Vacche olandesi

“Abbattete un terzo delle mucche!” sarebbe l’invito o addirittura l’obbligo per gli allevatori olandesi di bovini. Lo si leggeva sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Questo invito più o meno cogente è contenuto nel “Memorandum per le aree rurali” che il governo olandese vorrebbe trasformare in legge “verde” per contrastare “l’inquinamento da deiezioni” di origine bovina. Una prima domanda senza troppa ironia: perché non obbligare per legge gli olandesi ad assumere farmaci astringenti che limitino la produzione di deiezioni umane? Forse quelle non inquinano?
Fin qui scherzavo, ma ora cerchiamo di esaminare il problema seriamente. Gli allevatori allevano un numero di capi proporzionale alle richieste del mercato della carne e del latte. È chiaro che il bestiame si nutre di foraggio e rilascia i prodotti che ne derivano. Ma parificare i prodotti del metabolismo animale ai gas di scarico dei veicoli a motore è aberrante. Non dimentichiamo che l’azoto, elemento qualificante dell’ammoniaca, è un elemento prezioso per il ciclo nutritivo delle piante (tutte: dai fiori coltivati in vaso alle foreste) e proprio per la sua volatilità è sempre quello carente (e più costoso). Esiste tutta una complessa teoria alla base della concimazione azotata che regola le modalità di somministrazione alle piante di questo elemento. Non è questa la sede per discuterne.
Tuttavia, invece di progettare l’abbattimento delle vacche da latte, sarebbe opportuno studiare soluzioni di allevamento alternative. Ad esempio perché, invece di tenere le vacche inquinanti ferme nei capannoni olandesi, non si organizza la transumanza verso i pascoli alpini? I margari lo fanno da secoli. Oggi, all’interno dell’Europa, l’Olanda e le Alpi sono non sono più separate da frontiere. E il territorio verrebbe “concimato” gratuitamente, dagli animali al pascolo, senza far ricorso ai costosi concimi azotati di origine “chimica” il cui processo di produzione è, anch’esso, inquinante. Inoltre la distribuzione non richiederebbe macchine (inevitabilmente inquinanti), ma sarebbe naturalmente estensiva (senza costi aggiuntivi) e il territorio interessato potrebbe evitare eccessive e quindi dannose, concentrazioni locali di pur benefici fertilizzanti. Alla luce delle soluzioni proposte a questo (reale) problema, appare evidente che quando si considera l’ambiente occorre uno sguardo ed una considerazione larga e onnicomprensiva: concentrarsi solo su un singolo aspetto e (credere di) risolverlo con soluzioni semplicistiche, rischia di fare più danni di quelli che può fare il problema originario.

Roberto Jona, agronomo

(12 agosto 2022)