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25 Gennaio 2015 - 5 Shevat 5775
PAGINE EBRAICHE 24

ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav
Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
Il Faraone indurisce liberamente il suo cuore ben prima che Dio intervenga per renderglielo duro. E la durezza di cuore gli impedisce di capire il chiaro senso  delle piaghe; anche dell'ultima, evidentemente: dopo aver liberato/scacciato gli ebrei, li insegue fino al mare. Chi non vuol vedere non vede; allora come oggi.
 
David Bidussa,
storico sociale
delle idee
Mi piace che Giuntina per riflettere verso il Giorno della Memoria abbia mandato in libreria “Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno”, un libro in cui gli ebrei, esperti di persecuzioni, ma ancora non di genocidi, raccontano al mondo, in tempo reale, le sofferenze che vedono subire da altri. Perché non c’è niente di più antiretorico e di universalistico, nel giorno in cui tutti dicono “io mi ricordo dello sterminio che voi avete subito”,  di invitare a  riflettere su un genocidio di cui nessuno vuol parlare.
 
Memoria e identità
Lunga riflessione sulla Memoria del rav Roberto Della Rocca sul Corriere della Sera di questa mattina. “A quindici anni dall’istituzione del Giorno della Memoria dobbiamo riflettere sugli effetti che questa iniziativa ha messo in moto e contribuire a evitare che questa occasione si consolidi, specialmente per i più giovani, in un rito vuoto, retorico e noioso”. Il presente e il futuro della Memoria al centro della riflessione del Rav, che nell’articolo cui viene assegnato il posto di maggiore evidenza nelle pagine delle Opinioni sottolinea: “È paradossalmente più facile sentirsi ebrei per un nonno deportato ad Auschwitz che assumersi l’impegno di una ricerca costante della propria storia. Le scorciatoie identitarie sono quasi sempre dannose”.
 
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  davar
l'europa e il fondamentalismo islamico
La guerra prevedibile
Nel corso della storia, avvenimenti di portata locale ma di forte impatto su un ampio immaginario collettivo hanno a volte scatenato grandi sconvolgimenti internazionali. Dopo la defenestrazione di Praga nel 1618 scoppiò la guerra dei Trent’anni; dal delitto di Sarajevo nacque la prima guerra mondiale. Si può fare un paragone con gli ultimi atti di terrorismo in Europa? Dopo l’attacco del 24 maggio al museo ebraico di Bruxelles, era prevedibile il massacro di questo gennaio a Parigi alla redazione di Charlie Hebdo e al supermarket Hyper cacher alla Porte de Vincennes? È prospettabile oggi un grande scontro di civiltà come in realtà avvenne nei due casi appena menzionati? E più in particolare, quali sono i ruoli e le prospettive delle comunità ebraiche in questi tempi tempestosi? L’impressione di chi scrive è che sul piano della grande politica internazionale non ci si possa aspettare troppo. Il mondo è oggi molto cambiato da quando grandi eserciti si affrontavano in battaglie frontali, a volte per minuscole ripicche di successione, ma a volte anche per grandi questioni di principio, fino alla conclusione definitiva del conflitto con un chiaro vincitore e un chiaro sconfitto. In passato per vincere bastava forse disarcionare il re della potenza rivale in campo. Nel 1945 c’è voluta la distruzione nucleare americana di due grandi città giapponesi. Nella costellazione attuale, mancano due cose: la chiara definizione politica e logistica delle forze rivali in campo; e, ammesso che si possa definire chi sono le forze contrapposte, la volontà assoluta di prevalere senza concessioni non solo da parte di un lato, ma anche da parte dell’altro. Il mondo occidentale attuale, con il presidente Obama nel ruolo di titubante primus inter pares, è estremamente diviso sulle grandi decisioni strategiche e soprattutto non è deciso a mettere in gioco tutto per conseguire un obiettivo – la difesa a oltranza dei principi etici e civili della società. I bei principi non hanno un’evidente controparte utilitaristica, per lo meno non secondo un primitivo e approssimativo calcolo di tornaconto immediato. La minaccia ai principi si presenta sotto forma di una grande quantità di movimenti fondamentalisti di ispirazioni diverse e anche contrapposte, frazionate e sfuggenti, contradditorie e difficilmente definibili, ma comunque tutte accomunate da un condiviso riferimento ideale a un’antica matrice islamica – vera o immaginata che sia(...).


Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
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l'indagine della pergola-staetsky
L'ombra dell'antisemitismo
Sui quotidiani internazionali si parla molto del senso crescente di insicurezza degli ebrei in Europa. La Francia è sicuramente il paese più problematico, con episodi di antisemitismo sempre più violenti, di cui l'ultimo doloroso capitolo è stata la strage del supermercato casher di Parigi. E se l'ebraismo d'Oltralpe si sente ed è sempre più minacciato, è giusto interrogarsi su quale sia la situazione nel nostro Paese. Di fronte a queste domande assume particolare interesse la recente ricerca condotta da due autorevoli ricercatori di fama internazionale, il demografo Sergio Della Pergola e il dottore di ricerca L.D. Staetsky. “Da vecchie e nuove direzioni. Percezioni ed esperienze di antisemitismo tra gli ebrei italiani”, il titolo dello studio di cui anticipiamo in queste pagine alcuni elementi salienti e che l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane presenterà nella versione in lingua italiana nelle prossime settimane.

I PROBLEMI REALI – La disoccupazione, la corruzione, la crisi economica, il razzismo, la criminalità e l’immigrazione. Prima di parlare di antisemitismo gli ebrei italiani, come tutti gli altri cittadini italiani, sono preoccupati dai molti dei problemi sociali ed economici che flagellano il paese. L’antisemitismo viene solo in settima posizione, precedendo di poco lo stato dei servizi sanitari e l’intolleranza religiosa. Questo non significa che la minaccia del pregiudizio antisemita non sia avvertita. Il fenomeno è visto in ogni caso come un pericolo reale dal 63 per cento dei rispondenti e costituisce comunque un fattore di rilievo. L’aggravarsi della crisi economica e la mancanza di lavoro per i giovani avranno probabilmente ancora accresciuto in questi ultimi mesi la percezione della drammatica situazione sul mercato del lavoro, che costituisce un pensiero condiviso in pratica da tutti.

A CONFRONTO IN EUROPA – L’antisemitismo è un problema e una minaccia per tutti. Ma il quadro europeo fa registrare importanti differenze. La percezione degli ebrei italiani (il 63 per cento identifica l’odio antiebraico come un problema) risulta sopra ai minimi registrati fra gli ebrei inglesi (solo il 48 per cento degli ebrei britannici denuncia il fenomeno) e degli ebrei tedeschi (solo il 57 per cento lo vede come un fattore di preoccupazione). Ma la situazione italiana appare molto meno sensibile di quella avvertita dagli ebrei in Belgio e in Francia. Vista da Bruxelles la minaccia mette in allarme il 79 per cento dei rispondenti, mentre a Parigi si arriva all’86 per cento. Se si pensa che le risposte sono state raccolte prima dei gravissimi attentati al Museo ebraico di Bruxelles e dei drammatici fatti di Parigi di questo gennaio, è probabile che la percezione si sia ancora intensificata.

CHI SONO GLI ANTISEMITI – Se l’antisemitismo è una minaccia, gli antisemiti, chi sono? Secondo la percezione degli ebrei italiani i criteri prevalenti che portano all’identificazione di un antisemita passano prima di tutto attraverso la negazione della Shoah. Molto forte anche il campanello d’allarme suscitato da chi vorrebbe attribuire la responsabilità della crisi economica agli ebrei e alla pari viene percepito come un odiatore scoperto chi dichiara che gli ebrei sfrutterebbero il dramma della Shoah per il proprio tornaconto.
Ma al di là di questa fascia di possibilità, che mette in evidenza casi oggettivamente devianti, patenti e patologici di odio antisemita, in quali altri atteggiamenti si nasconde l’antisemitismo? Nella fascia intermedia entrano in gioco i pregiudizi sull’identità nazionale ed entra in gioco la strumentalità di chi vuole vedere nella crisi mediorientale una responsabilità di Israele e di conseguenza una responsabilità ebraica. Segue un catalogo di piccole aberrazioni dettate dall’ignoranza e dai millenni di sospetto e di separazione ereditata dalla cultura dominante cattolica. Infine un segno positivo e una prova di grande maturità. la ricerca dimostra che gli ebrei italiani a stragrande maggioranza non temono e non vedono con sospetto chi rivolge alla politica israeliana una critica civile e meditata.

SALIRE IN ISRAELE, FUGGIRE DALL’EUROPA – Il 20 per cento degli ebrei italiani dichiara di aver preso in considerazione la possibilità di lasciare l’Italia per salire in Israele. Una percentuale fra le più basse fra quelle registrate nelle diverse realtà europee e che si piazza molto al di sotto della media europea, attestata sul 29 per cento. E, più che una misura reale di coloro che sono effettivamente disposti a emigrare in Israele, un nuovo fattore di misurazione della percezione dell’antisemitismo. Gli ebrei francesi che dichiaravano di aver preso in considerazione l’aliyah era del 46 per cento (e gli esperti confermano che probabilmente sarà ancora molto più alta oggi, sotto l’effetto dei drammatici fatti di Parigi). In Ungheria questa percentuale arriva addirittura al 48. Molte forte, di converso, la percentuale del 70 per cento di ebrei italiani che esclude di aver preso in considerazione l’aliyah, un numero che nella media europea cala al 61 per cento. Da notare infine che in Italia il 9 per cento degli interrogati su questo punto, estremamente delicato, ha preferito non pronunciarsi. Si tratta di una percentuale lievemente superiore in questo caso alla media europea.

