LILIANA SEGRE A PAGINE EBRAICHE

"Destra e fascismo, si inizi togliendo
quella fiamma dal logo del partito"

“Nella mia vita ho sentito di tutto e di più, le parole pertanto non mi colpiscono più di un tanto. A Giorgia Meloni dico questo: inizi dal togliere la fiamma dal logo del suo partito”. È il commento che la senatrice a vita Liliana Segre affida a Pagine Ebraiche in merito alla recente presa di posizione della leader di Fratelli d’Italia sulle responsabilità storiche del fascismo. “Partiamo dai fatti, non dalle parole e dalle ipotesi”, sottolinea ancora Segre.
In un messaggio indirizzato alla stampa internazionale Meloni aveva tra l’altro sostenuto: “La destra italiana ha consegnato il fascismo alla storia ormai da decenni, condannando senza ambiguità la privazione della democrazia e le infami leggi anti-ebraiche”. Parole che stanno suscitando molte reazioni. Ma che se non saranno accompagnate da fatti concreti, fa capire Segre a Pagine Ebraiche, non avranno nessuna consistenza reale.

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PAGINE EBRAICHE - IL NUOVO LIBRO DI ALBERTO CAVAGLION

Il saliscendi della nostra storia

“Noi studiamo il mutamento perché siamo mutevoli”, scriveva il grande storico dell’età classica Arnaldo Momigliano. “A causa del mutamento la nostra conoscenza non sarà mai definitiva: la misura dell’inatteso è infinita”. Prende le mosse da questo passaggio l’ultimo lavoro dello storico Alberto Cavaglion, che in una raccolta di saggi affronta il mutevole rapporto fra gli ebrei e la cultura italiana e ne rielabora le premesse alla luce delle ricerche più recenti. Intitolato La misura dell’inatteso (Viella), il libro descrive un arco cronologico inconsueto. Anziché dal 1848 o del 1861, le date usuali in questo genere di ricognizione, parte dal 1815, l’anno della Restaurazione che reprime la libertà favorita dalla parentesi napoleonica. E invece di concludersi il 25 aprile 1945, come ci si potrebbe aspettare, si spinge fino al 1988, l’anno che segna il cinquantenario delle leggi razziali e sancisce un uso pubblico della storia ormai diventato mainstream. Lungo questa traiettoria, Cavaglion coglie un motivo ricorrente. “Il rapporto fra ebrei e cultura italiana – scrive – possiede un’inquietante circolarità: dal vecchio (le interdizioni delle Regie Patenti) si passa al nuovo (la prima emancipazione napoleonica) per ritornare al vecchio (la Restaurazione di Carlo Felice); segue una nuova risalita (lo Statuto di Carlo Alberto) e nemmeno un secolo dopo si assiste al ritorno dell’antico (le interdizioni del duce) per risalire infine a riveder le stelle il 25 aprile 1945”. Quando lo si rilegge sul lungo periodo, afferma Cavaglion, “l’ipotesi formulata è che il dialogo fra ebraismo e cultura italiana sveli parecchi punti deboli. Il libro cerca di individuarli, spiegando le ragioni per cui il reciproco riconoscimento è stato interrotto o non sia giunto a piena maturazione”. I saggi si articolano in tre sezioni che ruotano attorno a momenti storici precisi: il liberalismo dell’Ottocento e le sue contraddizioni, la ricerca di una solidarietà fra le culture perseguita attraverso la conoscenza dell’ebraico e le traduzioni. Ci si sofferma poi sugli aspetti di maggior rilievo nel rapporto fra gli ebrei italiani e la maggioranza: gli albori del sionismo, il modernismo, l’antifascismo, la battaglia per la libertà religiosa e l’esigenza, da molti sempre più sentita, di “fare i conti con il fascismo”. È un percorso fitto di luci e ombre. Una storia animata da slanci generosi ed entusiasmi profondi, attraversata da personaggi più o meno noti e tragedie indicibili che la scrittura di Cavaglion restituisce in una dimensione di profonda umanità. 

