
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Perdonatemi,
ma oggi uso questo spazio per parlare di me. Di me in quanto padre.
Perché da padre, con mia moglie, sto affrontando il nuovo problema
sociale della generazione dei nostri figli: il bullismo. Fortunatamente
non si tratta di un bullismo fisico, grazie a Dio non abbiamo intorno
questa realtà, ma di un bullismo più sottile e più difficile da
cogliere e combattere da parte degli educatori ed educatrici che ho
incontrato.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Dopo
i fatti di Parigi qualcosa sta cambiando, non necessariamente in senso
positivo come sembra suggerire l’enfasi dedicata dai media alla
straordinaria manifestazione di piazza al grido di “Je suis Charlie”,
seguita dalla vendita di 3 milioni di copie dell’ultimo numero della
rivista. Altri segnali ci fanno essere meno ottimisti. La Francia si
accorge che i suoi ebrei non si sentono sicuri e protetti e progettano
di andarsene (il che rappresenterebbe una sconfitta senza appello per i
valori della Francia repubblicana). Ma anche i musulmani di Francia si
sentono poco sicuri e tutelati, e sono stati molti gli attentati a
moschee nell’ultima settimana. Domina un senso di paura e si
accavallano gli interrogativi che impediscono di dare
un’interpretazione chiara del momento storico che stiamo vivendo.
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Forze speciali in Belgio, sventato nuovo attacco
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Forze
speciali in azione a Verviers, in Belgio: uccisi due uomini armati,
tornati dalla Siria con l’intenzione di compiere un grande attentato in
Europa. “In tutto il Belgio, il livello di sicurezza è stato innalzato
al livello 3, uno solo prima del livello massimo 4. II passato
attentato al museo ebraico di Bruxelles, compiuto da un sicario venuto
dalla Francia, autorizza a pensare a un’organizzazione internazionale
comunque ben ramificata” scrive Luigi Offeddu (Corriere della sera).
Tornano in Italia Vanessa e Greta, le due cooperanti
rilasciate ieri dopo il pagamento di un cospicuo riscatto ai loro
aguzzini in Siria. L’annuncio del loro rilascio, confermato dal
governo, ha fatto esplodere la gioia e la commozione dei familiari. Ma
contestualmente si apre una polemica politica con il leader leghista
Matteo Salvini che dichiara: “La liberazione delle due ragazze mi
riempie di gioia, ma l’eventuale pagamento di un riscatto che
permetterebbe ai terroristi islamici di uccidere ancora sarebbe una
vergogna per l’Italia” (Repubblica, tra gli altri).
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IL GRAN RABBINO DI FRANCIA HAIM KORSIA
"Nella libertà di espressione
la nostra sola garanzia"
La
sicurezza degli ebrei sta nelle più alte garanzie della libertà
d’espressione e di critica. Chi cerca un collegamento fra i fatti di
Parigi e la situazione d’Israele utilizza un pretesto di comodo. Lo
slancio straordinario dell’11 gennaio e la saldatura con la società che
si risveglia in difesa dei diritti civili deve essere valorizzato e
costituire la base della costruzione di una nuova Europa determinata a
liberarsi una volta per tutte dalla minaccia dell’intolleranza e
dell’estremismo islamico. Il gran rabbino di Francia Haim Korsia fa il
punto sulla situazione alla vigilia dello Shabbat e all’indomani dei
gravi fatti di Parigi in un’intervista che appare sull’edizione odierna
del quotidiano parigino Le Figaro.
“L’islamismo radicale è un problema innanzitutto per l’islam: uccide
una enorme quantità di musulmani, attacca i cristiani d’oriente. Per
quanto riguarda l’ebraismo, si tratta del nemico che li ossessiona. Non
ne faccio dunque un tutt’uno, in Francia non ci sono problemi con
l’Islam istituzionale”.
Il Gran Rabbino di Francia, Haim Korsia, che ha accompagnato in Israele
le famiglie in lutto per gli attentati, torna per la prima volta, una
settimana dopo la cattura degli ostaggi all’Hyper Casher e l’assassinio
di alcuni di loro, sulle sfide che attendono la Francia nella lotta
contro l’islamismo radicale.
Cosa ha imparato da questa settimana terribile?
