Il nuovo libro di Pagine Ebraiche
Il saliscendi della nostra storia

“Noi studiamo il mutamento perché siamo mutevoli”, scriveva il grande storico dell’età classica Arnaldo Momigliano. “A causa del mutamento la nostra conoscenza non sarà mai definitiva: la misura dell’inatteso è infinita”. Prende le mosse da questo passaggio l’ultimo lavoro dello storico Alberto Cavaglion, che in una raccolta di saggi affronta il mutevole rapporto fra gli ebrei e la cultura italiana e ne rielabora le premesse alla luce delle ricerche più recenti. Intitolato La misura dell’inatteso (Viella), il libro descrive un arco cronologico inconsueto. Anziché dal 1848 o del 1861, le date usuali in questo genere di ricognizione, parte dal 1815, l’anno della Restaurazione che reprime la libertà favorita dalla parentesi napoleonica. E invece di concludersi il 25 aprile 1945, come ci si potrebbe aspettare, si spinge fino al 1988, l’anno che segna il cinquantenario delle leggi razziali e sancisce un uso pubblico della storia ormai diventato mainstream. Lungo questa traiettoria, Cavaglion coglie un motivo ricorrente. “Il rapporto fra ebrei e cultura italiana – scrive – possiede un’inquietante circolarità: dal vecchio (le interdizioni delle Regie Patenti) si passa al nuovo (la prima emancipazione napoleonica) per ritornare al vecchio (la Restaurazione di Carlo Felice); segue una nuova risalita (lo Statuto di Carlo Alberto) e nemmeno un secolo dopo si assiste al ritorno dell’antico (le interdizioni del duce) per risalire infine a riveder le stelle il 25 aprile 1945”.
Quando lo si rilegge sul lungo periodo, afferma Cavaglion, “l’ipotesi formulata è che il dialogo fra ebraismo e cultura italiana sveli parecchi punti deboli. Il libro cerca di individuarli, spiegando le ragioni per cui il reciproco riconoscimento è stato interrotto o non sia giunto a piena maturazione”. I saggi si articolano in tre sezioni che ruotano attorno a momenti storici precisi: il liberalismo dell’Ottocento e le sue contraddizioni, la ricerca di una solidarietà fra le culture perseguita attraverso la conoscenza dell’ebraico e le traduzioni. Ci si sofferma poi sugli aspetti di maggior rilievo nel rapporto fra gli ebrei italiani e la maggioranza: gli albori del sionismo, il modernismo, l’antifascismo, la battaglia per la libertà religiosa e l’esigenza, da molti sempre più sentita, di “fare i conti con il fascismo”. È un percorso fitto di luci e ombre. Una storia animata da slanci generosi ed entusiasmi profondi, attraversata da personaggi più o meno noti e tragedie indicibili che la scrittura di Cavaglion restituisce in una dimensione di profonda umanità. Non a caso il libro si apre con un saggio diverso dagli altri, Il fondaco dei ricordi, che riprende la pratica tanto amata nel mondo ebraico delle storie di famiglia. Intrecciando memorie e fonti d’archivio, Cavaglion risale dalla situazione in cui i nonni vennero a trovarsi nell’inverno drammatico del 1943-44 alla condizione degli ebrei piemontesi nel passaggio dall’età napoleonica alla Restaurazione. “La storia degli ebrei in Italia – scrive Cavaglion – è riassumibile in questo saliscendi, un processo di andate e ritorni: una vittoria di diritti che si affermano dall’alto (lo Statuto) o si conquistano dal basso (la lotta partigiana), una somma di torti che ritornano a ondate periodiche fino a esplodere, in forma traumatica, sotto il fascismo”.

Daniela Gross