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PAGINE EBRAICHE - IL NUOVO LIBRO DI ALBERTO CAVAGLION

Fare i conti con il fascismo

Quanto è accaduto dal 1988 in avanti nei dipartimenti universitari, nei cataloghi delle case editrici e finanche nelle tesine per il nuovo esame di maturità potrebbe ammutolire un cittadino immaginario che, supponiamo, dall’Italia si fosse assentato sul finire degli anni Settanta e vi ritornasse alla fine all’alba del nuovo millennio. Le leggi razziali sono entrate a far parte dell’uso pubblico della storia. Non necessariamente però la quantità soddisfa le aspettative. Se c’era poco di che rallegrarsi per la penuria di ieri, poco ci si deve rallegrare per la dovizia di oggi. Giacomo Debenedetti riteneva pericolosi – per gli ebrei, ma non soltanto per loro – sia i periodi delle vacche grasse, sia quelli delle vacche magre. Una cosa giusta, auspicava: né troppo grasse, né troppo magre. Da questo equilibrio siamo lontani. Il groviglio di interessi concentrici, i riflettori sempre accesi abbinati ai primi vagiti di un uso della storia hanno finito con il mettere in ombra i progressi compiuti dalla ricerca, che sono stati immensi, ma segnati da curiose zone d’ombra, come per esempio lo strano silenzio sulla non abrogazione della legge del 1930. Sicché due pericoli dovrebbero impensierire chi voglia continuare a occuparsi di questi problemi: sfondare una porta aperta e frastornare lo studente, che invece andrebbe educato a un uso critico e non selettivo delle fonti. Il cambiamento è avvenuto intorno al finire del 1987. Potremmo considerare come terminus a quo la morte di Primo Levi e Arnaldo Momigliano (avvenuta a pochi mesi l’uno dall’altro) e le celebrazioni per il cinquantesimo anniversario delle leggi razziali (1938-1988). Una stagione era al tramonto, un’altra stava per aprirsi. Si pensi alla frase prima mai ascoltata, da allora divenuta rituale: «l’infamia delle leggi razziali». La firma apposta dal re d’Italia sotto i decreti sulla razza ha sorpreso chi come me ricordava che per lunghi decenni casa Savoia fosse stata inchiodata non all’antisemitismo, ma alla sua sudditanza a Mussolini, alla fuga del re a Brindisi. La “moda” delle leggi razziali, che si è vista negli anni Novanta, con apice intorno al 1998-1999, sorretta da uno schieramento di forze mai visto prima (storici illustri, in passato silenti, massime autorità istituzionali, grandi firme del giornalismo, registi), è maturata troppo in fretta per non suscitare qualche sospetto. 

Alberto Cavaglion, La misura dell’inatteso – ed. Viella

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SORGENTE DI VITA

Lisetta Carmi, scatti d'autrice

Si apre con un servizio sulla grande fotografa Lisetta Carmi, scomparsa di recente, la puntata di Sorgente di Vita in onda su Rai Tre domenica 14 agosto.
Nata a Genova nel 1924 in una famiglia ebraica, espulsa dalle scuole con le leggi antiebraiche del ’38, poi scampata alle deportazioni perpetrate durante l’occupazione nazista rifugiandosi in Svizzera con la famiglia, Lisetta Carmi si afferma come fotografa negli anni ’60, realizzando una serie di reportage in Italia e in giro per il mondo. 

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Insegnamento e studio
“Veshinnantam levanekha ve dibbartà bam – e lo insegnerai ai tuoi figli e ne parlerai con essi”(Devarìm cap.6). Nella parashà di questa settimana leggeremo i cardini dell’ebraismo: gli “aseret ha dibberot – i dieci Comandamenti” e la prima parte dello “Shemà Israel – ascolta Israele”.
 
Rav Alberto Sermoneta
28 ottobre '22: il diritto di preoccuparci
È difficile immaginare l’identità di un popolo senza la condivisione di una storia comune. Molte volte gli ebrei durante la traversata del deserto rimpiangevano l’Egitto e la schiavitù, ma alla fine, esaurita la prima generazione, la narrazione della liberazione dall’Egitto come evento da festeggiare ha prevalso una volta per tutte e per sempre. Non è stato fondato nessun partito neofaraonista; nessuno ha mai rifiutato di partecipare a un seder di Pesach dichiarando che in realtà in Egitto si stava meglio; nessuno ha mai sostenuto che non è il caso di festeggiare la liberazione dalla schiavitù d’Egitto perché sono questioni vecchie e superate.
 
Anna Segre
Vacche olandesi
“Abbattete un terzo delle mucche!” sarebbe l’invito o addirittura l’obbligo per gli allevatori olandesi di bovini. Lo si leggeva sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Questo invito più o meno cogente è contenuto nel “Memorandum per le aree rurali” che il governo olandese vorrebbe trasformare in legge “verde” per contrastare “l’inquinamento da deiezioni” di origine bovina.
Roberto Jona
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