Che è tutto molto fragile... Sono morte persone che erano andate a
comprare il pane, sono morte persone che scrivevano, altri facevano il
proprio mestiere, erano poliziotti, e sono morti, un addetto alle
pulizie stava facendo il suo lavoro, ed è morto. Mi trovo
nell’incapacità di spiegare l'inspiegabile... Di fronte a un
giornalista la gente piange, ma quando si trova di fronte a un
religioso chiede “perché”... E io non ho una risposta, tranne quella di
accompagnare, di portare le famiglie.
Cosa la preoccupa di più in questo momento?
Nonostante l’impegno costante e la determinazione del governo - sono
mobilitati più di 10 mila uomini - nessuno può realmente sapere.
Dobbiamo costruire quindi una sicurezza all’altezza della minaccia
odierna, e andare verso una nuova cultura di vigilanza. Se tutti ci
proteggiamo l’un l'altro, si crea una cultura di vigilanza collettiva.
Ci si perde in termini di nonchalance, ma si guadagna in efficienza.
Ma si entra in una cultura del terrore...
No, è vigilanza. Si chiude la porta a chiave... Ci sono delle società
dove non si chiudeva nulla a chiave e in cui questa cautela è
stata adottata. Il primo ministro l’ha detto, e bisogna che lo si
sappia: “Siamo in guerra.”
Lei utilizza la parola “guerra”?
No, non è una mia scelta. È del Primo ministro. È anche una parola di
Papa Francesco. Ha detto: “Siamo in guerra su un fronte multipolare” e
non ha torto. Quando si mandano i militari per le strade, è perché ci
si trova in guerra, in qualche maniera. L'unica cosa che funziona
contro la paura è l'azione. L'inazione, al contrario, è paura.
Una società non può vivere sotto minaccia per lunghi periodi...
Dobbiamo svoltare. Confido che il governo ci dirà quando il livello
della minaccia sarà calato. Non si tratterà allora di abbassare la
guardia, ma passare a una vigilanza più serena. Ma soprattutto bisogna
sfruttare lo slancio straordinario dell'11 gennaio. Sfilando, domenica
scorsa, ho pensato alla marcia del 20 agosto 1963 con Martin Luther
King. È là che si è mosso qualcosa verso l’affermazione dei diritti
civili. Non si trattava più solo della lotta dei neri afroamericani, è
diventata quella di tutta l'America. Domenica, in place de la Bastille,
ho sentito che la Bastiglia dell’indifferenza stava crollando. Tutti si
sentivano coinvolti nel destino degli altri.
Ma il radicalismo musulmano resta...
L’islamismo radicale è un problema innanzitutto per l’Islam: uccide una
enorme quantità di musulmani, attacca i cristiani d’oriente. Per quanto
riguarda l’ebraismo, si tratta del nemico che li ossessiona. Non ne
faccio dunque un tutt’uno, in Francia non ci sono problemi con l’Islam
istituzionale. Propongo tuttavia un’idea semplice, che certamente non
potrà risolvere tutto: come lo facciamo noi ogni sabato nelle
sinagoghe, i musulmani potrebbero, ogni venerdì, nelle moschee, pregare
per la Repubblica e per i suoi valori. Questo permette di dare un
significato particolare alla settimana seguente. È anche urgente
organizzare delle attività didattiche sin dalla più tenera età. Abbiamo
sviluppato con le altre religioni dei programmi interreligiosi nelle
scuole, per smontare i pregiudizi. Mi auguro che vengano diffusi in
tutte le scuole della Repubblica.
Ci sono persone che spiegano il radicalismo islamico con la politica israeliana...
È un pretesto che fa comodo agli uni e agli altri, ma che non c’entra
nulla. Israele non ha nulla a che vedere con ciò che sta accadendo in
Iraq, Sudan, o in Pakistan, dove 132 bambini sono morti in un attentato
suicida il 17 dicembre, nell’indifferenza quasi generale...
Perché l'antisemitismo si sta diffondendo in Francia?
Perché si sente accettato, tollerato, legittimato dal silenzio degli
altri. Bisogna controllare ciò che arriva alle famiglie via satellite e
con internet, c’è il rischio di produrre una generazione perduta.
L'antisemitismo e l’odio per gli ebrei vi sono incoraggiati e
legittimati. Ho incontrato il presidente del Consiglio Superiore delle
Comunicazioni da poco, e mi ha assicurato che sarebbe stato organizzato
un sistema di vigilanza per controllare le derive, che sono gravi...
Il Primo ministro israeliano invita gli ebrei a lasciare la Francia per lsraele, lei è d’accordo?