COSA CAMBIA DA ROMA A MILANO – Il rapporto sulla percezione dell’antisemitismo consente fra l’altro anche una lettura sociologica sulla diversa sensibilità manifestata dagli ebrei italiani a seconda dell’area geografica di appartenenza. Appaiono differenze importanti in quanto manifestato dagli ebrei che vivono a Roma, nella maggiore realtà ebraica italiana, in quanto dichiarato dagli ebrei milanese e in quanto avvertito dagli ebrei delle realtà meno numerose. In particolare la percezione di un pericolo di antisemitismo e di una crescita del fenomeno antisemita risulta più acuta nella Capitale. Piuttosto elevata anche la preoccupazione di essere coinvolti in eventi ebraici che potrebbero comportare il rischio potenziale di subire un attacco antisemita. Molto interessanti anche i fattori di differenza che distinguono gli ebrei italiani di fronte alla prospettiva di abbandonare l’Italia per affrontare la salita in Israele. In questo contesto solo il 19 per cento degli ebrei romani dichiara di aver preso in considerazione l’opportunità dell’aliyah negli ultimi cinque anni, contro un ben maggiore 26 per cento espresso dagli ebrei milanesi e un 22 per cento espresso dagli ebrei che vivono nelle comunità minori.

Pagine Ebraiche febbraio 2015
RAV LAU A ROMA
Dalle ceneri alla Storia
“Dalle ceneri alla Storia”, questo il titolo del libro autobiografico di rav Israel Meir Lau, già rabbino capo di Israele e rabbino capo di Tel Aviv, finalmente tradotto in italiano per Gangemi editore, che verrà presentato lunedì 26 gennaio alle 10:30 a Roma, nell’Auditorium Antonianum di viale Manzoni 1, alla presenza dell’illustre autore. Il libro è stato presentato anche un paio di settimane fa a Gerusalemme, presso la sede del Tempio Italiano, con la partecipazione di rav Lau, rav Riccardo Di Segni e David Cassuto e la conduzione di Cecilia Nizza. Fra il numeroso pubblico, l’ambasciatore italiano in Israele Francesco Talò e signora. Chi non ha mai sentito parlare rav Lau, non si lasci sfuggire l’occasione. E chi già lo conosce (è stato diverse volte in Italia), sa bene che ogni volta che rav Lau parla suscita una emozione come pochi sanno fare. Non è solo la storia personale del Rav, è il modo di comunicarla che commuove e tocca le corde più profonde del cuore. È la storia di un bambino di 7-8 anni che dalla città polacca di Piotrków fu deportato con la famiglia e altre migliaia di ebrei, passò da un campo all’altro e fu rinchiuso infine nel campo di Buchenwald insieme al fratello Naftali, di una decina d’anni più grande. Proprio grazie a Naftali, scomparso circa due mesi fa, il piccolo Lulek (così era soprannominato) si salvò. Non fu un caso se ciò avvenne. Naftali aveva ricevuto l’incarico dal padre, rabbino capo di Piotrków, prima che fosse deportato e ucciso a Treblinka, di far di tutto per salvare il fratellino che avrebbe dovuto continuare una ininterrotta dinastia rabbinica di 37 generazioni. E così avvenne.

