I RICORDI DELL'AVVOCATO DELLA COMUNITÀ DI ROMA A 25 ANNI DAL PROCESSO

“Accusare Priebke fu un onore:
mai temuto di non farcela"

“Il ricordo di quel processo non mi suscita alcuna emozione. Ripenso freddamente al passato, e lo valuto come uno dei tanti episodi di lotta all’antisemitismo dei quali mi sono interessato professionalmente e, a volte, stato protagonista. Ero, e sono tuttora, perfettamente convinto che Priebke fosse un criminale. E come tale ho contribuito a farlo condannare al massimo della pena”.
Avvocato di fama internazionale, figlio adottivo di quell’Umberto Terracini che fu a capo dell’Assemblea costituente, Oreste Bisazza Terracini ricorda con Pagine Ebraiche uno dei momenti più significativi della sua carriera: la difesa della Comunità ebraica romana nel processo contro il capitano delle SS, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, che prendeva avvio nella Capitale l'8 maggio de 1996. Venticinque anni fa. “È stata – dice – la sola volta nella mia vita professionale che, costituito parte civile, ho indicato espressamente la pena alla quale l’imputato sarebbe dovuto essere condannato. Questa è una cosa che non faccio mai, ma in quel caso ho ritenuto opportuno farlo, anche per il valore mediatico che l’evento aveva assunto”.
Cosa significò, per lei, accettare quell’incarico? 
Non ho dovuto essere convinto da nessuno. Il presidente della Comunità ebraica mi chiese di farlo, ed io lo feci. Assumere l’incarico non ha comportato nessuna accettazione. È stato un piacere, per me, accusare un simile individuo. Arrogante, con due occhi freddi, glaciali e nessuna forma di pentimento nel cuore.
Inizialmente le cose non sembrarono andare per il verso giusto. Ebbe mai paura di non farcela? 
No. Non ho mai avuto paura di non farcela, anzi ne ero sicuro. La prima sentenza mi lasciò sconcertato. Ma, ricondotti i remi in barca, ho potuto remare fino al pieno successo, che sono riuscito a conseguire. Sapevo che Priebke sarebbe stato aiutato per non patire eccessivamente, e quindi avvertivo che sarebbe successo quello che è poi accaduto, mediante una collocazione detentiva di limitata sofferenza. Ho cercato giustizia, l’ho ottenuta. Non ho cercato vendetta. Probabilmente, avrei potuto ottenere anche quella.
Che sensazioni provò con la condanna all’ergastolo? Cosa ha rappresentato, quel giorno, per l’Italia? E per lei personalmente? 
Non so cosa abbia potuto rappresentare per il mio paese, l’Italia, la condanna di Priebke. Durante un colloquio a casa sua, a Milano, Indro Montanelli si dichiarò contrario alla mia intransigenza processuale. La stima ad amicizia per l’illustre giornalista non mi ha spinto a cambiare opinione ma, credo, che l’opinione della maggioranza degli italiani fosse stata, e tuttora sia, diversa dalla mia.

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YOM YERUSHALAIM DI TENSIONE E SCONTRI

Gerusalemme, le violenze e le parole di Rivlin:
"Città di pace, ma col terrore niente sconti"

Un Yom Yerushalaim all’insegna delle tensioni e degli scontri. La festa in cui Israele celebra la riunificazione di Gerusalemme si è aperta infatti con violenti disordini sulla Spianata delle moschee. Manifestanti palestinesi si sono scontrati in mattinata con le forze di sicurezza israeliana, intervenute per far cessare il lancio di pietre. “Sullo sfondo dei difficili scontri che hanno luogo in questo momento sul Monte del Tempio, vorrei rafforzare e ringraziare la Polizia di Israele e la Polizia di frontiera, per i loro sforzi per mantenere l’ordine e la sicurezza in tutta Gerusalemme. E oggi, più che mai. Lo Stato di Israele rispetta la libertà di culto e continuerà a farlo, ma non tollererà rivolte, attività terroristiche, sostegno al terrorismo”, le parole del Presidente d'Israele Reuven Rivlin. “Gerusalemme è cara a tutti noi, è una città di santità e di pace. Questo è il momento di assicurare che la santità di Gerusalemme sia onorata da tutti coloro che la amano”.
Gli scontri nella capitale sono iniziati settimane fa quando la polizia ha bloccato la piazza fuori dalla Porta di Damasco all’ingresso della Città Vecchia, un punto di ritrovo popolare per i residenti palestinesi di Gerusalemme durante il mese del Ramadan. Le barriere sono state rimosse dopo prolungate proteste, che però si sono comunque trasformate in violenza. Ad aggravare la situazione, una serie di recenti aggressioni da parte di giovani palestinesi contro uomini haredi. Aggressioni riprese e poi pubblicate sul social media TikTok. In questo quadro, si è poi inserito l’annuncio del potenziale sfratto di alcune famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est. Sfratto sospeso e su cui si attende la decisione della Corte Suprema israeliana nei prossimi giorni.

