano rifiutati di tenere aperti i propri negozi di Shabbàt obbedendo al provvedimento fascista che ne vietava l’apertura. All’inizio del ’900 solo a Tripoli si contano ben 44 sinagoghe, indice di una vita ebraica fervente e di una comunità profondamente religiosa. Il periodo fascista portò con sé anche l’onta delle leggi razziali. […] Con lo scoppio della guerra, circa tremila ebrei verranno reclusi in un campo di prigionia e tre uomini, accusati di collaborare con gli inglesi, saranno addirittura fucilati. La situazione di discriminazione durerà no allo sbarco del generale Montgomery, degli alleati e della brigata ebraica che libereranno la Libia dagli italiani. Ma per gli ebrei libici la liberazione non significherà un nuovo periodo di pace. L’ascesa del sionismo e il rafforzamento del panislamismo sprigioneranno le energie latenti e distruttive che covavano nei recessi delle masse arabe e sfoceranno in ripetuti pogrom e attacchi ai quartieri ebraici. Poi, la fondazione dello Stato d’Israele e in seguito la Guerra dei Sei Giorni faranno scoppiare la rabbia araba che porterà a nuovi episodi di sangue e alla cacciata degli ebrei libici dal proprio paese, alla ne di una storia durata più di duemila anni.

Pagine Ebraiche, maggio 2017