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 8 marzo 2018 -  22 Adar 5778
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Orizzonti

Polonia, la lezione dimenticata di Walesa 

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Il 21 maggio 1991 il presidente polacco Lech Walesa, simbolo del movimento Solidarnosc, pronunciò un insolito ed emozionante discorso davanti alla Knesset, il Parlamento israeliano. Si scusò per l'antisemitismo che aveva segnato il passato della Polonia. “Qui in Israele, la terra della vostra cultura e del vostro risveglio, vi chiedo perdono”, disse ad una Knesset formata da molti sopravvissuti ad Auschwitz e ad altri campi di sterminio nazisti costruiti in Polonia. “Vi abbiamo aiutato come potevamo. Molti dei polacchi sono stati gentili Giusti”. Ma riconobbe che "tra noi ci furono anche dei malvagi”. Il Primo ministro israeliano di allora, Yitzhak Shamir, commentando le parole di Walesa disse: “E stato aperto un nuovo capitolo nelle relazioni tra i due popoli”. Lo stesso Shamir, nato in Polonia e i cui genitori furono uccisi durante l'occupazione nazista, due anni prima non aveva nascosto i suoi sentimenti verso i polacchi: di loro disse che succhiavano antisemitismo con il latte materno, aggiungendo che il pregiudizio anti-ebraico era “profondamente impregnato nella loro tradizione, nella loro mentalità”. La visita di Walesa in Israele era la prima di un leader polacco allo Stato ebraico, e la sua missione più importante di fatto era la riconciliazione, sia per la sua nazione che per se stesso.

Pagine Ebraiche, marzo 2018 

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MACHSHEVET ISRAEL

Giacometta, un ricordo in danza

img headerGiacometta (z’l) è stata sino all’ultimo accompagnata dalla grande cerchia degli amici, mi dice, qualche giorno dopo la morte di Giacometta Limentani, Barbara Fabjan, che di quella cerchia faceva parte. Proprio grazie a Barbara ho avuto la fortuna di poter conoscere Giacometta. Fui ospite da lei soltanto due volte, sufficienti a imprimere ricordi e sensazioni che, almeno in parte, mi pare giusto, e utile, condividere qui. Nell’occasione in cui andai, con Barbara, a conoscerla, Giacometta ci offri del the (o era una tisana?) e conversammo per lungo tempo seduti attorno al tavolo in cucina. Parlammo di vari argomenti, da quelli più ‘astratti’, in vario modo inerenti al pensiero ebraico, a quelli più concreti e leggeri, come qualche impressione sulle reciproche comunità, non senza scambiarci alcune opinioni sull’attualità israeliana Poi, certo, alcuni cenni ai suoi ricordi più difficili. Non mi congedò senza mostrarmi, con letizia, alcuni dei lavori di chi fu il suo compagno di vita e marito. Data la disponibilità a raccontarsi, ad esporsi, potevo, per così dire, ricambiare in piccola parte accennando a qualche storia, analoga per le contingenze storiche, di una parte della mia famiglia. Credo che apprezzò perché poi, quando ci risentimmo qualche giorno dopo questo primo incontro, via telefono, non ritornò sui temi, appunto, astratti, che si erano toccati (né a quelli di attualità) quanto, piuttosto, a quelle memorie accennate – non per curiosità, ma perché subito ne aveva colta l’importanza nel mio vissuto personale. Ritornai, appena qualche mese dopo, in occasione di una sua lezione. Sulle pareti del salottino-studio comparivano foglietti esplicativi – ad esempio vi era un foglietto per ognuno dei quattro significati dell’acronimo Pardes. Introduceva al pensiero di Nachman di Breslav – non a caso dato che, come noto, se ne era a lungo occupata. La lezione fu coinvolgente, oltre che interessante. Mi colpirono due cose. La prima, appunto, i bigliettini, i fogli attaccati, in cui, nella mia impressione, si sentiva qualcosa dell’estro, della creatività. La seconda fu il suo richiamo al significato della danza in alcune correnti hassidiche.