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L'INTERVENTO DELLA PRESIDENTE UCEI 

"Governi siano coerenti: no ad appelli monodirezionali"

Un giorno di festa, Yom Yerushalaim, si è trasformato in un giorno di guerriglia e terrore. E solo per un miracolo, allo stato attuale, senza perdite di vite. Tutto questo ci sconvolge e preoccupa. Anche per il timore che le violenze, non facilmente domabili, si propaghino in altre città d'Israele e dei Territori. Servono, da parte di tutti, massima responsabilità, lucidità e coerenza. Anche da parte dei governi, dei leader e delle diplomazie internazionali. Non è questo il momento per lanciare appelli monodirezionali, esigendo solo da Israele e dalle sue forze di sicurezza qualcosa che non solo è praticamente impossibile ma ingiusto e miope: l'inerzia davanti a chi ha tutto l'interesse ad accrescere il caos, l'odio, la violenza. Atteggiamenti accusatori nei confronti di Israele aggiungono altra benzina sul fuoco. È sconfortante che in questa giornata così significativa, segnata dal ricordo di un fatto di vitale importanza nella plurimillenaria storia ebraica, le celebrazioni debbano essere limitate e soffocate. Che un cittadino ebreo di Gerusalemme non possa circolare liberamente nella sua città, nella sua capitale riunita dopo tanti sacrifici che oggi ricordiamo.

Noemi Di Segni, Presidente UCEI

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LA SQUADRA DI SYLVAN ADAMS RESTA TRA LE MIGLIORI  

Giro d'Italia, Israele ancora in top ten
Per Cimolai uno sprint da protagonista

Un altro promettente piazzamento in “top ten” per la Israel Start-Up Nation. Lo sprint della prima tappa in linea del Giro d’Italia ha visto infatti tra i protagonisti l’italiano Davide Cimolai, alla terza stagione in maglia ISN, nono sul traguardo di Novara. Nono era arrivato anche un altro veterano del team di Sylvan Adams: l’austriaco Matthias Brandle, tra i migliori interpreti della cronometro inaugurale di Torino. Risultati che fanno ben sperare per il prosieguo della corsa, con un occhio rivolto quest’anno non solo alle singole frazioni ma anche alla classifica generale. Il sogno è infatti quello di portare l’irlandese Dan Martin, esperto scalatore e capitano della ISN, sul podio di Milano. Se queste ambizioni avranno ragione di esistere saranno le prime montagne a dirlo. Nel frattempo, in questo primo scorcio di Giro caratterizzato da tappe pianeggianti o con brevi strappi dove i big della corsa difficilmente si daranno battaglia, spazio agli avventurieri di giornata o, in caso di arrivo in gruppo, ai velocisti. La Israel Start-Up Nation punta a dire la sua anche oggi, sul traguardo della piemontese Canale. Il finale si annuncia impegnativo. Quattro ampie curve e un rettilineo in leggera ascesa lasciano aperta la porta alle sorprese. Anche gli sprinter potrebbero essere della partita. E tra loro anche Cimolai, non troppo soddisfatto del nono posto di ieri. Un problema temporaneo alla bicicletta l’ha infatti relegato ai margini del gruppo quando mancavano pochi chilometri alla fine, compromettendo in parte il suo sforzo. “Tornare davanti – racconta – mi è costato molte energie. La notizia positiva è che la mia condizione è buona. Ci riproverò senz’altro”. 

(Nell’immagine Davide Cimolai sul traguardo di Biella)

 

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Giado
Giado è una località a 180 chilometri a sud di Tripoli, dove la Comunità ebraica della Cirenaica corse il rischio di morire in pochi mesi, per malattie, malnutrizione e cattive condizioni di vita in un campo dove fu deportata per ordine di Mussolini. In un solo mese, dal 19 maggio al 21 giugno del 1942, 15 scaglioni di ebrei per un totale 2.527 unità furono deportati con l’accusa di “connivenza” con il nemico. Il campo, una vecchia caserma, era gestito dalle autorità italiane, con la presenza di qualche soldato tedesco e l’ausilio di ascari arabi.
 
David Meghnagi
La nostra Norimberga
Venticinque anni fa, l’8 maggio 1996, iniziava il processo Priebke, che avrebbe portato all’indegna assoluzione per prescrizione dell’assassino delle Fosse Ardeatine da parte del tribunale militare che lo stava giudicando, all’insorgere della Comunità ebraica romana che giungeva quasi ad occupare la sede del tribunale militare, e infine all’intervento risolutore del Ministro di Grazia e Giustizia Flick, che impediva il rilascio dell’ufficiale nazista. Successivamente, Priebke sarebbe stato condannato prima a 15 anni e poi, nel 1998, in appello, all’ergastolo. Un ergastolo dorato, giustificato con la sua età, a domicilio, non senza qualche passeggiata in motocicletta. Noi romani lo ricordiamo.
Anna Foa
Oltremare – Fuoco
Il fuoco brucia, è inutile girarci intorno. E questo vale per tutto quello che riesce a toccare, specie in un paese nel mezzo del Medio Oriente, dove basta una stagione invernale poco piovosa, o uno scirocco primaverile più lungo dei soliti due-tre giorni, per creare le condizioni perfette per incendi incontrollabili.
In questi giorni, dopo il disastro del Monte Meron, la pagina di Wikipedia che descrive l’incendio del Monte Carmelo del dicembre 2010 è stata prontamente modificata.
Daniela Fubini
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