David
Sciunnach,
rabbino
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“...
circonciderà il tuo cuore … così che tu possa vivere” (Devarìm 30, 6).
In questo modo usava interpretare l’Admòr Rabbì Ytzchak Meir Alter di
Gur, conosciuto come Baàl Chidushè Arìm, questo verso: Per tutta la mia
vita non dimenticherò i Tuoi comandamenti poiché in essi ho vissuto.
Non potrò mai dimenticare le Tue mitzvòt poiché io so che essi sono la
mia vitalità, ed una cosa da cui dipende la vita è impossibile
dimenticare, cosi come è impossibile che un uomo si dimentichi di
mangiare.
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David
Assael,
ricercatore
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Con
una divertente espressione, Giulio Tremonti paragonava la crisi
economica a un videogame: quando uccidi un mostro ne viene subito un
altro. Estendendo l'immagine tremiontiana alle intere conseguenze
dell'attuale situazione economica, possiamo dire che il nuovo mostro
europeo si chiama secessione. Una vittoria dei sì nel referendum
scozzese, aprirebbe una porta che potrebbe essere attraversata da
Spagna, Belgio, e perché no, Italia. Un esito davvero inimmagninabile
fino a solo pochi anni fa, che avrà conseguenze deleterie per il già
fragile progetto europeo: se non ci si metteva d'accordo in 28,
figuriamoci moltiplicando il numero. Speriamo di sconfiggere questo e
aspettiamo il prossimo mostro.
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"Il nostro impegno
contro l'antisemitismo"
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“Un’iniziativa
finalizzata a rendere vane le minacce di chi ancora oggi propugna odio
e discriminazione. Un impegno concreto a beneficio della collettività
in un momento in cui antichi pregiudizi mai del tutto sradicati tornano
a manifestarsi in modo sempre più inquietante nelle nostre società
progredite e democratiche”, così il presidente dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna ha annunciato il progetto
Antenna antisemitismo, promosso dall’UCEI e dal Centro di
documentazione ebraica contemporanea di Milano. “Italy’s top Jewish
council creates anti-Semitism hotline”, titola tra gli altri Haaretz.
C’è lo spettro dell’antisemitismo, come scrive Libero, anche nelle
fiamme divampate in una sinagoga di Anderlecht, già nel mirino di un
attacco condotto con molotov nel 2010. Un episodio inquietante che
arriva nelle stesse ore in cui il museo ebraico di Bruxelles ha
riaperto le proprie porte dopo l’agguato mortale degli scorsi mesi.
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qui milano - jEWISH AND THE CITY
L'insegnamento dello straniero
“Lanciare
un forte e diffuso messaggio di apertura, di dialogo, di amicizia,
dando nuova luce all’antica e profonda integrazione degli ebrei in
tutta l’Europa e in particolare nella società italiana”. Questo il
significato, nelle parole del presidente dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane Renzo Gattegna, di eventi come Jewish and the City,
il Festival Internazionale di Cultura Ebraica assoluto protagonista in
questi giorni dell’agenda milanese. Davanti al folto pubblico presente
nella Sinagoga Centrale, testimonianza dello straordinario successo
della manifestazione curata da rav Roberto Della Roberto Della Rocca,
direttore scientifico del festival organizzato dalla Comunità ebraica
di Milano in collaborazione con il Comune, il presidente UCEI ha voluto
sottolineare l’importanza della rassegna milanese nel suo fondamentale
ruolo di ponte tra cultura ebraica e società civile. Dopo la
partecipazione dello scorso anno, la seconda edizione del festival era
chiamata al complicato compito di ripetersi e, a giudicare dalle
gremite, l’obiettivo è stato centrato. Grazie anche a ospiti di livello
internazionale come rav Adin Steinsaltz, uno dei massimi studiosi e
divulgatori contemporanei del Talmud, che nella sinagoga di via
Guastalla ha tenuto ieri una lectio magistralis sul tema Dialoghi sullo
Straniero. Ad aprire l’appuntamento al tempio, il saluto del presidente
Gattegna che ha voluto fare un plauso “alla eccezionale sinergia”
creatasi tra la Comunità ebraica di Milano – rappresentata dal
presidente Walker Meghnagi e da rabbino capo della città rav Alfonso
Arbib – e il Comune. “Ciò che vogliamo oggi esprimere e manifestare –
ha dichiarato Gattegna, introdotto dal consigliere alla Cultura della
Comunità ebraica di Milano Daniele Cohen – è la preziosa ricchezza che
può derivare per tutti dalla pacifica convivenza e dalla reciproca
accettazione di diverse matrici e di molteplici radici culturali”. Una
convivenza di cui la minoranza ebraica si è fatta da sempre promotrice,
affermando la sua diversità come un valore prezioso per la società.
