Washington – L’Europa e l’ebraismo “vivo”

talia bidussaCinque giorni di dibattiti, conferenze e interventi al Global Forum organizzato dall’American Jewish Committee a Washington. Sul palco opinion leader, tra cui Ari Shavit e Caroline Glick, politici, tra cui Yair Lapid, e uomini di governo, come il primo ministro israeliano Benjamin Nethanyahu e quello ucraino Arsenij Jacenjuk. Il calibro degli ospiti, i saluti dei capi di governo di Israele, Giappone, Francia, Stati Uniti e altri ancora dimostra la rispettabilità che la Ajc ha raggiunto presso le istituzioni, e il consenso sulla qualità del lavoro che tutti coloro che ne fanno parte – specialmente il direttore esecutivo David Harris – svolgono nella tutela dei diritti dei cittadini ebrei in diverse parti del mondo e per la difesa del diritto di Israele a esistere.
Ma per quanto importante possa essere il programma, di sicuro la parte più rilevante è proprio la possibilità stessa per i leader comunitari o gli attivisti delle kehillot di oltre 70 paesi diversi di incontrarsi, confrontarsi e creare quindi una rete internazionale di collaborazione. Per me personalmente questo è stato ancora più vero, avendo partecipato come parte della delegazione mandata dalla European Union of Jewish Students. Per una settimana ho vissuto a stretto contatto con ragazzi attivi nelle unioni giovanili europee, e conosciuto meglio la loro realtà, le loro battaglie e i loro successi. Non si può non ascoltare il lavoro che portano avanti e non provare un grandissimo rispetto.
ajcTuttavia un aspetto mi ha molto turbata e preoccupata. Nel corso dei giorni mi sono ritrovata più volte ad ascoltare discussioni e conferenze in cui si analizzava la possibilità per gli ebrei di continuare a vivere in Europa: gli attacchi antisemiti dell’ultimo anno hanno suscitato nel mondo ebraico americano estrema preoccupazione, che viene espressa a gran voce. Se da una parte fa di sicuro piacere ed è rassicurante vedere che davanti a eventi terribili che troppo spesso ci fanno sentire soli invece riceviamo l’attenzione di persone molto lontane da noi, dall’altra mi rendo anche conto che a favore di questa preoccupazione viene spesso ignorato quanto sia vivo e attivo l’ebraismo europeo. In particolare in uno degli ultimi confronti parte degli oratori (non residenti in Europa) sostenevano con enfasi la necessità per gli ebrei europei di trasferirsi in Nord America o in Israele. L’Europa non sarebbe più, secondo loro, il posto per noi. Nello specifico si diceva che gli ebrei europei non dovrebbero restare in Europa solo in nome di valori che in Europa non avrebbero mai trovato applicazione. Ora, non mi ha turbato tanto la discussione in sè. Si tratta di opinioni perfettamente legittime, e che ho sentito più volte anche in Europa stessa, anche se personalmente non le condivido. Capisco infatti che i componenti delle comunità ebraiche americane sono per lo più composte da figli e nipoti di persone che a un certo punto o a un altro sono dovute scappare dai propri paesi nativi proprio a causa dell’antisemitismo subito, e che quindi possano vedere gli attacchi che si verificano in Europa come il secondo atto di ciò che è parte della loro memoria familiare. Ma forse da lontano non vedono quello che vedo io, e che quindi forse dobbiamo tutti mostrare meglio.
Le Comunità italiane esistono da secoli, abbiamo la comunità più antica del mondo, Roma; viviamo tutti i giorni il risultato del miscuglio di tradizioni, lingue, riti, cultura, cucina di ebrei provenienti da parti del mondo diverse che per un motivo o per un altro si sono ritrovati qua. Come possiamo rinunciare a tutto questo? Come possiamo semplicemente decidere di rinunciare alla passione che ci lega alle nostre kehillot? In questi giorni si vota a Roma, e se c’è qualcosa che tutte le liti evidenziano è proprio come tutti i romani amino e tengano alla propria Comunità. È assolutamente vero che ci sono atti e sentimenti antisemiti: che siano apertamente tali o nascosti dietro a slogan antisionisti, vanno presi seriamente, affrontati, e dobbiamo trovare il modo migliore per rispondere. È assolutamente vero che troppo spesso i disagi che creano vengono minimizzati, non riconosciuti, o trattati con sufficienza da chi ci rappresenta, e questo è inaccettabile. È assolutamente vero infine che rasenta l’assurdo che ci siano voluti gli attacchi di Parigi (e a volte nemmeno quelli) per risvegliare un senso di solidarietà.
Ma è anche vero che nei campus inglesi, dove il movimento BDS, estremamente radicato e ben organizzato, rende difficile per gli studenti ebrei sentirsi al sicuro dove dovrebbero coltivare il loro sapere e la loro professionalità, ci sono attivisti che creano campagne, sensibilizzano il pubblico e lottano ogni giorno per mettervi fine. E in Francia, a pochi giorni dagli attacchi di Parigi, l’Union des Étudiants Juifs de France ha organizzato un sit in con migliaia di partecipanti, e reclamato il proprio posto. Qualche giorno dopo poi, il primo ministro Manuel Valls ha affermato davanti alle telecamere di tutto il mondo che “non esisterebbe la Francia senza gli ebrei francesi”. È vero infine che con tutti i problemi che esistono, l’attaccamento alle nostre comunità e ai luoghi che ci hanno formato è innegabile, e non può essere gettato via facilmente. Parliamo di come riaffermare il nostro diritto a non aver paura, a decidere per noi stessi. Se un giorno decidessi di andare a vivere in Israele, Nord America o qualsiasi altra parte del mondo voglio farlo esattamente come stanno facendo decine di miei coetanei: perché sarà una mia decisione, perché stabilirò che in quel posto sarò più felice, potrò realizzarmi. Non per paura. Non posso far definire da altri dove devo vivere, a che luogo appartengo. Israele è di sicuro ‘casa’ e ogni giorno dovremmo essere grati della sua esistenza. Ma anche Milano è ‘casa’.
Assistere a queste discussioni mi ha appunto molto scossa, ma anche molto ispirata, pensando a quando sarei tornata. Ho pensato anche a quanto l’ebraismo italiano ed europeo sia forte, variegato, da tutelare; certamente siamo in un momento di crisi, ma questo vuol solo dire che abbiamo immense opportunità per uscirne al meglio.

Talia Bidussa, presidente dell’Unione Giovani Ebrei d’Italia

(12 giugno 2015)