L'aliyah è una scelta, filosofica, religiosa o politico. Scegliere di
stabilirsi in Israele non dovrebbe essere un atto imposto dalla paura.
Quanto a Benyamin Netanyahu, è un uomo che aveva un solo fratello,
ufficiale dell'esercito israeliano, che è morto a Entebbe liberando dei
francesi. Un uomo che muore per la libertà degli altri ha il volto
della Francia. Quest’uomo politico ha in sé questa ferita. Il Primo
ministro israeliano, dunque, è nel suo ruolo, ma non lo è perché ha
sollecitato le persone a partire. Lo è perché in Francia gli ebrei non
si sentono accettati, non sono a loro agio, se ne vanno perché in
alcuni quartieri diventa impossibile vivere apertamente il proprio
ebraismo. Un bambino viene molestato a scuola perché è ebreo... gli si
cambia scuola, invece di convocare, punire, e quindi di educare. Questa
impunità è insopportabile e il destino degli ebrei è sempre un
indicatore dello stato della società.
Come si definisce il blasfemo per gli ebrei?
Esiste la nozione di blasfemia per il credente, ma non possiamo
proiettare il nostro divieto sugli altri. Sarebbe una forma di
complicità. Se qualcosa è blasfemo per me, devo limitarmi a non
guardarlo.
Charlie Hebdo è andato troppo lontano?
Dire una cosa del genere è iniziare a giustificare. Se si inizia a dire
“libertà di stampa, ma”, quel “ma” è colpevole. Non ci sono “ma”.
Libertà di espressione e libertà di stampa sono due fondamenti della
nostra democrazia.
Che cosa dice l’umorismo ebraico di tutto questo?
L’umorismo ebraico rende impensabile il rifiuto. Di qualsiasi cosa.
Charlie Hebdo ha scritto in copertina “tutto è perdonato”.
Cosa significa il perdono?
Il perdono è il cuore della civiltà occidentale. Ci permette di
liberarci della sensazione di essere schiacciati dalla colpa. Ma non
possiamo perdonare finché giustizia non è fatta. Ci sono la ferita e la
violenza portate a queste famiglie e alla nostra società. La nostra
società di libertà è intaccata. Ci sono macchie sulla nostra bandiera.
La lista dei morti per terrorismo si allunga. Sono le famiglie che
possono perdonare, non noi. Noi dobbiamo andare avanti. C'è un versetto
molto bello che dice “Dio rinnova ogni giorno la creazione del mondo”.
Oggi non è il seguito del giorno precedente. È questo il perdono: non
essere prigionieri degli errori del giorno precedente, essere in grado
di inventare un mondo nuovo, reinventare i nostre rapporti umani e
sociali. Questo è quello di cui ha bisogno oggi la Francia.
(versione italiana di Ada Treves)
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AUDITORIUM PARCO DELLA MUSICA - 26 GENNAIO
Memoria, la musica salvata
La
musica scritta nei campi di sterminio recuperata e salvata da Francesco
Lotoro, musicista e musicologo che da trent’anni con incrollabile
tenacia si è prefisso il compito di ridare voce a quelle partiture
composte in uno dei momenti più tragici della storia umana, al centro
del progetto "Tutto ciò che mi resta" che l'Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane promuove in un grande concerto che avrà luogo il 26
gennaio all'Auditorium Parco della Musica. Tra i protagonisti Ute
Lemper e altri artisti di fama internazionale, che hanno accettato
l'invito a far rivivere la musica scritta nei lager in tutti i suoi
generi: classica, sinfonica, jazz, klezmer, cabaret.
Nato sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica e l’egida
della Presidenza del Consiglio dei Ministri, l'evento ha il patrocinio
del Comitato di Coordinamento per le celebrazioni in ricordo della
Shoah ed è organizzato dall’UCEI e dalle Associazioni BrainCircleItalia
e MusaDoc in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
e la Fondazione Musica per Roma, con il supporto di DocLab/Intergea e
dell’Università Ebraica di Gerusalemme.
Ideato e organizzato da Viviana Kasam, Marilena Francese e Marco
Visalberghi in collaborazione con l’Accademia Nazionale di Santa
Cecilia e la Fondazione Musica per Roma, il concerto è il proseguimento
ideale de “I Violini della Speranza” che nel gennaio 2014 concluse a
Roma il Giorno della Memoria con grandissimo successo di pubblico e di
critica.
