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11 aprile 2014 - 11 Nissan 5774
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Pochi vogliono comprendere la dolorosa idea degli eventi accaduti durante la piaga del buio in terra d’Egitto e pochi ricordano i diretti e concisi versetti che la descrivono: “Uno non vedeva l’altro e nessuno si mosse da dove si trovava per tre giorni; ma per tutti i figli d’Israele c’era luce nelle loro dimore.” Shemot 10, 22-23. L’originale testo in ebraico non parla di gente sconosciuta che non si vedeva l’un l’altro bensì di “nessuno riusciva a vedere il proprio fratello” perché un popolo schiavo, anche se intellettualmente di grande livello, non vedrà i propri fratelli e finirà sempre per giocare alla rivoluzione nel mondo altrui e mai nel proprio.
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
L’articolo di cronaca allarmata scritto da Giulio Meotti per Il Foglio del 10 aprile scorso parla chiaro: l’assimilazione e la secolarizzazione stanno completando l’opera di Hitler e fra pochi anni non ci saranno più ebrei in Europa. Con tutto il rispetto per le statistiche e per gli scenari che connettono questioni anche molto diverse fra loro come l’antisemitismo, la paura, i matrimoni misti e l’abbandono delle pratiche religiose, mi permetto di avanzare qualche dubbio sulla linearità di questo “ineluttabile” processo di scomparsa. Parto dall’esperienza personale: sono decenni che questo discorso ritorna, e sono decenni che studiosi ed esperti predicono la scomparsa della diaspora europea. Ma nulla di questo è accaduto. Per quel che riguarda la marginalissima diaspora italiana i numeri nel dopoguerra non sono mutati in maniera significativa mentre è molto cambiata la composizione e la presenza dei gruppi ebraici. Demograficamente polarizzata nei due grossi centri di Roma e Milano, ma anche variamente articolata sul territorio. Qui da noi gli ebrei non sono più rintracciabili solo fra gli iscritti alle comunità ebraiche (sono molti – nessuno sa quanti veramente – gli ebrei che tali si sentono ma che sfuggono ai censimenti), e il grado di adesione alle pratiche religiose e alle attività culturali organizzate in ambito ebraico è incommensurabilmente superore a quel che accadeva 50-60 anni fa. A Roma ci sono mi pare 16 o 17 sinagoghe (ce n’erano tre), a Milano non molte di meno (ce n’erano due) e fra comunità ortodosse, riformate, Chabad (per non parlare delle esperienze del tutto nuove che si registrano nel sud Italia) a me pare che la prospettiva di scomparire sia piuttosto lontana. Detto questo, proprio l’esperienza italiana dimostra storicamente che non è una questione di numeri. Qui da noi non siamo mai stati molto numerosi, ma questo non ha impedito all’ebraismo italiano di essere vero e proprio punto di riferimento per l’intero mondo ebraico per molti secoli. Più in generale, per ritornare al grido d’allarme lanciato dal rabbinato (per la verità lì convenuto per esprimere con un atto chiaramente politico un forte segnale di solidarietà all’ebraismo ungherese che a 70 anni dalle deportazioni è ancora oggi sotto grave attacco), a me sembra che mettere nella stessa insalata antisemitismo, indebolimento delle pratiche religiose e matrimoni misti costituisca un ingiustificato azzardo. Sono tre questioni importanti che meritano di essere valutate, fra l’altro senza limitarsi a uno sguardo solo ebraico (la secolarizzazione è un fenomeno globale, che peraltro mostra segnali non univoci visto il generalizzato ritorno di centralità che si registra nella devozione religiosa). In ogni caso, ho avuto modo di leggere solo le considerazioni e la cronaca fornita dal giornalista del Foglio. Se devo basarmi su di esse, non posso che trovare insopportabile che un ebreo (ancorché rabbino o comunque dirigente di comunità ebraica) si permetta di paragonare l’assimilazione a Hitler. L’assimilazione è infatti un fenomeno sociale che dipende da cause personali tanto quanto da cause sociali, che si contrasta a mio parere solo con iniziative intelligenti e solidali, con le buone pratiche. Insomma, suggerirei meno insulti e più Ghemilùt hassadìm (azioni di misericordia).
 
Temi e immagini
del pensiero ebraico
"Temi e immagini del pensiero ebraico”. Questo il titolo del ciclo di incontri ospitato presso la nuova sede della Biblioteca Universitaria di Genova, l’ex Hotel Colombia (luogo storico della città, che ospitò e fece cantare grandi nomi tra cui anche i Beatles). Protagonista del primo incontro Roberto Della Rocca, direttore del Dipartimento Educazione e Cultura UCEI.
 
