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16 gennaio 2015 - 25 Tevet 5775
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Perdonatemi, ma oggi uso questo spazio per parlare di me. Di me in quanto padre. Perché da padre, con mia moglie, sto affrontando il nuovo problema sociale della generazione dei nostri figli: il bullismo. Fortunatamente non si tratta di un bullismo fisico, grazie a Dio non abbiamo intorno questa realtà, ma di un bullismo più sottile e più difficile da cogliere e combattere da parte degli educatori ed educatrici che ho incontrato.
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
Dopo i fatti di Parigi qualcosa sta cambiando, non necessariamente in senso positivo come sembra suggerire l’enfasi dedicata dai media alla straordinaria manifestazione di piazza al grido di “Je suis Charlie”, seguita dalla vendita di 3 milioni di copie dell’ultimo numero della rivista. Altri segnali ci fanno essere meno ottimisti. La Francia si accorge che i suoi ebrei non si sentono sicuri e protetti e progettano di andarsene (il che rappresenterebbe una sconfitta senza appello per i valori della Francia repubblicana). Ma anche i musulmani di Francia si sentono poco sicuri e tutelati, e sono stati molti gli attentati a moschee nell’ultima settimana. Domina un senso di paura e si accavallano gli interrogativi che impediscono di dare un’interpretazione chiara del momento storico che stiamo vivendo.
 
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Forze speciali in Belgio, sventato nuovo attacco
Forze speciali in azione a Verviers, in Belgio: uccisi due uomini armati, tornati dalla Siria con l’intenzione di compiere un grande attentato in Europa. “In tutto il Belgio, il livello di sicurezza è stato innalzato al livello 3, uno solo prima del livello massimo 4. II passato attentato al museo ebraico di Bruxelles, compiuto da un sicario venuto dalla Francia, autorizza a pensare a un’organizzazione internazionale comunque ben ramificata” scrive Luigi Offeddu (Corriere della sera).

Tornano in Italia Vanessa e Greta, le due cooperanti rilasciate ieri dopo il pagamento di un cospicuo riscatto ai loro aguzzini in Siria. L’annuncio del loro rilascio, confermato dal governo, ha fatto esplodere la gioia e la commozione dei familiari. Ma contestualmente si apre una polemica politica con il leader leghista Matteo Salvini che dichiara: “La liberazione delle due ragazze mi riempie di gioia, ma l’eventuale pagamento di un riscatto che permetterebbe ai terroristi islamici di uccidere ancora sarebbe una vergogna per l’Italia” (Repubblica, tra gli altri).
 
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  davar
IL GRAN RABBINO DI FRANCIA HAIM KORSIA
"Nella libertà di espressione

la nostra sola garanzia"
La sicurezza degli ebrei sta nelle più alte garanzie della libertà d’espressione e di critica. Chi cerca un collegamento fra i fatti di Parigi e la situazione d’Israele utilizza un pretesto di comodo. Lo slancio straordinario dell’11 gennaio e la saldatura con la società che si risveglia in difesa dei diritti civili deve essere valorizzato e costituire la base della costruzione di una nuova Europa determinata a liberarsi una volta per tutte dalla minaccia dell’intolleranza e dell’estremismo islamico. Il gran rabbino di Francia Haim Korsia fa il punto sulla situazione alla vigilia dello Shabbat e all’indomani dei gravi fatti di Parigi in un’intervista che appare sull’edizione odierna del quotidiano parigino Le Figaro.
 
