
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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“Salirono
per il mezzogiorno e arrivarono fino a Hebron (Numeri 13,22).” In
realtà il testo originale in ebraico afferma: “arrivò fino a Hevron” al
singolare e non al plurale e i maestri ci insegnano che “chi arrivò” è
Calev che prese distanza dagli altri esploratori ed andò a Hevron sulle
tombe dei padri.
Forse, oggi, salire verso Israele può non essere così difficile, resta
difficile ‘arrivare’ in Israele ed ‘arrivarci’ senza perdere se stessi.
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
storico
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Rischia
di essere molto pesante la perdita che subisce in queste ore il
multiforme mondo del dialogo interreligioso e interculturale in Italia
con la prematura e dolorosa scomparsa di Khaled Fouad Allam (1955-2015).
Fouad aveva infatti avuto la capacità di interpretare anche sul piano
personale un ruolo difficilmente sostituibile, grazie alle sue
straordinarie doti comunicative e a una grande apertura mentale.
Era stato uno dei primi, nel panorama italiano, a capire la necessità
di trasmettere alla società occidentale un’idea non preconcetta e
complessa della realtà e delle trasformazioni del mondo islamico
contemporaneo. Lo aveva fatto con la professionalità dello storico e
del sociologo, prendendo le mosse non da una visione confessionale del
fenomeno, ma ponendo l’accento sulla necessità di comprendere i diversi
modi di essere dell’Islam e ragionando anche sui pericoli delle troppe
semplificazioni che ancora oggi ammorbano la gran parte dei discorsi
(anche politici e anche ad alto livello) sul confronto fra Islam e
Occidente.
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Israele, Hamas e i razzi
che non fanno notizia
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Riprende
il lancio di ordigni dalla Striscia di Gaza verso il Sud di Israele.
Sirene d’allarme in molte località, tra cui Ashkelon, consuete corse
nei rifugi per mettersi al sicuro (fortunatamente gli ordigni non hanno
raggiunto il territorio israeliano). Ma la cosa non sembra fare più
notizia. Tanto che oggi non se ne trova minimamente traccia sui
giornali.
Roma, Comunità al voto. Quarantotto ore all’apertura dei seggi per il
voto di rinnovo del Consiglio della Comunità ebraica romana. Sulle
pagine locali di Repubblica una panoramica sulle quattro liste in corsa
e sulle singole candidature alla presidenza, con proposte che vanno a
inserirsi in una campagna elettorale che viene definita “molto
combattuta, soprattutto su Internet e sui social network”. Repubblica
sceglie di dare voce in particolare a Claudia Fellus, leader di
Binah-Cer posto per tutti, intervistata sulle ragioni della sua
candidatura. “Devono finire l’epoca della litigiosità e dela
sovraesposizione mediatica. Da lunedì il presidente, chiunque sia –
afferma, intervistata da Gabriele Isman – dovrà davvero rappresentare
tutti”.
Sulla prima pagina del Corriere Roma un editoriale di Paolo Conti,
intitolato ‘Comunità ebraica. Il voto e i temi’. Scrive Conti:
“Difficile immaginare quanto potranno contare l’eredità di Pacifici o
la voglia di cambiamento. E quanto peserà, nel complesso, l’atmosfera
plumbea che grava sulla città con la nuvola di Mafia Capitale. O
prevedere se la Comunità davvero sorprenderà, facendo lievitare
l’afflusso alle urne. L’essenziale è che l’ebraismo romano, eletto il
nuovo vertice, metta da parte le divisioni e resti compatto, com’è
sempre accaduto”.
Perché Roma, conclude il giornalista, “ha storicamente un gran bisogno di una Comunità ebraica forte, coesa, unita”.
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qui washington - ajc global forum L'Europa e l'ebraismo "vivo"
Cinque
giorni di dibattiti, conferenze e interventi al Global Forum
organizzato dall'American Jewish Committee a Washington. Sul palco
opinion leader, tra cui Ari Shavit e Caroline Glick, politici, tra cui
Yair Lapid, e uomini di governo, come il primo ministro israeliano
Benjamin Nethanyahu e quello ucraino Arsenij Jacenjuk. Il calibro degli
ospiti, i saluti dei capi di governo di Israele, Giappone, Francia,
Stati Uniti e altri ancora dimostra la rispettabilità che la Ajc ha
raggiunto presso le istituzioni, e il consenso sulla qualità del lavoro
che tutti coloro che ne fanno parte - specialmente il direttore
esecutivo David Harris - svolgono nella tutela dei diritti dei
cittadini ebrei in diverse parti del mondo e per la difesa del diritto
di Israele a esistere.