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Francia, non è reato
dire "fascista" a Le Pen
Nuove tensioni nell’aula del Senato. A scaldare gli animi anche il parlamentare Giuseppe D’Anna (Gal, gruppo fiancheggiatore di Forza Italia) che ha definito “squadristi” i colleghi del Movimento Cinquestelle e, come estrema provocazione, ha scelto di attraversare l’emiciclo con il braccio teso nel saluto fascista (Dino Martirano, Corriere della sera).
Dalla Francia intanto la notizia che dire “fascista” al leader dell’estrema destra Marine Le Pen non è reato. Il leader del Front de Gauche, Jean-Luc Melenchon, è stato infatti assolto dal tribunale di Parigi che ha ritenuto che il termine “può avere un carattere offensivo se utilizzato fuori da ogni contesto politico o accompagnato da altre espressioni degradanti” mentre non ci sarebbe nessun carattere offensivo “quando viene utilizzato tra avversari politici su un tema politico” (Messaggero, in breve).
“L’ Halakhah, la Legge ebraica, nella grande maggioranza dei casi guarda con favore alle procedure che riguardano la fecondazione assistita nella coppia quando non può avere figli. Perla fecondazione eterologa c’è invece, in ambito rabbinico, una letteratura unanime nel considerarla da evitare. È una procedura sconsigliata anche per motivi etici e psicologici”. L’intervento del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni sul notiziario Pagine Ebraiche 24 e sul portale www.moked.it è oggi riportato dal Tempo. I colleghi dimenticano però di citare la fonte.
 
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  davar
QUI PARIGI
Alain Finkielkraut all'Académie
"La letteratura non è stata capace di impedire alcun massacro fra quelli che hanno contrassegnato il Ventesimo secolo. Ma senza la letteratura non saremmo più in grado di comprendere e di conseguenza resteremmo senza difesa. Il pericolo dell'opacità della comprensione è il rischio più grave". È il messaggio che il grande filosofo e intellettuale francese Alain Finkielkraut ha voluto lasciare ai lettori di Pagine Ebraiche in occasione dell'intervista concessa al direttore Guido Vitale all'indomani dell'uscita di una delle sue prove più attese - "Un cuore intelligente" (pubblicato in Italia da Adelphi).
Parole che assumono una luce tutta speciale con la nomina, avvenuta nelle scorse ore, tra gli 'immortali' dell’Académie française. Finkielkraut occuperà la poltrona numero 21, rimasta vacante dal 2012 in seguito alla scomparsa dello scrittore belga Fèlicien Marceau. "Mi preoccupa l’impoverimento del nostro vocabolario, anche nelle élite. L’Académie significa la lingua sostenuta dalla letteratura. Credo molto in questo: la Francia è una patria letteraria”, ha subito dichiarato alla stampa.
Nato a Parigi nel 1949, figlio di sopravvissuti ai campi di sterminio, Finkielkraut è stato allievo dell'Ecole Normale Superieure. A segnare la sua formazione il pensiero, tra gli altri, di Hannah Arendt, Martin Heidegger, Emmanuel Lévinas e Vladimir Jankelevitch. Ospite fisso di emittenti televisive e radiofoniche che se lo contendono per la capacità di riflettere sui grandi temi della contemporaneità, è universalmente ritenuto un intellettuale 'scomodo' per la schiettezza (e talvolta l'irriverenza) che permea alcune sue affermazioni.
“Geniale, impertinente, quasi insopportabile, come chi lo apprezza ha imparato a conoscerlo, Finkielkraut – scriveva Vitale – non sembra accettare mezze misure e non sembra praticare la giustizia salomonica. Non quella, almeno, che comunemente intende chi pratica i luoghi comuni. L'intervistatore si addentra così in un terreno certo affascinante, ma aspro e per nulla rilassante”.
Numerosi le tematiche affrontate nel corso dell'intervista: il valore supremo della conoscenza, l'impegno per la cultura, l'equilibrio tra intelligenza ed emotività, l'identità ebraica. In particolare, relativamente all'ultimo punto, Finkielkraut ammoniva contro il pericolo di una distorta percezione di se stessi. “È ancora necessario riaffermare con forza la necessità di ricostruire un'identità ebraica viva nel presente, nel quotidiano, non nel mito. Io – spiegava – sono un discendente di sopravvissuti e di perseguitati, non sono un sopravvissuto. La tentazione di vivere il presente nella categoria del passato prossimo è sempre in agguato”. Alla domanda se l'antisemitismo non fosse più una minaccia, il filosofo rispondeva di considerarla ancora tale ma con una precisazione: nel corso degli anni avrebbe cambiato natura. “L'antisemitismo che conta – sottolineava – oggi si proclama antirazzista. E dobbiamo trovare il coraggio di dirlo. Il nuovo antisemitismo è un antisemitismo islamoprogressista e si nasconde dietro agli slogan dell'antirazzismo”. Secondo Finkielkraut prevarebbe oggi una concezione di comodo secondo cui l'Europa dovrebbe quindi continuamente espiare i propri peccati originari “sacrificando ogni sua definizione sostanziale a vantaggio dell'affermazione di generici diritti dell'uomo”.
In pericolo sarebbe anche la corretta trasmissione della Memoria della Shoah. “È a rischio – il suo pensiero – se ci affidiamo esclusivamente alla testimonianza degli ultimi sopravvissuti che per motivi generazionali stanno scomparendo. Ma saper leggere vale più di mille viaggi ad Auschwitz. Conoscere Primo Levi e imparare a capire Se questo è un uomo e I sommersi e i salvati è la memoria che dobbiamo difendere". Il maggior pericolo, metteva quindi in guardia, "è la paralisi dell'intelligenza".