Trasmesso in diretta da Rai5 e in videostreaming sui siti
www.tuttociochemiresta.it e www.lastmusik.com, il concerto è a ingresso
gratuito. I biglietti potranno essere ritirati presso l’Info Point
dell’Auditorium Parco della Musica a partire dal 18 gennaio 2015.
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OSCAR 2015 - GRAND BUDAPEST HOTEL
Zweig, nomination a pioggia
Dopo
scommesse da bar, pellegrinaggi al cinema e la cerimonia dei Golden
Globes (universalmente riconosciuta come il corridoio prima della luce
della ribalta), arrivano le nomination dei film che il 22 febbraio si
contenderanno il premio Oscar, in un vortice di tappeti rossi,
Brangelina e vestiti haute-couture. Tanti i nomi che sono stati
chiamati in causa per mesi, ora però la risposta è solo una, e non
potrebbe essere più rosea: con nove candidature, “Grand Budapest
Hotel”, il lungometraggio di Wes Anderson si è guadagnato un posto in
paradiso. Miglior film, miglior regista, la sceneggiatura originale, la
colonna sonora, i costumi (opera della pluripremiata Milena Canonero),
make up, montaggio, scenografia e fotografia.
Anderson ha dichiarato di aver mescolato opere di Stefan Zweig come “Il
mondo di ieri. Ricordi di un europeo” (ed Mondadori), “L’impazienza del
cuore” (ed. Elliot) e il racconto “Ventiquattro ore nel corpo di una
donna” (ed. Garzanti) per ricreare l’ambientazione sognante di un tempo
perduto per sempre. Nato a Vienna in una famiglia ebraica abbiente
(padre industriale, madre proveniente da una famiglia di banchieri),
Zweig è infatti l’incarnazione perfetta di un prolifico impero che fa
brillare i suoi ultimi bagliori prima di spegnersi per sempre.
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OSCAR 2015 - ISRAELE tra i protagonisti Aya, equivoci al volante
Israele
approda agli Oscar, anche se alla fine “Ghett” di Ronit e Shlomo
Elkabetz non ce l’ha fatta a spuntare la nomination per il miglior film
straniero. Le candidature premiano però un altro lavoro israeliano,
“Aya”, cortometraggio diretto da Oded Binnun e Mihal Brezis che correrà
per l’Academy Award per la categoria Best Live-Action Short Film.
Escluso invece il corto “Summer Vacation”, diretto da Sharon Maimon e
Tal Granit, sceneggiatrici e registe di “Mita Tova – The Farewell
Party”, agra commedia presentata con successo lo scorso anno al
Festival di Venezia.
Aya”, scritto da Binnun e Brezis insieme Tom Shoval, una delle voci più
interessanti del nuovo cinema israeliano, racconta la storia di una
giovane donna (Sarah Adler) che d’impulso accoglie all’aeroporto un
professore di musica (Ulrich Thomsen) e lo accompagna in macchina,
fingendo di essere il suo autista. Sarah Adler lavora in Francia oltre
che in Israele ed è già apparsa in “Notre musique” di Jean-Luc Godard
mentre Thomnsen, impegnato in “Banshee”, serie di successo su HBO. Leggi
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Qui roma
Tra arte e Memoria
Torna,
nella sinagoga di Ostia Antica, l’appuntamento biennale con la rassegna
di arte contemporanea “Arte in Memoria” curata da Adachiara Zevi per
l’omonima associazione culturale.
Giunta all’ottava edizione, la rassegna si ispira all’iniziativa
promossa dalla sinagoga di Stommein, che sopravvisse al nazismo e dove
dal 1990 ogni anno un artista è invitato a creare un lavoro originale
per il luogo. Nuovi significati, nuove sfumature che arricchiscono un
lavoro di “incastonatura” nella memoria cittadina che la stessa Zevi
conduce da anni anche per quanto concerne l’apposizione di
stolperteine, le pietre d’inciampo che ricordano le vittime della Shoah
e della barbarie nazifascista. Presupposto teorico e critico di Arte in
Memoria, che si inaugura domenica 18 alle 11, “è che la nostra cultura
sia allo stesso tempo ossessionata dalla memoria e catturata dalla
dinamica distruttiva dell’oblio”. Perché la memoria delle
tragedie trascorse, recenti e in atto non si risolva nelle
commemorazioni e nei discorsi rituali di un giorno, la rassegna
coinvolge pertanto la comunità degli artisti “affinché trasformi un
luogo di culto in luogo di cultura, ripopolandolo con visioni ispirate
alla storia ma radicate nell’attualità”.
