Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Il
Faraone indurisce liberamente il suo cuore ben prima che Dio intervenga
per renderglielo duro. E la durezza di cuore gli impedisce di capire il
chiaro senso delle piaghe; anche dell'ultima, evidentemente: dopo
aver liberato/scacciato gli ebrei, li insegue fino al mare. Chi non
vuol vedere non vede; allora come oggi.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Mi
piace che Giuntina per riflettere verso il Giorno della Memoria abbia
mandato in libreria “Pro Armenia. Voci ebraiche sul genocidio armeno”,
un libro in cui gli ebrei, esperti di persecuzioni, ma ancora non di
genocidi, raccontano al mondo, in tempo reale, le sofferenze che vedono
subire da altri. Perché non c’è niente di più antiretorico e di
universalistico, nel giorno in cui tutti dicono “io mi ricordo dello
sterminio che voi avete subito”, di invitare a riflettere
su un genocidio di cui nessuno vuol parlare.
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Memoria e identità
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Lunga riflessione sulla Memoria del rav Roberto Della Rocca sul Corriere della Sera di questa mattina.
“A quindici anni dall’istituzione del Giorno della Memoria dobbiamo
riflettere sugli effetti che questa iniziativa ha messo in moto e
contribuire a evitare che questa occasione si consolidi, specialmente
per i più giovani, in un rito vuoto, retorico e noioso”. Il presente e
il futuro della Memoria al centro della riflessione del Rav, che
nell’articolo cui viene assegnato il posto di maggiore evidenza nelle
pagine delle Opinioni sottolinea: “È paradossalmente più facile
sentirsi ebrei per un nonno deportato ad Auschwitz che assumersi
l’impegno di una ricerca costante della propria storia. Le scorciatoie
identitarie sono quasi sempre dannose”.
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Leggi
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l'europa e il fondamentalismo islamico La guerra prevedibile
Nel
corso della storia, avvenimenti di portata locale ma di forte impatto
su un ampio immaginario collettivo hanno a volte scatenato grandi
sconvolgimenti internazionali. Dopo la defenestrazione di Praga nel
1618 scoppiò la guerra dei Trent’anni; dal delitto di Sarajevo nacque
la prima guerra mondiale. Si può fare un paragone con gli ultimi atti
di terrorismo in Europa? Dopo l’attacco del 24 maggio al museo ebraico
di Bruxelles, era prevedibile il massacro di questo gennaio a Parigi
alla redazione di Charlie Hebdo e al supermarket Hyper cacher alla
Porte de Vincennes? È prospettabile oggi un grande scontro di civiltà
come in realtà avvenne nei due casi appena menzionati? E più in
particolare, quali sono i ruoli e le prospettive delle comunità
ebraiche in questi tempi tempestosi? L’impressione di chi scrive è che
sul piano della grande politica internazionale non ci si possa
aspettare troppo. Il mondo è oggi molto cambiato da quando grandi
eserciti si affrontavano in battaglie frontali, a volte per minuscole
ripicche di successione, ma a volte anche per grandi questioni di
principio, fino alla conclusione definitiva del conflitto con un chiaro
vincitore e un chiaro sconfitto. In passato per vincere bastava forse
disarcionare il re della potenza rivale in campo. Nel 1945 c’è voluta
la distruzione nucleare americana di due grandi città giapponesi. Nella
costellazione attuale, mancano due cose: la chiara definizione politica
e logistica delle forze rivali in campo; e, ammesso che si possa
definire chi sono le forze contrapposte, la volontà assoluta di
prevalere senza concessioni non solo da parte di un lato, ma anche da
parte dell’altro. Il mondo occidentale attuale, con il presidente Obama
nel ruolo di titubante primus inter pares, è estremamente diviso sulle
grandi decisioni strategiche e soprattutto non è deciso a mettere in
gioco tutto per conseguire un obiettivo – la difesa a oltranza dei
principi etici e civili della società. I bei principi non hanno
un’evidente controparte utilitaristica, per lo meno non secondo un
primitivo e approssimativo calcolo di tornaconto immediato. La minaccia
ai principi si presenta sotto forma di una grande quantità di movimenti
fondamentalisti di ispirazioni diverse e anche contrapposte, frazionate
e sfuggenti, contradditorie e difficilmente definibili, ma comunque
tutte accomunate da un condiviso riferimento ideale a un’antica matrice
islamica – vera o immaginata che sia(...).