“L’islamismo radicale è un problema innanzitutto per l’islam: uccide una enorme quantità di musulmani, attacca i cristiani d’oriente. Per quanto riguarda l’ebraismo, si tratta del nemico che li ossessiona. Non ne faccio dunque un tutt’uno, in Francia non ci sono problemi con l’Islam istituzionale”.
Il Gran Rabbino di Francia, Haim Korsia, che ha accompagnato in Israele le famiglie in lutto per gli attentati, torna per la prima volta, una settimana dopo la cattura degli ostaggi all’Hyper Casher e l’assassinio di alcuni di loro, sulle sfide che attendono la Francia nella lotta contro l’islamismo radicale.
Cosa ha imparato da questa settimana terribile?
Che è tutto molto fragile... Sono morte persone che erano andate a comprare il pane, sono morte persone che scrivevano, altri facevano il proprio mestiere, erano poliziotti, e sono morti, un addetto alle pulizie stava facendo il suo lavoro, ed è morto. Mi trovo nell’incapacità di spiegare l'inspiegabile... Di fronte a un giornalista la gente piange, ma quando si trova di fronte a un religioso chiede “perché”... E io non ho una risposta, tranne quella di accompagnare, di portare le famiglie.
Cosa la preoccupa di più in questo momento?
Nonostante l’impegno costante e la determinazione del governo - sono mobilitati più di 10 mila uomini - nessuno può realmente sapere. Dobbiamo costruire quindi una sicurezza all’altezza della minaccia odierna, e andare verso una nuova cultura di vigilanza. Se tutti ci proteggiamo l’un l'altro, si crea una cultura di vigilanza collettiva. Ci si perde in termini di nonchalance, ma si guadagna in efficienza.
Ma si entra in una cultura del terrore...
No, è vigilanza. Si chiude la porta a chiave... Ci sono delle società dove non si  chiudeva nulla a chiave e in cui questa cautela è stata adottata. Il primo ministro l’ha detto, e bisogna che lo si sappia: “Siamo in guerra.”
Lei utilizza la parola “guerra”?
No, non è una mia scelta. È del Primo ministro. È anche una parola di Papa Francesco. Ha detto: “Siamo in guerra su un fronte multipolare” e non ha torto. Quando si mandano i militari per le strade, è perché ci si trova in guerra, in qualche maniera. L'unica cosa che funziona contro la paura è l'azione. L'inazione, al contrario, è paura.
Una società non può vivere sotto minaccia per lunghi periodi...
Dobbiamo svoltare. Confido che il governo ci dirà quando il livello della minaccia sarà calato. Non si tratterà allora di abbassare la guardia, ma passare a una vigilanza più serena. Ma soprattutto bisogna sfruttare lo slancio straordinario dell'11 gennaio. Sfilando, domenica scorsa, ho pensato alla marcia del 20 agosto 1963 con Martin Luther King. È là che si è mosso qualcosa verso l’affermazione dei diritti civili. Non si trattava più solo della lotta dei neri afroamericani, è diventata quella di tutta l'America. Domenica, in place de la Bastille, ho sentito che la Bastiglia dell’indifferenza stava crollando. Tutti si sentivano coinvolti nel destino degli altri.
Ma il radicalismo musulmano resta...
L’islamismo radicale è un problema innanzitutto per l’Islam: uccide una enorme quantità di musulmani, attacca i cristiani d’oriente. Per quanto riguarda l’ebraismo, si tratta del nemico che li ossessiona. Non ne faccio dunque un tutt’uno, in Francia non ci sono problemi con l’Islam istituzionale. Propongo tuttavia un’idea semplice, che certamente non potrà risolvere tutto: come lo facciamo noi ogni sabato nelle sinagoghe, i musulmani potrebbero, ogni venerdì, nelle moschee, pregare per la Repubblica e per i suoi valori. Questo permette di dare un significato particolare alla settimana seguente. È anche urgente organizzare delle attività didattiche sin dalla più tenera età. Abbiamo sviluppato con le altre religioni dei programmi interreligiosi nelle scuole, per smontare i pregiudizi. Mi auguro che vengano diffusi in tutte le scuole della Repubblica.
Ci sono persone che spiegano il radicalismo islamico con la politica israeliana...
È un pretesto che fa comodo agli uni e agli altri, ma che non c’entra nulla. Israele non ha nulla a che vedere con ciò che sta accadendo in Iraq, Sudan, o in Pakistan, dove 132 bambini sono morti in un attentato suicida il 17 dicembre, nell’indifferenza quasi generale...
Perché l'antisemitismo si sta diffondendo in Francia?
Perché si sente accettato, tollerato, legittimato dal silenzio degli altri. Bisogna controllare ciò che arriva alle famiglie via satellite e con internet, c’è il rischio di produrre una generazione perduta. L'antisemitismo e l’odio per gli ebrei vi sono incoraggiati e legittimati. Ho incontrato il presidente del Consiglio Superiore delle Comunicazioni da poco, e mi ha assicurato che sarebbe stato organizzato un sistema di vigilanza per controllare le derive, che sono gravi...
Il Primo ministro israeliano invita gli ebrei a lasciare la Francia per lsraele, lei è d’accordo?
L'aliyah è una scelta, filosofica, religiosa o politico. Scegliere di stabilirsi in Israele non dovrebbe essere un atto imposto dalla paura. Quanto a Benyamin Netanyahu, è un uomo che aveva un solo fratello, ufficiale dell'esercito israeliano, che è morto a Entebbe liberando dei francesi. Un uomo che muore per la libertà degli altri ha il volto della Francia. Quest’uomo politico ha in sé questa ferita. Il Primo ministro israeliano, dunque, è nel suo ruolo, ma non lo è perché ha sollecitato le persone a partire. Lo è perché in Francia gli ebrei non si sentono accettati, non sono a loro agio, se ne vanno perché in alcuni quartieri diventa impossibile vivere apertamente il proprio ebraismo. Un bambino viene molestato a scuola perché è ebreo... gli si cambia scuola, invece di convocare, punire, e quindi di educare. Questa impunità è insopportabile e il destino degli ebrei è sempre un indicatore dello stato della società.
Come si definisce il blasfemo per gli ebrei?
Esiste la nozione di blasfemia per il credente, ma non possiamo proiettare il nostro divieto sugli altri. Sarebbe una forma di complicità. Se qualcosa è blasfemo per me, devo limitarmi a non guardarlo.
Charlie Hebdo è andato troppo lontano?
Dire una cosa del genere è iniziare a giustificare. Se si inizia a dire “libertà di stampa, ma”, quel “ma” è colpevole. Non ci sono “ma”. Libertà di espressione e libertà di stampa sono due fondamenti della nostra democrazia.
Che cosa dice l’umorismo ebraico di tutto questo?
L’umorismo ebraico rende impensabile il rifiuto. Di qualsiasi cosa.
Charlie Hebdo ha scritto in copertina “tutto è perdonato”.