(Nell’immagine l'installazione di Ludovica Carbotta)
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SELFIE COLLETTIVO DOPO UN goal
Israele, Totti fa proseliti
Dopo
il selfie nel derby Francesco Totti fa proseliti anche in Israele. Ad
imitare il campione giallorosso è Ido Exbard, attaccante del Maccabi
Nazareth. Dopo un rigore trasformato contro il Maccabi Netanya Exbard
si è infatti diretto verso la propria panchina alla ricerca di un
cellulare. E poi via col click. Rispetto a Totti ha però cambiato
sfondo: niente tifosi, ma i propri compagni di squadra.
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qui milano Declinare la parola Giustizia
Giustizia,
misericordia, perdono. Parole dietro cui si nascondono significati
profondi, sempre vivi e attuali, su cui, in particolare di fronte a
quanto accade intorno a noi in questi giorni, siamo portati a
interrogarci. A dare una risposta in chiave ebraica su questi temi è
stato ieri rav Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, nel corso di una
lezione su “Giustizia e perdono nelle Scritture Sacre”. Appuntamento
tenutosi all'Ambrosiana e organizzato dalla Scuola Ebraica di Milano
assieme al Consiglio delle Chiese Cristiane del capoluogo lombardo in
occasione della Giornata per il dialogo ebraico-cristiano 2015.
L'evento di ieri, a cui erano presenti, assieme a rav Arbib, Chiara
Ferrero dell'Accademia ISA di Studi Interreligiosi e Pier Francesco
Fumagalli della Biblioteca Ambrosiana, segue l'incontro tenutosi lunedì
scorso al Memoriale della Shoah con la lezione di rav Paolo Sciunnach
sul binomio pace-guerra, analizzato attraverso i testi della tradizione
ebraica.
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E noi dove stiamo? |
In
questi giorni terribili in cui abbiamo avuto ottime ragioni per
domandarci se ci sia ancora un futuro per gli ebrei in Europa sono
rimasta sconcertata da una frase pubblicata su questa newsletter la
settimana scorsa: “Si è mai visto un ebreo chiedere che dalle scuole e
dagli ospedali venga rimosso il crocefisso?” Quasi come se opporsi alla
presenza del crocifisso nei luoghi pubblici fosse un’assurdità o
un’abiezione. Sarebbe troppo lungo in questa sede elencare tutti gli
ebrei italiani che in vari ambiti si sono spesi in questa battaglia
(che in altri paesi sarebbe scontata) per la laicità delle istituzioni,
e ripercorrere tutte le vicende legate a processi, sentenze, prese di
posizione pubbliche, interviste e articoli. Per dimostrare che questa
scandalosa categoria di persone esiste davvero mi basta dire che sono
fiera di farne parte. Il crocifisso non è un simbolo neutro
dell’identità europea o italiana: per i cristiani credenti è
un’immagine della divinità, e interpretarlo diversamente sarebbe
offensivo prima di tutto per gli stessi cristiani.
Anna Segre, insegnante
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Quelli del "se la sono cercata" |
Oltre
alle solite tesi su complotti di Mossad e Cia, alcuni articoli e
commenti comparsi in questi giorni sul web riguardo le vicende di
Charlie Hebdo sostenevano che in fondo l’attentato di Parigi, per
quanto brutale e abominevole, fosse da attribuire in gran parte
all’atteggiamento provocatorio della rivista nei confronti della
comunità islamica francese perché imperterritamente avrebbero urtato la
sensibilità di molti suoi appartenenti in un momento delicato dove
sarebbe in atto un vero e proprio scontro di civiltà. La teoria è che
in sostanza i redattori se la siano in “qualche modo cercata”.
Francesco Moises Bassano, studente
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Avanim - Stones
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Si
può mettere in scena la Shoah? Se lo sono chiesti in molti tra
intellettuali e artisti in questi decenni. Non è facile dare una
risposta e capire se e come ciò sia lecito, possibile, sensato,
rispettoso. Gli Orto-Da Theatre Group (Israele) con il loro spettacolo
“Avanim” o “Stones” (Pietre), che andrà in scena il 24 e 25 gennaio al
Teatro Rifredi di Firenze e poi al Piccolo di Milano, hanno dato una
loro risposta.
Ilana Bahbout
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