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme Leggi
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l'indagine della pergola-staetsky
L'ombra dell'antisemitismo
Sui
quotidiani internazionali si parla molto del senso crescente di
insicurezza degli ebrei in Europa. La Francia è sicuramente il paese
più problematico, con episodi di antisemitismo sempre più violenti, di
cui l'ultimo doloroso capitolo è stata la strage del supermercato
casher di Parigi. E se l'ebraismo d'Oltralpe si sente ed è sempre più
minacciato, è giusto interrogarsi su quale sia la situazione nel nostro
Paese. Di fronte a queste domande assume particolare interesse la
recente ricerca condotta da due autorevoli ricercatori di fama
internazionale, il demografo Sergio Della Pergola e il dottore di
ricerca L.D. Staetsky. “Da vecchie e nuove direzioni. Percezioni ed
esperienze di antisemitismo tra gli ebrei italiani”, il titolo dello
studio di cui anticipiamo in queste pagine alcuni elementi salienti e
che l'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane presenterà nella versione
in lingua italiana nelle prossime settimane.
I PROBLEMI REALI –
La disoccupazione, la corruzione, la crisi economica, il razzismo, la
criminalità e l’immigrazione. Prima di parlare di antisemitismo gli
ebrei italiani, come tutti gli altri cittadini italiani, sono
preoccupati dai molti dei problemi sociali ed economici che flagellano
il paese. L’antisemitismo viene solo in settima posizione, precedendo
di poco lo stato dei servizi sanitari e l’intolleranza religiosa.
Questo non significa che la minaccia del pregiudizio antisemita non sia
avvertita. Il fenomeno è visto in ogni caso come un pericolo reale dal
63 per cento dei rispondenti e costituisce comunque un fattore di
rilievo. L’aggravarsi della crisi economica e la mancanza di lavoro per
i giovani avranno probabilmente ancora accresciuto in questi ultimi
mesi la percezione della drammatica situazione sul mercato del lavoro,
che costituisce un pensiero condiviso in pratica da tutti.
A CONFRONTO IN EUROPA
– L’antisemitismo è un problema e una minaccia per tutti. Ma il quadro
europeo fa registrare importanti differenze. La percezione degli ebrei
italiani (il 63 per cento identifica l’odio antiebraico come un
problema) risulta sopra ai minimi registrati fra gli ebrei inglesi
(solo il 48 per cento degli ebrei britannici denuncia il fenomeno) e
degli ebrei tedeschi (solo il 57 per cento lo vede come un fattore di
preoccupazione). Ma la situazione italiana appare molto meno sensibile
di quella avvertita dagli ebrei in Belgio e in Francia. Vista da
Bruxelles la minaccia mette in allarme il 79 per cento dei rispondenti,
mentre a Parigi si arriva all’86 per cento. Se si pensa che le risposte
sono state raccolte prima dei gravissimi attentati al Museo ebraico di
Bruxelles e dei drammatici fatti di Parigi di questo gennaio, è
probabile che la percezione si sia ancora intensificata.
CHI SONO GLI ANTISEMITI
– Se l’antisemitismo è una minaccia, gli antisemiti, chi sono? Secondo
la percezione degli ebrei italiani i criteri prevalenti che portano
all’identificazione di un antisemita passano prima di tutto attraverso
la negazione della Shoah. Molto forte anche il campanello d’allarme
suscitato da chi vorrebbe attribuire la responsabilità della crisi
economica agli ebrei e alla pari viene percepito come un odiatore
scoperto chi dichiara che gli ebrei sfrutterebbero il dramma della
Shoah per il proprio tornaconto.