Cosa significa il perdono?
Il perdono è il cuore della civiltà occidentale. Ci permette di liberarci della sensazione di essere schiacciati dalla colpa. Ma non possiamo perdonare finché giustizia non è fatta. Ci sono la ferita e la violenza portate a queste famiglie e alla nostra società. La nostra società di libertà è intaccata. Ci sono macchie sulla nostra bandiera. La lista dei morti per terrorismo si allunga. Sono le famiglie che possono perdonare, non noi. Noi dobbiamo andare avanti. C'è un versetto molto bello che dice “Dio rinnova ogni giorno la creazione del mondo”. Oggi non è il seguito del giorno precedente. È questo il perdono: non essere prigionieri degli errori del giorno precedente, essere in grado di inventare un mondo nuovo, reinventare i nostre rapporti umani e sociali. Questo è quello di cui ha bisogno oggi la Francia.
 
(versione italiana di Ada Treves)
AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - 26 GENNAIO
Memoria, la musica salvata
La musica scritta nei campi di sterminio recuperata e salvata da Francesco Lotoro, musicista e musicologo che da trent’anni con incrollabile tenacia si è prefisso il compito di ridare voce a quelle partiture composte in uno dei momenti più tragici della storia umana, al centro del progetto "Tutto ciò che mi resta" che l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane promuove in un grande concerto che avrà luogo il 26 gennaio all'Auditorium Parco della Musica. Tra i protagonisti Ute Lemper e altri artisti di fama internazionale, che hanno accettato l'invito a far rivivere la musica scritta nei lager in tutti i suoi generi: classica, sinfonica, jazz, klezmer, cabaret.
Nato sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e l’egida della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l'evento ha il patrocinio del Comitato di Coordinamento per le celebrazioni in ricordo della Shoah ed è organizzato dall’UCEI e dalle Associazioni BrainCircleItalia e MusaDoc in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la Fondazione Musica per Roma, con il supporto di DocLab/Intergea e dell’Università Ebraica di Gerusalemme.
Ideato e organizzato da Viviana Kasam, Marilena Francese e Marco Visalberghi in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia e la Fondazione Musica per Roma, il concerto è il proseguimento ideale de “I Violini della Speranza” che nel gennaio 2014 concluse a Roma il Giorno della Memoria con grandissimo successo di pubblico e di critica.
Trasmesso in diretta da Rai5 e in videostreaming sui siti www.tuttociochemiresta.it e www.lastmusik.com, il concerto è a ingresso gratuito. I biglietti potranno essere ritirati presso l’Info Point dell’Auditorium Parco della Musica a partire dal 18 gennaio 2015.
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OSCAR 2015 - GRAND BUDAPEST HOTEL
Zweig, nomination a pioggia
Dopo scommesse da bar, pellegrinaggi al cinema e la cerimonia dei Golden Globes (universalmente riconosciuta come il corridoio prima della luce della ribalta), arrivano le nomination dei film che il 22 febbraio si contenderanno il premio Oscar, in un vortice di tappeti rossi, Brangelina e vestiti haute-couture. Tanti i nomi che sono stati chiamati in causa per mesi, ora però la risposta è solo una, e non potrebbe essere più rosea: con nove candidature, “Grand Budapest Hotel”, il lungometraggio di Wes Anderson si è guadagnato un posto in paradiso. Miglior film, miglior regista, la sceneggiatura originale, la colonna sonora, i costumi (opera della pluripremiata Milena Canonero), make up, montaggio, scenografia e fotografia.