Concetto, quello della diversità, toccato dall’apprezzata riflessione
dell’antropologo Francesco Remotti, che ha aperto l’evento con rav Adin
Steinsaltz di ieri. Remotti ha infatti parlato di somiglianze e
differenze: della necessità di essere consapevoli di somigliare agli
altri quanto, contemporaneamente, di differenziarci dalla collettività.
“Non possiamo soltanto imitare, dobbiamo differenziarci, anche da noi
stessi”, ha affermato l’antropologo.
Un articolato invito a riflettere, invece, quello proposto da rav Adin
Steinsaltz nella sua lezione.“Io non sono qui per darvi delle
soluzioni” ha più volte affermato il rav, invitando il pubblico a
interrogarsi sul significato di giustizia, sulla bontà, sul rispetto
degli stranieri (“Non opprimere lo straniero: voi infatti conoscete
l’animo dello straniero, perché foste stranieri in terra d’Egitto” Es.
23,9). E, in riferimento allo straniero, rav Steisaltz ha ricordato che
“siamo tutti stranieri, sempre” e per questo “dobbiamo capire chi sta
male”, facendo riferimento alle drammatiche notizie dei profughi che
dall’Africa e dal Medio Oriente cercano la salvezza sulle nostre coste.
Di fronte alla sofferenza altrui, ha affermato il rav – ricordando che
“noi ebrei siamo abituati a essere maltrattati, purtroppo la storia lo
testimonia” -, non si possono fare scelte sbrigative, semplici, e
dobbiamo tenere presente che “fare giustizia significa avviarsi in un
processo lungo, complesso, che tiene conto della pietà”. Un monito,
quello di rav Adin Steinsaltz, profondamente attuale.
Daniel Reichel twitter @dreichelmoked
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qui milano - JEWISH AND THE CITY
I perché di Pesach
“Il
Seder di Pesach è occasione per vivere i rapporti umani in modo molto
diverso, contrapponendo nostre diversità, domandando e insegnando ai
nostri figli che saggezza è sapere di non sapere, consapevolezza nostra
limitatezza”. È stata l'applaudita lezione di rav Roberto Della Rocca a
chiudere la seconda edizione del festival Jewish and the city di
Milano. Al direttore scientifico della rassegna, organizzata dalla
Comunità ebraica milanese, è stato infatti affidato il compito di
chiudere - prima del concerto serale dedicato al pittore Marc Chagall,
in concomitanza con l'inaugurazione di un'importante retrospettiva a
lui dedicata a Palazzo Reale - la quattro giorni di appuntamenti e
incontri del Festival internazionale di cultura ebraica dedicato
quest'anno a Pesach e alla libertà. Il sentito applauso al termine
della lezione del rav – È vecchio chi smette di imparare, il titolo
dell'incontro tenutosi alla sinagoga di via Guastalla -, è sintomatico
di come, per il secondo anno consecutivo, il festival sia stato un
successo, portando centinaia di milanesi a fare un passo in più per
conoscere la cultura ebraica. Una tradizione millenaria, come ha
ricordato il rav, che del suo passato ha sempre fatto tesoro. Un
percorso, quello ebraico, che si snoda attraverso i secoli ed è privo
di scorciatoie, come lo fu l'uscita dall'Egitto. “Non sempre la via più
breve è infatti la migliore”, ha sottolineato Della Rocca, direttore
del Dipartimento Educazione e Cultura dell'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane. Nella sua riflessione, davanti a un pubblico
numeroso e partecipe, il rav ha fatto riferimento alla storia
dell'uscita dall'Egitto, di Pesach, per articolare alcuni dei concetti
fondamentali dell'ebraismo.