Gianfranco Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano
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qui milanO - IN TANTI AL BINARIO 21
Voci contro l'indifferenza
Milano non dimentica. È un segnale importante quella che arriva oggi dalla città medaglia d'oro alla Resistenza: centinaia di persone hanno infatti deciso di visitare il Memoriale della Shoah (Binario 21), aperto oggi al pubblico con visite guidate gratuite. Un appuntamento dedicato alla Memoria e legato alle celebrazioni del 27 gennaio, data in cui quest'anno ricorrerà il settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz. Per l'occasione, il Memoriale terrà aperte le sue porte al pubblico per tre giorni, compreso oggi, con la possibilità di visitare la struttura, assistere a rappresentazioni teatrali, concerti, proiezioni di film e a dibattiti sul tema delle persecuzioni anti ebraiche. E l'affluenza odierna – previste duemila persone – è la testimonianza di come la cittadinanza sia sensibile di fronte alla necessità di non dimenticare una delle pagine più buie della storia dell'umanità. “Il miglior antidoto contro la l'antisemitismo è la conoscenza” ha ricordato il vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah e dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach, presente oggi per accogliere i visitatori. Milano non dimentica. È un segnale importante quella che arriva oggi dalla città medaglia d'oro alla Resistenza: centinaia di persone hanno infatti deciso di visitare il Memoriale della Shoah (Binario 21), aperto oggi al pubblico con visite guidate gratuite. Un appuntamento dedicato alla Memoria e legato alle celebrazioni del 27 gennaio, data in cui quest'anno ricorrerà il settantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz. Per l'occasione, il Memoriale terrà aperte le sue porte al pubblico per tre giorni, compreso oggi, con la possibilità di visitare la struttura, assistere a rappresentazioni teatrali, concerti, proiezioni di film e a dibattiti sul tema delle persecuzioni anti ebraiche. E l'affluenza odierna – previste duemila persone – è la testimonianza di come la cittadinanza sia sensibile di fronte alla necessità di non dimenticare una delle pagine più buie della storia dell'umanità. “Il miglior antidoto contro la l'antisemitismo è la conoscenza” ha ricordato il vicepresidente della Fondazione Memoriale della Shoah e dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach, presente oggi per accogliere i visitatori.
Dal Binario 21 partì Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah e oggi fondamentale Testimone della Memoria. “La nascita del memoriale restituisce, almeno in parte, la voce a chi non è più tornato a casa”, spiegava Segre al momento della posa della prima pietra. Oggi sono migliaia le persone, i milanesi, che hanno voluto ascoltare quelle voci, ricordare quell'immensa tragedia. “Siamo contenti di vedere moltissimi giovani e tante famiglie con i bambini”, sottolinea Susanna Barki, dell'Associazione Figli della Shoah, ente che gestisce le visite guidate al Memoriale. Un segnale positivo perché quel che è stato non cada nell'indifferenza.


Daniel Reichel twitter @dreichelmoked
qui bologna
A lezione di razzismo
Insegnare il culto della razza, la discriminazione, il pregiudizio alle nuove generazioni. Costruire un sistema educativo improntato sul razzismo e sull'antisemitismo per dividere la società in “noi”, buoni, giusti, ariani, e “loro”, perfidi e crudeli. Questo il tentativo del fascismo che utilizzò la letteratura giovanile, l'editoria scolastica, il fumetto, per influenzare le giovani generazioni e gettare le fondamenta per un'identità nazionale fascista. Una politica pedagogica corrotta e forse poco nota a cui il Museo ebraico di Bologna ha voluto dedicare la mostra A lezione di razzismo. Scuola e libri durante la persecuzione antisemita, inaugurata oggi e curata da Pamela Giorgi (Istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa - Indire), Giovanna Lambroni (Fondazione Ambron Castiglioni, Firenze) e dal direttore del Museo ebraico bolognese Vincenza Maugeri. Questa mostra “ci fa capire come è nell’educazione, nei libri di scuola, nell’insegnamento ai ragazzi che il fascismo costruì le sue politiche razziste e insegnò l’odio per gli ebrei e il disprezzo dei diversi, così come hanno sempre fatto tutti i regimi totalitari”, ha sottolineat il presidente del Museo Guido Ottolenghi, intervenuto assieme al presidente della Comunità ebraica cittadina Daniele De Paz.
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QUI FIRENZE
Raccontare la persecuzione

qui firenze
Avanim, le pietre di Varsavia
 
qui roma
Memorie di famiglia
LA PRIMA EDIZIONE DELL'ISRAEL DAY
Investire nella formazione
TRIESTE FILM FESTIVAL
In silenzio
qui trieste
L'Europa in guerra
qui roma
Pedalando per Settimia
sorgente di vita
I giovani ad Auschwitz
 pilpul
Il complotto
Partiamo da un riscontro: la caratteristica precipua di qualsiasi menzogna è di presentarsi al pubblico come verità inconfutabile, incontrovertibile, indiscutibile. Quando un racconto fittizio è ben strutturato, funziona come un congegno lineare, va avanti in automatico, quasi con un moto inerziale, contenendo in sé i mezzi per non essere demolito in quanto tale. La falsità è – purtroppo assai spesso più forte di qualsiasi tentativo di ricerca della verità. Parliamo volutamente di “ricerca”, poiché è proprio di chi falsifica il presentarsi come colui che ha invece in tasca la “verità” preconfezionata.

Claudio Vercelli
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Nugae - Libri
Il Guardian ha pubblicato una lista dei 15 segni per capire di essere “dipendente dai libri”. Non è di certo il primo giornale a farlo, ma la foto di una ragazza che legge seduta sull'erba sotto un ombrello colorato (très british) davanti a libri giganti tra cui ovviamente un volume di Shakespeare sembra talmente tanto scattata nel Paese delle Meraviglie che vale la pena di leggere lo stesso e dare una possibilità a un inutile elenco.

Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
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