Ma
al di là di questa fascia di possibilità, che mette in evidenza casi
oggettivamente devianti, patenti e patologici di odio antisemita, in
quali altri atteggiamenti si nasconde l’antisemitismo? Nella fascia
intermedia entrano in gioco i pregiudizi sull’identità nazionale ed
entra in gioco la strumentalità di chi vuole vedere nella crisi
mediorientale una responsabilità di Israele e di conseguenza una
responsabilità ebraica. Segue un catalogo di piccole aberrazioni
dettate dall’ignoranza e dai millenni di sospetto e di separazione
ereditata dalla cultura dominante cattolica. Infine un segno positivo e
una prova di grande maturità. la ricerca dimostra che gli ebrei
italiani a stragrande maggioranza non temono e non vedono con sospetto
chi rivolge alla politica israeliana una critica civile e meditata.
SALIRE IN ISRAELE, FUGGIRE DALL’EUROPA –
Il 20 per cento degli ebrei italiani dichiara di aver preso in
considerazione la possibilità di lasciare l’Italia per salire in
Israele. Una percentuale fra le più basse fra quelle registrate nelle
diverse realtà europee e che si piazza molto al di sotto della media
europea, attestata sul 29 per cento. E, più che una misura reale di
coloro che sono effettivamente disposti a emigrare in Israele, un nuovo
fattore di misurazione della percezione dell’antisemitismo. Gli ebrei
francesi che dichiaravano di aver preso in considerazione l’aliyah era
del 46 per cento (e gli esperti confermano che probabilmente sarà
ancora molto più alta oggi, sotto l’effetto dei drammatici fatti di
Parigi). In Ungheria questa percentuale arriva addirittura al 48. Molte
forte, di converso, la percentuale del 70 per cento di ebrei italiani
che esclude di aver preso in considerazione l’aliyah, un numero che
nella media europea cala al 61 per cento. Da notare infine che in
Italia il 9 per cento degli interrogati su questo punto, estremamente
delicato, ha preferito non pronunciarsi. Si tratta di una percentuale
lievemente superiore in questo caso alla media europea.
COSA CAMBIA DA ROMA A MILANO
– Il rapporto sulla percezione dell’antisemitismo consente fra l’altro
anche una lettura sociologica sulla diversa sensibilità manifestata
dagli ebrei italiani a seconda dell’area geografica di appartenenza.
Appaiono differenze importanti in quanto manifestato dagli ebrei che
vivono a Roma, nella maggiore realtà ebraica italiana, in quanto
dichiarato dagli ebrei milanese e in quanto avvertito dagli ebrei delle
realtà meno numerose. In particolare la percezione di un pericolo di
antisemitismo e di una crescita del fenomeno antisemita risulta più
acuta nella Capitale. Piuttosto elevata anche la preoccupazione di
essere coinvolti in eventi ebraici che potrebbero comportare il rischio
potenziale di subire un attacco antisemita. Molto interessanti anche i
fattori di differenza che distinguono gli ebrei italiani di fronte alla
prospettiva di abbandonare l’Italia per affrontare la salita in
Israele. In questo contesto solo il 19 per cento degli ebrei romani
dichiara di aver preso in considerazione l’opportunità dell’aliyah
negli ultimi cinque anni, contro un ben maggiore 26 per cento espresso
dagli ebrei milanesi e un 22 per cento espresso dagli ebrei che vivono
nelle comunità minori.