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rosh hashanah 5775
Padova - Un anno per migliorare
Non
è facile formulare un augurio, quando ronzano ancora nelle orecchie i
fischi dei missili e gli scoppi di una guerra che ha obbligato i nostri
fratelli a correre nei rifugi più volte al giorno; non è facile, quando
siamo stati così vicini ad una deflagrazione mondiale, se si sommano i
tanti focolai del Medio Oriente più vasto, dell’Europa dell’Est, del
Nord e Centro Africa, e altri ancora; quando migliaia di persone
muoiono inseguendo la semplice speranza di una vita dignitosa; quando
centinaia di migliaia hanno perduto la sicurezza di un lavoro; quando
corruzione e malaffare inondano le pagine dei giornali; quando latita
la cultura, soppiantata da comunicazioni collettive; quando riaffiora
con veemenza l’antisemitismo; e quando, gli ebrei stessi, sono incapaci
di andare d’accordo.
Davide Romanin Jacur,
presidente Comunità ebraica di PadovaLeggi
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rosh hashanah 5775
Bologna - Un anno per crescere
Oggi
più che mai c’è bisogno di riappropriarsi dei nostri luoghi, di
ricordare la nostra storia e rincontrarci per condividere e vivere
assieme momenti istituzionali e sociali del nostro calendario. Ci piace
pensare all’idea di “identità territoriale ebraica”, in grado di
rafforzare nelle persone un profondo senso di appartenenza nelle città
in cui risiedono. Che quest’anno porti benedizioni e crescita a tutte
le kehillot con l’auspicio che ogni ebreo possa in esse riconoscersi.
Grazie a tutti coloro che si sono impegnati e si impegneranno affinché
le Comunità restino “Vive”. Shanà tovà u metukà.
Daniele De Paz,
presidente Comunità ebraica di Bologna |
Ticketless
- I Moncalvo, patrimonio dell'umanità |
La
scorsa settimana ho ricordato incidentalmente Enrico Castelnuovo, il
grande storico dell’arte che da qualche mese ci ha lasciato. Vorrei
tornare su di lui, non per un necrologio, genere di scrittura che non
mi piace, ma per ricordare, attraverso un libro, la libertà del suo
pensiero e la bellezza di un luogo. Le coincidenze, talora, favoriscono
i nostri ricordi. Nei giorni tristi in cui Enrico ci lasciava, le
Langhe, il Roero e il Monferrato ottenevano il riconoscimento del World
Heritage List dell’Unesco, ovvero divenivano patrimonio dell’umanità.
C’è di che esserne orgogliosi – almeno fino a quando riusciremo a
conservare questo patrimonio per le generazioni future. Per l’ebraismo
il Roero e le Langhe non sono luoghi così nevralgici come il
Monferrato. La capitale del 50esimo mo luogo italiano scelto come
patrimonio dell’umanità non potrà che essere Moncalvo, il cui cimitero
è una delle sette meraviglie dell’ebraismo nazionale. Non così,
purtroppo, la sinagoga, da decenni abbandonata. Su questo luogo
convergono frutti di antiche benedizioni e moderne narrazioni
letterarie.
Alberto Cavaglion
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Periscopio
- Pubblicità |
Lunedì
scorso, 15 settembre, godendomi un meritato momento di relax dopo il
lavoro, comodamente adagiato sul divano, ho preso a sfogliare il
quotidiano la Repubblica, che acquisto di tanto in tanto. Purtroppo il
relax si è rapidamente trasformato in dolore e raccapriccio, perché le
prime pagine del giornale (segnatamente, parte della prima, e poi la
seconda, la terza, la quarta, la sesta e la settima, essendo la quinta
dedicata a un’inserzione pubblicitaria) erano tutte dedicate agli
sgozzamenti da parte dell’ISIS e ai vari progetti di interventi
militari annunciati dalle potenze occidentali, nonché dai Paesi arabi
minacciati. Il fatto che ben sei pagine e mezzo delle prime utili
fossero dedicate a questo argomento mi ha dato l’idea della gravità
della situazione, facendomi tornare ai tempi delle Torri gemelle o cose
del genere. Naturalmente, essendo io fatto, oltre che – spero – di
cervello, anche di carne e sangue, sentivo in me crescere la
frustrazione, la rabbia, il senso di impotenza per dovere assistere
impotente a queste tanto efferate esibizioni di sadica crudeltà, ed è
montato in me un legittimo desiderio di risposta, di rivalsa. Alla mia
età, ormai, non si spera più nell’arrivo della cavalleria, ma, insomma,
mi chiedevo, quando mai il mondo si muoverà per fare qualcosa?
Francesco Lucrezi, storico
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