Anderson ha dichiarato di aver mescolato opere di Stefan Zweig come “Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo” (ed Mondadori), “L’impazienza del cuore” (ed. Elliot) e il racconto “Ventiquattro ore nel corpo di una donna” (ed. Garzanti) per ricreare l’ambientazione sognante di un tempo perduto per sempre. Nato a Vienna in una famiglia ebraica abbiente (padre industriale, madre proveniente da una famiglia di banchieri), Zweig è infatti l’incarnazione perfetta di un prolifico impero che fa brillare i suoi ultimi bagliori prima di spegnersi per sempre.
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OSCAR 2015 - ISRAELE tra i protagonisti
Aya, equivoci al volante
Israele approda agli Oscar, anche se alla fine “Ghett” di Ronit e Shlomo Elkabetz non ce l’ha fatta a spuntare la nomination per il miglior film straniero. Le candidature premiano però un altro lavoro israeliano, “Aya”, cortometraggio diretto da Oded Binnun e Mihal Brezis che correrà per l’Academy Award per la categoria Best Live-Action Short Film. Escluso invece il corto “Summer Vacation”, diretto da Sharon Maimon e Tal Granit, sceneggiatrici e registe di “Mita Tova – The Farewell Party”, agra commedia presentata con successo lo scorso anno al Festival di Venezia.
Aya”, scritto da Binnun e Brezis insieme Tom Shoval, una delle voci più interessanti del nuovo cinema israeliano, racconta la storia di una giovane donna (Sarah Adler) che d’impulso accoglie all’aeroporto un professore di musica (Ulrich Thomsen) e lo accompagna in macchina, fingendo di essere il suo autista. Sarah Adler lavora in Francia oltre che in Israele ed è già apparsa in “Notre musique” di Jean-Luc Godard mentre Thomnsen, impegnato in “Banshee”, serie di successo su HBO.
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Qui roma
Tra arte e Memoria
Torna, nella sinagoga di Ostia Antica, l’appuntamento biennale con la rassegna di arte contemporanea “Arte in Memoria” curata da Adachiara Zevi per l’omonima associazione culturale.
Giunta all’ottava edizione, la rassegna si ispira all’iniziativa promossa dalla sinagoga di Stommein, che sopravvisse al nazismo e dove dal 1990 ogni anno un artista è invitato a creare un lavoro originale per il luogo. Nuovi significati, nuove sfumature che arricchiscono un lavoro di “incastonatura” nella memoria cittadina che la stessa Zevi conduce da anni anche per quanto concerne l’apposizione di stolperteine, le pietre d’inciampo che ricordano le vittime della Shoah e della barbarie nazifascista. Presupposto teorico e critico di Arte in Memoria, che si inaugura domenica 18 alle 11, “è che la nostra cultura sia allo stesso tempo ossessionata dalla memoria e catturata dalla dinamica distruttiva dell’oblio”. Perché la memoria  delle tragedie trascorse, recenti e in atto non si risolva nelle commemorazioni e nei discorsi rituali di un giorno, la rassegna coinvolge pertanto la comunità degli artisti “affinché trasformi un luogo di culto in luogo di cultura, ripopolandolo con visioni ispirate alla storia ma radicate nell’attualità”.

(Nell’immagine l'installazione di Ludovica Carbotta)
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SELFIE COLLETTIVO DOPO UN goal
Israele, Totti fa proseliti
Dopo il selfie nel derby Francesco Totti fa proseliti anche in Israele. Ad imitare il campione giallorosso è Ido Exbard, attaccante del Maccabi Nazareth. Dopo un rigore trasformato contro il Maccabi Netanya Exbard si è infatti diretto verso la propria panchina alla ricerca di un cellulare. E poi via col click. Rispetto a Totti ha però cambiato sfondo: niente tifosi, ma i propri compagni di squadra.
 