a.s twitter @asmulevichmoked

Per scaricare il pdf dell'intervista di Guido Vitale ad Alain Finkielkraut clicca qui

(Il disegno è di Giorgio Albertini)
GERUSALEMME - ROMA
Bergoglio viaggerà su El Al
In occasione della prossima missione in Medio Oriente (24-26 maggio) papa Bergoglio viaggerà su un aereo speciale della El Al, la compagnia di bandiera israeliana che ha da poco stretto un accordo per la distribuzione del mensile dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche all'interno dei suoi voli.
"Siamo orgogliosi di essere stati scelti per riportare in Italia l’intera Delegazione al termine della storica visita in Israele del papa. Il volo dedicato all’evento prevede l’assegnazione di un equipaggio e di un allestimento ad hoc", dichiara il presidente di El Al David Maimon. Insieme a Bergoglio viaggerà un seguito di 30 ecclesiastici e 70 giornalisti accreditati.


(Nell'immagine il check-in da El Al con la distribuzione di una copia omaggio di Pagine Ebraiche)
BIOETICA - L'INTERVENTO DEL RAV SOMEKH
Fecondazione eterologa,

la via israeliana contro i rischi
Sul tema della fecondazione eterologa, il cui divieto introdotto dalla Legge 40 nel 2004 è adesso venuto meno con il pronunciamento della Corte Costituzionale, prosegue un significativo dibattito anche all'interno del mondo ebraico. Dopo il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, intervenuto nel notiziario di ieri esprimendo alcune perplessità in materia, è adesso rav Alberto Moshe Somekh (nella foto) a proporre un contributo ricordando la preziosa testimonianza di rav Avraham Steinberg - medico, docente di Medical ethics alla Hebrew University– Hadassah Medical School di Gerusalemme e presidente della commissione governativa israeliana sul “fine vita” - ospite lo scorso novembre della Comunità ebraica di Torino per uno shabbaton dedicato alla bioetica.
"Nella prima delle due sessioni tenute a Torino - ha scritto rav Somekh sul notiziario comunitario - Steinberg si è soffermato sul difficile tema dell’inizio vita e della fecondazione eterologa e ha sostanzialmente affermato che benché oggi la si permetta anche in Israele (non essendoci rapporto coniugale si esclude il problema dell’adulterio), non c’è invece una visione univoca su un’altra questione connessa: chi è la vera madre, quella che dona l’ovulo o quella che mette a disposizione il proprio utero?".
Questa decisione può infatti essere determinante a tre fini: se una delle due donne non è ebrea, stabilire l’identità religiosa del nascituro; stabilire di quale delle due il nascituro sia il legittimo erede; essere sicuri che, una volta cresciuto, il figlio/figlia non sposi una propria sorella/fratello. Il problema in Israele viene affrontato limitando la possibilità di fecondazione eterologa a due donne della stessa religione e tenendo un’anagrafe riservata di tutte le donatrici presso un’apposita commissione per cui, ha ricordato il rav, al momento del matrimonio il ragazzo o la ragazza nati da questo tipo di fecondazione "sono in grado di ottenere l’autorizzazione una volta confrontate le generalità del proprio partner".
iSRAELE - STATO E RELIGIONE
La proposta di Yesh Atid
“C’è così tanto che ci unisce”. Sembra essere questa la cifra fondamentale di Dov Lipman, rabbino e deputato alla Knesset nel partito centrista Yesh Atid (“C’è futuro”). Primo cittadino americano eletto dagli anni ‘80, di rav Lipman colpisce l’aria sorridente e l’ottimismo che professa anche nei confronti delle situazioni più complesse che lo Stato d’Israele si trova ad affrontare, dalla profonda frattura con la popolazione haredi, alla riforma del sistema matrimoniale. Lui stesso di formazione rigorosamente ortodossa, con un master in Education alla prestigiosa Università statunitense John Hopkins in aggiunta alla semikhah rabbinica conseguita alla Yeshiva Ner Israel di Baltimora. Il rav si è trasferito in Israele nel 2004 e incontrando Pagine Ebraiche affronta a tutto campo i grandi temi al centro del dibattito pubblico.
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QUI ROMA
Fermare il negazionismo sul web