Pagine Ebraiche febbraio 2015
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RAV LAU A ROMA
Dalle ceneri alla Storia
“Dalle
ceneri alla Storia”, questo il titolo del libro autobiografico di rav
Israel Meir Lau, già rabbino capo di Israele e rabbino capo di Tel
Aviv, finalmente tradotto in italiano per Gangemi editore, che verrà
presentato lunedì 26 gennaio alle 10:30 a Roma, nell’Auditorium
Antonianum di viale Manzoni 1, alla presenza dell’illustre autore. Il
libro è stato presentato anche un paio di settimane fa a Gerusalemme,
presso la sede del Tempio Italiano, con la partecipazione di rav Lau,
rav Riccardo Di Segni e David Cassuto e la conduzione di Cecilia Nizza.
Fra il numeroso pubblico, l’ambasciatore italiano in Israele Francesco
Talò e signora. Chi non ha mai sentito parlare rav Lau, non si lasci
sfuggire l’occasione. E chi già lo conosce (è stato diverse volte in
Italia), sa bene che ogni volta che rav Lau parla suscita una emozione
come pochi sanno fare. Non è solo la storia personale del Rav, è il
modo di comunicarla che commuove e tocca le corde più profonde del
cuore. È la storia di un bambino di 7-8 anni che dalla città polacca di
Piotrków fu deportato con la famiglia e altre migliaia di ebrei, passò
da un campo all’altro e fu rinchiuso infine nel campo di Buchenwald
insieme al fratello Naftali, di una decina d’anni più grande. Proprio
grazie a Naftali, scomparso circa due mesi fa, il piccolo Lulek (così
era soprannominato) si salvò. Non fu un caso se ciò avvenne. Naftali
aveva ricevuto l’incarico dal padre, rabbino capo di Piotrków, prima
che fosse deportato e ucciso a Treblinka, di far di tutto per salvare
il fratellino che avrebbe dovuto continuare una ininterrotta dinastia
rabbinica di 37 generazioni. E così avvenne.
Gianfranco Di Segni, Collegio Rabbinico Italiano Leggi
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qui milanO - IN TANTI AL BINARIO 21
Voci contro l'indifferenza
Milano
non dimentica. È un segnale importante quella che arriva oggi dalla
città medaglia d'oro alla Resistenza: centinaia di persone hanno
infatti deciso di visitare il Memoriale della Shoah (Binario 21),
aperto oggi al pubblico con visite guidate gratuite. Un appuntamento
dedicato alla Memoria e legato alle celebrazioni del 27 gennaio, data
in cui quest'anno ricorrerà il settantesimo anniversario della
liberazione di Auschwitz. Per l'occasione, il Memoriale terrà aperte le
sue porte al pubblico per tre giorni, compreso oggi, con la possibilità
di visitare la struttura, assistere a rappresentazioni teatrali,
concerti, proiezioni di film e a dibattiti sul tema delle persecuzioni
anti ebraiche. E l'affluenza odierna – previste duemila persone – è la
testimonianza di come la cittadinanza sia sensibile di fronte alla
necessità di non dimenticare una delle pagine più buie della storia
dell'umanità. “Il miglior antidoto contro la l'antisemitismo è la
conoscenza” ha ricordato il vicepresidente della Fondazione Memoriale
della Shoah e dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto
Jarach, presente oggi per accogliere i visitatori. Milano non
dimentica. È un segnale importante quella che arriva oggi dalla città
medaglia d'oro alla Resistenza: centinaia di persone hanno infatti
deciso di visitare il Memoriale della Shoah (Binario 21), aperto oggi
al pubblico con visite guidate gratuite. Un appuntamento dedicato alla
Memoria e legato alle celebrazioni del 27 gennaio, data in cui
quest'anno ricorrerà il settantesimo anniversario della liberazione di
Auschwitz. Per l'occasione, il Memoriale terrà aperte le sue porte al
pubblico per tre giorni, compreso oggi, con la possibilità di visitare
la struttura, assistere a rappresentazioni teatrali, concerti,
proiezioni di film e a dibattiti sul tema delle persecuzioni anti
ebraiche. E l'affluenza odierna – previste duemila persone – è la
testimonianza di come la cittadinanza sia sensibile di fronte alla
necessità di non dimenticare una delle pagine più buie della storia
dell'umanità. “Il miglior antidoto contro la l'antisemitismo è la
conoscenza” ha ricordato il vicepresidente della Fondazione Memoriale
della Shoah e dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Roberto
Jarach, presente oggi per accogliere i visitatori.