Ma per quanto importante possa essere il programma, di sicuro la parte
più rilevante è proprio la possibilità stessa per i leader comunitari o
gli attivisti delle kehillot di oltre 70 paesi diversi di incontrarsi,
confrontarsi e creare quindi una rete internazionale di collaborazione.
Per me personalmente questo è stato ancora più vero, avendo partecipato
come parte della delegazione mandata dalla European Union of Jewish
Students. Per una settimana ho vissuto a stretto contatto con ragazzi
attivi nelle unioni giovanili europee, e conosciuto meglio la loro
realtà, le loro battaglie e i loro successi. Non si può non ascoltare
il lavoro che portano avanti e non provare un grandissimo rispetto.
Tuttavia
un aspetto mi ha molto turbata e preoccupata. Nel corso dei giorni mi
sono ritrovata più volte ad ascoltare discussioni e conferenze in cui
si analizzava la possibilità per gli ebrei di continuare a vivere in
Europa: gli attacchi antisemiti dell'ultimo anno hanno suscitato nel
mondo ebraico americano estrema preoccupazione, che viene espressa a
gran voce. Se da una parte fa di sicuro piacere ed è rassicurante
vedere che davanti a eventi terribili che troppo spesso ci fanno
sentire soli invece riceviamo l'attenzione di persone molto lontane da
noi, dall'altra mi rendo anche conto che a favore di questa
preoccupazione viene spesso ignorato quanto sia vivo e attivo
l'ebraismo europeo. In particolare in uno degli ultimi confronti parte
degli oratori (non residenti in Europa) sostenevano con enfasi la
necessità per gli ebrei europei di trasferirsi in Nord America o in
Israele. (...).
Talia Bidussa, presidente Unione Giovani Ebrei d'Italia Leggi
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PAGINE EBRAICHE - CORRIERE DELLA SERA
La demografia del futuro
Dopo l'anteprima apparsa sul numero di giugno del giornale dell'ebraismo italiano Pagine Ebraiche, anche l'inserto Sette
del Corriere della sera ospita una riflessione di Sergio Della Pergola
(nell'immagine) sulle nuove proiezioni demografiche globali del Pew
Research Center di Washington. Numeri, sottolinea l'illustre demografo,
che richiamano “a una seria riflessione sul futuro”.
Le
nuove proiezioni demografiche globali del Pew Research Center di
Washington richiamano a una seria riflessione sul futuro. Conosco
personalmente l’Istituto Pew e i suoi ricercatori, sono stato loro
ospite a Washington, e sono stato uno dei loro consulenti nella ricerca
sull’ebraismo americano compiuta nel 2013 e in un nuovo studio sulle
identità religiose in Israele in corso di elaborazione. Pew è
un’organizzazione indipendente specializzata nello studio delle
religioni nel mondo, ben dotata di ricercatori preparati e di mezzi di
ricerca. Il nuovo studio sulla popolazione mondiale prevede un
incremento da 6,9 miliardi di persone nel 2010 a 9,3 miliardi nel 2050
– un incremento totale di 2,4 miliardi. Oggi il Cristianesimo è la più
diffusa religione nel mondo. Ma circa la metà dell’incremento totale
previsto, 1 miliardo e 162 milioni, è costituito da musulmani, oltre a
750 milioni di cristiani, 352 milioni di hindu, 99 milioni senza
religione, 44 milioni di aderenti a religioni popolari, 3 milioni di
altre religioni, 2 milioni di ebrei (tutti in Israele); è anche
prevista una diminuzione di un milione e mezzo nel totale dei buddisti.
In almeno cinque paesi europei oggi a maggioranza cristiana nel 2050 i
cristiani costituiranno meno della metà della popolazione, sostituiti
come gruppo primario dagli agnostici (Regno Unito, Francia, Olanda) o
dai musulmani (Macedonia, Bosnia-Erzegovina).
Una delle chiavi di questo incremento altamente differenziato sta nella
diversa composizione delle religioni mondiali secondo gruppi di
età(...).