Cosimo Nicolini Coen

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società  

Laboratorio di scontento    

La vittoria di Movimento Cinque Stelle e Lega nelle elezioni del 4 marzo è un evento spartiacque nella politica italiana, descrive l'entità dello scontento sociale che alberga nel nostro Paese. E apre la strada ad un governo tanto difficile da formare quanto capace di innescare conseguenze imprevedibili in Europa. L'evento spartiacque viene dal fatto che i governi della Repubblica italiana erano stati finora guidati o condizionati da De, Psi, Forza Italia e Pd ovvero forze appartenenti alle maggiori famiglie politiche europee - popolare e socialista - mentre adesso a vincere sono formazioni di origine differente, la cui legittimazione viene dal rappresentare istanze specifiche - su economia, sicurezza e identità locali - accompagnate da un forte sentimento di sfiducia nelle istituzioni rappresentative. Ovvero, ciò che accomuna i vincitori del 4 marzo non sono le radici nell'Europa del Dopoguerra bisognosa di pace ma nell'Europa della protesta contro gli effetti della globalizzazione iniziata dopo la Guerra Fredda. Lo scontento sociale in Italia si era già affacciato con l'esito delle elezioni amministrative del giugno 2016 - frutto della protesta delle periferie - e la bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre - con una partecipazione record - ma i partiti tradizionali di matrice socialista e popolare hanno chiuso gli occhi davanti all'entità della protesta.

Maurizio Molinari, La Stampa,
8 marzo 2018


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società 

Non dimenticare il Giusto  

Molti mestieri cambiano, si adeguano, si rinnovano. Chi potrebbe vantarsi di usare la tecnica e gli strumenti di 2500 anni fa? Forse non c'è tanto da gloriarsene, ma uno storico lavora sempre allo stesso modo, con un solo attrezzo. Il suo scalpello sono le domande. E il martello, altre domande, che battono e ribattono sullo stesso punto. Per vocazione, per dovere, per missione, lo storico ricerca, interroga le fonti, chiede ai testimoni, vuol vedere con i propri occhi. Historein, chiama Erodoto tutto questo instancabile inquisire. E perché, poi, darsi tanta pena? Non sarebbe meglio decidere una volta per tutte che il dossier delle risposte è abbastanza voluminoso? Perché ricominciare sempre daccapo, una generazione dopo l'altra, con febbrile inquietudine? Gli storici vorrebbero tanto cambiar lavoro, deporre i loro punteruoli aguzzi di dubbi. Ma è la storia che non dà pace, né a loro né a se stessa. E quando il nodo delle incertezze è grosso e aggrovigliato, più fitte fioccano le domande, più difficili e stentate sono le risposte. Proprio nel mezzo della civile Europa, a una manciata di decenni da noi, c'è una voragine che sembra senza fondo. La Shoah è come un cratere che non si riempie mai. «Basta, se n'è parlato fin troppo». L'insofferenza serpeggia ormai da parecchio.




Giulio Busi, Il Sole 24 Ore Domenica,
4 marzo 2018


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shir shishi - una poesia per erev shabbat

Avraham Sutzkever, poesie dal ghetto di Vilna

img headerIn questi giorni ho letto il libro “Il ghetto di Vilna”, del poeta Avraham Sutzkever, un documento straordinario, realizzato nell'ultimo anno della seconda guerra mondiale, tra Mosca e Vilna e destinato al Libro Nero, a cui contribuirono Vassilij Grossman e Ilya Erenburg. Il Libro Nero vide diverse edizioni e fu censurato dal regime sovietico. L'edizione italiana è uscita solo nel 1999 per Mondadori con il titolo “Libro Nero - Il genocidio nazista nei territori sovietici 1941-1945”.
Il testo di Sutzkever, in yiddish, Fun Vilner geto, è uscito in ebraico nel 1947 e la nuova edizione del 2016, include un'interessante prefazione sulla composizione e le peripezie del testo originale. Sutzkever è il documentarista della fine dell'ebraismo lituano; in modo asciutto e per certi versi sereno, indica i fatti, il coraggio delle donne, madri e partigiane, il dolore per i tanti amici morti, ricorda i Giusti e i collaboratori lituani, non giudica il Judenrat e non si vede assolutamente in veste di eroe della resistenza, anche se con Abba Kobner, un altro grande poeta, portò fuori dal ghetto decine di superstiti passando nelle fogne.
Di Sutzkever, morto a Tel Aviv nel 2010, ho già presentato tempo fa la lirica “Il poeta yiddish”, mentre oggi riporto una poesia allegorica sulla forza della resistenza, ritrovata nel corso della mia ricerca di materiali e traduzioni legati alla tragica ed eroica storia del ghetto, i cui abitanti furono sistematicamente assassinati nelle vicine foreste di Ponar.

Il verme tagliato in due diventa quattro, 
ancora un altro taglio e si moltiplicano i quattro,
e tutti questi esseri creati dalla mia mano? 
Torna allora il sole nel mio animo cupo
e la speranza rafforza il braccio: 
se un vermiciattolo non si arrende alla pala,
tu sei forse meno di un verme?
Resiste la mia ragione,
più forte della paura e del dolore. 
Resiste la mia intelligenza,
e più forte dell'ira si dimostra […].

Sarah Kaminski, Università di Torino 

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