Il web è diventato il palcoscenico ideale per i negazionisti, contraffattori per eccellenza della realtà, per cui il dato storico, la mole infinita di documentazioni e testimonianze sulla Shoah non hanno valore. Un meccanismo perverso su cui si è soffermato ieri il direttore della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea Michele Sarfatti (nella foto con David Meghnagi e Guri Schwarz), presiedendo la prima sessione della due giorni del convegno romano su “Shoah e negazionismo nel Web: una sfida per gli storici” promosso dalla Sissco, dall’Università degli studi di Roma Tre e dal Dipartimento di Filosofia comunicazione e spettacolo dell’ateneo romano. Tanti i nomi di primo piano del panorama storiografico italiano a riflettere sulla questione e sull'opportunità di arginare il problema con l'introduzione di una legge. Tra gli altri, il consigliere dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giorgio Sacerdoti assieme a storici come Marcello Flores, Valentina Pisanty, Anna Rossi-Doria, Guri Schwarz e Claudio Vercelli.
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pilpul
Incompatibilità
In quest’ultima settimana i media hanno parlato ampiamente dei test di ammissione alle facoltà a numero chiuso e (giustamente) delle difficoltà incontrate dai ragazzi nel doversi preparare contemporaneamente ai test e alla maturità tra due mesi. Non si è parlato altrettanto delle ore di scuola perse dai ragazzi per il test stesso e per la preparazione, dell’anomalia di una situazione in cui ci sono ufficialmente lezioni regolari ma con metà degli allievi assenti. Non che sia una novità assoluta (continuamente gli alunni sono autorizzati ad assentarsi per gare sportive, certamina, olimpiadi di matematica o filosofia, ecc.), ma qui si trattava non di un’eccezione ma della regola, non di un allievo o due che si assentano per motivi particolari ma di migliaia di giovani in tutta Italia a cui lo Stato ha detto: tu hai il dovere di chiuderti in casa a studiare per il test, ma contemporaneamente hai il dovere di seguire regolarmente le lezioni e studiare per l’esame di Stato. Come conciliare i due doveri?

Anna Segre, insegnante
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L'immagine dei gitani
Il piano di sterilizzazione forzata attuato in Svezia dal 1934 al 1974 ai danni dei gitani e di altri individui considerati “con difetti genetici”, ha suscitato sconcerto anche sulle pagine di Moked, in un contesto come quello ebraico da sempre impegnato e vigile sul tema delle discriminazioni su stranieri e minoranze.
Diverse del resto potrebbero essere le analogie storiche riscontrabili nel passato tra popolo Roma e popolo ebraico, dalla perdita del territorio d’origine che ne ha determinato l’esilio e la dispersione, entrambi furono etichettati come inner enemies dalle società circostanti, subendo persecuzioni ed espulsioni in tutto l’emisfero culminate poi tragicamente nello sterminio nazi-fascista, che non ha comunque alterato in seguito, specie verso i primi, un’onnipresente percezione collettiva di sospetto e indesiderabilità.


Francesco Moises Bassano, studente
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Pesach
È Pesach. Siamo liberi. Tante volte ce lo fossimo dimenticati. Liberi perché disobbedienti all'autorità di un altro uomo. Liberi quando il nostro tempo diventa occasione e non costrizione. Liberi dalla schiavitù delle nostre paure. Liberi insomma di essere noi stessi e poterlo raccontare. Auguri a tutti.

Ilana Bahbout
Il Midrash e il silenzio
Nell’ambito del ciclo Temi e immagini del pensiero ebraico, organizzato a Genova da Laura Quercioli Mincer, mercoledì è stata presentata e commentata da Ilana Bahbout una videoconferenza di rav Benedetto Carucci dedicata al Midrash e al silenzio. Chiunque conosca la magia espositiva di rav Carucci non dubiterà dell’efficacia della lezione. Dopo una sintesi introduttiva sulla specificità dell’esegesi ebraica, sul ruolo propriamente metodologico dei Midrashim e sulla loro capacità di far emergere il nuovo dall’antico, rav Carucci ha affrontato il tema del silenzio.

Laura Salmon, slavista
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