Sergio Della Pergola, Università Ebraica di Gerusalemme
(Pagine Ebraiche giugno 2015)
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QUI MILANO - L'IMPEGNO DI GERUSALEMME
Nepal, i numeri della solidarietà
Oltre
mille persone curate in undici giorni di missione, 150 medici e
operatori sanitari al lavoro, il primo ospedale da campo realizzato a
Kathmandu, messo in piedi in 24 ore. Sono i numeri a parlare e meglio
descrivere l'impegno dell'esercito israeliano e del Maghen David Adom
durante la missione umanitaria in Nepal, avviata immediatamente dopo il
terremoto che ha sconvolto il Paese lo scorso aprile e che è costato la
vita a 8mila persone.
“Mentre
eravamo a Kathmandu, l'Onu ha trasmesso una direttiva alle squadre di
soccorso presenti nella zona chiedendo di portare i feriti all'ospedale
da campo israeliano”, ha spiegato alla Comunità ebraica di Milano il
colonnello di Tsahal Eran Tal-Or, capo medico della missione israeliana
in Nepal, nel corso di una serata organizzata dal Keren Hayesod a cui
hanno partecipato tra gli altri il vicepresidente dell'Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane Roberto Jarach e i presidenti della Comunità
milanese Raffaele Besso e Milo Hasbani.
“Siamo
orgogliosi di poter raccontare l'impegno umanitario di Israele”, ha
sottolineato in apertura Andrea Jarach, nominato recentemente
presidente di sezione del Keren Hayesod, organizzazione internazionale
che ha dato il suo supporto alla missione in Nepal.
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Salutare incoerenza |
Quando dobbiamo parlare di ebraismo di fronte al mondo esterno talvolta siamo in imbarazzo.
Ci sono regole che volutamente non hanno una motivazione dichiarata
esplicitamente, ci sono motivazioni che suonano piuttosto bizzarre:
come possiamo spiegare nell’era di internet e degli smartphone che
celebriamo un secondo giorno festivo perché non siamo sicuri di
conoscere la data esatta in cui cade il primo? Come possiamo spiegare
che italiani abituati a frequentare stabilimenti balneari e a guardare
la televisione si turberebbero di fronte alla vista di una donna? Per
di più ogni ebreo ha un proprio peculiare livello di osservanza e di
conseguenza ciascuno, più o meno consapevolmente, giudica fanatici
coloro che osservano più di lui e assimilati quelli che osservano meno:
come possiamo essere convincenti illustrando il comportamento di
qualcuno che quasi certamente consideriamo fanatico o assimilato?
Eppure forse questo coacervo di regole inspiegabili, spiegazioni
improbabili, contrasti e contraddizioni è salutare: ci libera dalla
tentazione di propagandare un’inesistente religione chiara, coerente,
logica, portatrice di valori positivi che l’intera umanità non può fare
a meno di riconoscere: una convinzione che troppo spesso nel corso
della storia ha portato qualcuno a ritenere che le altre religioni non
avessero ragione di esistere.
Anna Segre, insegnante
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Maldicenza |
Nell’ultima
parashà (Be-ha’lothechà) il Signore punisce Miriam con la tzarà‘ath per
aver parlato insieme ad Aron, con invidia contro Moshe e le sue doti
profetiche. La colpa è quella della maldicenza, uno dei peccati più
gravi e ricorrenti nella Torah.
Oggi la maldicenza, la diffamazione, la denigrazione, il pettegolezzo,
il gossip sono parte del quotidiano, specie del mondo digitale e dei
social network, così come di un certo linguaggio giornalistico e
politico, tanto che sembra che di questa non si possa proprio fare a
meno per intraprendere un discorso. Molto spesso si ferisce il prossimo
per affermare noi stessi, dimostrando così quanto siamo poveri di
contenuti, rendendo la parola un’arma per annientare l’altro anziché un
mezzo per l’edificazione del mondo.
Francesco Moises Bassano, studente
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Gay Pride
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Sfilerà
oggi a Tel Aviv il gay pride: in molti guardano a tale manifestazione
con favore; orgogliosi della democrazia israeliana, del rispetto dei
diritti civili e del business legato al turismo. I miei occhi sono
invece tristi, come lo sarebbero per una manifestazione in cui ci si
dichiara: “Orgogliosi di mangiare maiale o profanare lo shabat in
pubblico”. Questa terra si chiama Eretz Hakodesh (Terra santa),
ricordiamocelo…
Miky Steindler
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