Oscar 2015 – Zweig, nomination a pioggia

gbhotelDopo scommesse da bar, pellegrinaggi al cinema e la cerimonia dei Golden Globes (universalmente riconosciuta come il corridoio prima della luce della ribalta), arrivano le nomination dei film che il 22 febbraio si contenderanno il premio Oscar, in un vortice di tappeti rossi, Brangelina e vestiti haute-couture. Tanti i nomi che sono stati chiamati in causa per mesi, ora però la risposta è solo una, e non potrebbe essere più rosea: con nove candidature, “Grand Budapest Hotel”, il lungometraggio di Wes Anderson si è guadagnato un posto in paradiso.
Miglior film, miglior regista, la sceneggiatura originale, la colonna sonora, i costumi (opera della pluripremiata Milena Canonero), make up, montaggio, scenografia e fotografia; queste le golose categorie che aprono nuove possibilità per il film, un lirico omaggio alle opere del grande scrittore ebreo viennese Stefan Zweig. Ambientato nel grande e magnificente albergo della ridente Repubblica di Zubrowka, il capolavoro di Anderson si concentra sulla spumeggiante figura di Gustave H., il concierge.
Interpretato da Ralph Fiennes, Gustave è un uomo terribilmente affascinante e dal lessico ricercato che ama clienti attempate e dedica la sua vita e la sua energia all’hotel. La situazione precipita quando una delle ricche donne che frequenta muore e lasciandogli in eredità il preziosissimo quadro “Il ragazzo con la mela” e scatenando l’ira funesta dell’inquietantissimo figlio (William Defoe). Gustave inizia dunque la sua fuga accompagnato da Zero Moustafa, il fedele e neo assunto lobby boy e aiutato dai suoi amici della lega dei concierge.
In un profluvio di coloratissmi dolci, i courtesan au chocolat della pasticceria Mendl’s, neve e carta da parati, la vicenda si snoda raccontata da un Zero diventato adulto ad un fantomatico scrittore. Scrittore che altri non è che Stefan Zweig, la penna che ispirerà le stanze, la hall, i volti del Grand Budapest Hotel.
zweigAnderson ha infatti dichiarato di aver mescolato opere di Zweig come “Il mondo di ieri. Ricordi di un europeo” (ed Mondadori), “L’impazienza del cuore” (ed. Elliot) ed il racconto “Ventiquattro ore nel corpo di una donna” (ed. Garzanti) per ricreare l’ambientazione sognante di un tempo perduto per sempre. Nato a Vienna in una famiglia ebraica abbiente (padre industriale, madre proveniente da una famiglia di banchieri) Stefan Zweig è l’incarnazione perfetta di un prolifico impero che fa brillare i suoi ultimi bagliori prima di spegnersi per sempre.
Lo scrittore nasce e vive accompagnato da una prosopopea del Cambiamento: il nuovo secolo si affaccia, le grandi guerre incombono, le persecuzioni sono ad un passo.
Negli anni ’20 lui ed i suoi baffetti erano una celebrità nel vecchio mondo, tanti i viaggi e ricchissime le conoscenze tra le quali spiccano il padre del Sionismo Theodor Herzl e quello della Psicanalisi Sigmund Freud. Piuttosto fantasioso da credere, ma ve li immaginate in un bar specchiato di Vienna mentre mangiano lussuriosi pasticcini e parlano animatamente delle loro idee rivoluzionarie? Dopo che i suoi libri furono dolorosamente bruciati dai nazisti e l’esilio divenne un passo obbligato, arrivò la fine. Il mondo era finito, Zweig finì con lui.
Per tanti anni, ricorda il Forward, ci siamo dimenticati dei suoi libri, fino poi a riscoprirli in grande stile: un film straordinariamente bello che si batte con le unghie e con i denti per conquistare il premio più ambito e un libro, “The Impossible Exile: Stefan Zweig at the End of the World,” che in America ha appena vinto il Jewish Book Council‘s National Jewish Book Award come migliore biografia. Una identità, quella ebraica di Zweig, che è stata ricordata qualche mese fa anche da Nuccio Ordine sul Corriere della Sera Sette parlando del suo “Mendel dei libri” (ed. Adelphi). “In questo breve racconto, narra la storia di un ebreo leggendario e misterioso che dedicava le sue giornate ai libri, seduto in un angolo del caffè Cluck di Vienna: «Li a quel tavolo, e solo a quel tavolo, leggeva i suoi cataloghi e i suoi libri, cosi come gli avevano insegnato a leggere nella scuola talmudica, salmodiando e dondolandosi». Jakob Mendel leggeva come se fosse in estasi, il suo rapimento quando leggeva era così commovente che, da allora il modo in cui gli altri leggono mi è sempre parso profano”.

Rachel Silvera

(16 gennaio 2015)