Dal Binario 21 partì Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah e oggi
fondamentale Testimone della Memoria. “La nascita del memoriale
restituisce, almeno in parte, la voce a chi non è più tornato a casa”,
spiegava Segre al momento della posa della prima pietra. Oggi sono
migliaia le persone, i milanesi, che hanno voluto ascoltare quelle
voci, ricordare quell'immensa tragedia. “Siamo contenti di vedere
moltissimi giovani e tante famiglie con i bambini”, sottolinea Susanna
Barki, dell'Associazione Figli della Shoah, ente che gestisce le visite
guidate al Memoriale. Un segnale positivo perché quel che è stato non
cada nell'indifferenza.
Daniel Reichel twitter @dreichelmoked
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qui bologna A lezione di razzismo
Insegnare
il culto della razza, la discriminazione, il pregiudizio alle nuove
generazioni. Costruire un sistema educativo improntato sul razzismo e
sull'antisemitismo per dividere la società in “noi”, buoni, giusti,
ariani, e “loro”, perfidi e crudeli. Questo il tentativo del fascismo
che utilizzò la letteratura giovanile, l'editoria scolastica, il
fumetto, per influenzare le giovani generazioni e gettare le fondamenta
per un'identità nazionale fascista. Una politica pedagogica corrotta e
forse poco nota a cui il Museo ebraico di Bologna ha voluto dedicare la
mostra A lezione di razzismo. Scuola e libri durante la persecuzione
antisemita, inaugurata oggi e curata da Pamela Giorgi (Istituto
nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa - Indire),
Giovanna Lambroni (Fondazione Ambron Castiglioni, Firenze) e dal
direttore del Museo ebraico bolognese Vincenza Maugeri. Questa mostra
“ci fa capire come è nell’educazione, nei libri di scuola,
nell’insegnamento ai ragazzi che il fascismo costruì le sue politiche
razziste e insegnò l’odio per gli ebrei e il disprezzo dei diversi,
così come hanno sempre fatto tutti i regimi totalitari”, ha sottolineat
il presidente del Museo Guido Ottolenghi, intervenuto assieme al
presidente della Comunità ebraica cittadina Daniele De Paz. Leggi
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Il complotto |
Partiamo
da un riscontro: la caratteristica precipua di qualsiasi menzogna è di
presentarsi al pubblico come verità inconfutabile, incontrovertibile,
indiscutibile. Quando un racconto fittizio è ben strutturato, funziona
come un congegno lineare, va avanti in automatico, quasi con un moto
inerziale, contenendo in sé i mezzi per non essere demolito in quanto
tale. La falsità è – purtroppo –
assai spesso più forte di qualsiasi tentativo di ricerca della verità.
Parliamo volutamente di “ricerca”, poiché è proprio di chi falsifica il
presentarsi come colui che ha invece in tasca la “verità”
preconfezionata.
Claudio Vercelli
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Nugae
- Libri |
Il
Guardian ha pubblicato una lista dei 15 segni per capire di essere
“dipendente dai libri”. Non è di certo il primo giornale a farlo, ma la
foto di una ragazza che legge seduta sull'erba sotto un ombrello
colorato (très british) davanti a libri giganti tra cui ovviamente un
volume di Shakespeare sembra talmente tanto scattata nel Paese delle
Meraviglie che vale la pena di leggere lo stesso e dare una possibilità
a un inutile elenco.
Francesca Matalon, studentessa di lettere antiche
Leggi
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