VENEZIA - incontro con il patriarca moraglia
"Non cediamo a paure e ricatti"
Visita nell'area del vecchio Ghetto per il patriarca di Venezia Francesco Moraglia. Ad accoglierlo il nuovo rabbino capo Scialom Bahbout, il presidente della Comunità ebraica Paolo Gnignati, l'ex presidente Amos Luzzatto, numerosi esponenti del Consiglio. La delegazione ha visitato le sinagoghe, Spagnola e Canton, e il Museo ebraico per recarsi poi nei locali della Kosher House Giardino dei Melograni dove ha incontrato gli operatori dell’informazione per una breve conferenza stampa. “Non bisogna cedere ai ricatti e alle paure” ha affermato Moraglia.
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qui milano
 Declinare la parola Giustizia
Giustizia, misericordia, perdono. Parole dietro cui si nascondono significati profondi, sempre vivi e attuali, su cui, in particolare di fronte a quanto accade intorno a noi in questi giorni, siamo portati a interrogarci. A dare una risposta in chiave ebraica su questi temi è stato ieri rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, nel corso di una lezione su “Giustizia e perdono nelle Scritture Sacre”. Appuntamento tenutosi all'Ambrosiana e organizzato dalla Scuola Ebraica di Milano assieme al Consiglio delle Chiese Cristiane del capoluogo lombardo in occasione della Giornata per il dialogo ebraico-cristiano 2015. L'evento di ieri, a cui erano presenti, assieme a rav Arbib, Chiara Ferrero dell'Accademia ISA di Studi Interreligiosi e Pier Francesco Fumagalli della Biblioteca Ambrosiana, segue l'incontro tenutosi lunedì scorso al Memoriale della Shoah con la lezione di rav Paolo Sciunnach sul binomio pace-guerra, analizzato attraverso i testi della tradizione ebraica.
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pilpul
E noi dove stiamo?
In questi giorni terribili in cui abbiamo avuto ottime ragioni per domandarci se ci sia ancora un futuro per gli ebrei in Europa sono rimasta sconcertata da una frase pubblicata su questa newsletter la settimana scorsa: “Si è mai visto un ebreo chiedere che dalle scuole e dagli ospedali venga rimosso il crocefisso?” Quasi come se opporsi alla presenza del crocifisso nei luoghi pubblici fosse un’assurdità o un’abiezione. Sarebbe troppo lungo in questa sede elencare tutti gli ebrei italiani che in vari ambiti si sono spesi in questa battaglia (che in altri paesi sarebbe scontata) per la laicità delle istituzioni, e ripercorrere tutte le vicende legate a processi, sentenze, prese di posizione pubbliche, interviste e articoli. Per dimostrare che questa scandalosa categoria di persone esiste davvero mi basta dire che sono fiera di farne parte. Il crocifisso non è un simbolo neutro dell’identità europea o italiana: per i cristiani credenti è un’immagine della divinità, e interpretarlo diversamente sarebbe offensivo prima di tutto per gli stessi cristiani.

Anna Segre, insegnante
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Quelli del "se la sono cercata"
Oltre alle solite tesi su complotti di Mossad e Cia, alcuni articoli e commenti comparsi in questi giorni sul web riguardo le vicende di Charlie Hebdo sostenevano che in fondo l’attentato di Parigi, per quanto brutale e abominevole, fosse da attribuire in gran parte all’atteggiamento provocatorio della rivista nei confronti della comunità islamica francese perché imperterritamente avrebbero urtato la sensibilità di molti suoi appartenenti in un momento delicato dove sarebbe in atto un vero e proprio scontro di civiltà. La teoria è che in sostanza i redattori se la siano in “qualche modo cercata”.

Francesco Moises Bassano, studente
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Avanim - Stones
Si può mettere in scena la Shoah? Se lo sono chiesti in molti tra intellettuali e artisti in questi decenni. Non è facile dare una risposta e capire se e come ciò sia lecito, possibile, sensato, rispettoso. Gli Orto-Da Theatre Group (Israele) con il loro spettacolo “Avanim” o “Stones” (Pietre), che andrà in scena il 24 e 25 gennaio al Teatro Rifredi di Firenze e poi al Piccolo di Milano, hanno dato una loro risposta.

Ilana Bahbout
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