Benedetto
Carucci Viterbi,
rabbino
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Chissà
quante volte le asine vedono più di quanto vedano presunti/presuntuosi
profeti. Purtroppo non tutte parlano come quella di Bilam.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee
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Claudio
Magris ha ricordato mercoledì scorso sul “Corriere” che il «buon
combattimento» morale esige dedizione esclusiva e che “senza
quest’ultima, forse tanti non sarebbero morti per la libertà e per il
bene degli altri”.
È un buon memento per due motivi. Il primo: combattere per la morale
spesso è assorbito dentro la categoria di fanatismo. Il secondo: questa
equivalenza, che fa dei combattenti per la fede (religiosa o politica)
gli unici depositari della morale per la quale sono disposti a morire,
riduce i partigiani della tolleranza e del rispetto degli altri a
individui senza morale. Il che è riconoscere ai fanatici un’esclusiva
che non hanno e un primato che non meritano.
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Pericolo dal Sinai |
Diventa
sempre più caldo il territorio del Sinai, dopo le ultime azioni contro
l'Egitto perpetrate dai jihadisti affiliati all'Isis. Una situazione
particolarmente pericolosa per il confinante Israele, scrive Davide
Frattini sul Corriere della Sera, contro il quale venerdì sono stati
lanciati tre razzi rivendicati dal gruppo Ansar Bayt al Maqdis che ha
giurato fedeltà allo Stato Islamico. Per difendersi, Israele avrebbe
già attivato dei droni che controllano la zona nella quale i caccia
egiziani non riescono a volare e acconsentito ad un incremento delle
truppe egiziane al confine. A commentare la situazione Shaul Shay, ex
vice-capo della Sicurezza nazionale: "Dobbiamo sperare che gli egiziani
siano in grado di risolvere i loro problemi prima che si riversino su
di noi. Stiamo assistendo ad un livello di confronto militare mai visto
sul Sinai".
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una PROSPETTIVA RABBINICA inedita
Harry Potter, per le gelatine servirebbe una benedizione
La
manna biblica che gli israeliti mangiarono durante le loro
peregrinazioni nel deserto era esattamente come le Gelatine Tutti Gusti
+ 1 di Bertie Bott, uno dei più apprezzati dolciumi della saga di Harry
Potter.
Quando essa è citata per la prima volta, il suo gusto è descritto come
“tsapihit nel miele” (Esodo, 16:31). Ahinoi, la parola “tsaphihit”
compare una sola volta nella Torah e il suo significato rimane un
mistero. Più avanti, si torna nuovamente sulla manna, sul suo aspetto,
sulla preparazione per il suo consumo, ma ancora una volta la
descrizione rimane vaga (Numeri 11:7).
I Saggi attribuiscono a questa fonte di sostentamento proprietà
magiche, suggerendo che la manna potrebbe assumere praticamente ogni
sapore. Nei versi che immediatamente precedono la sua descrizione, gli
ebrei si lamentano: “Se soltanto avessimo carne da mangiare! Ricordiamo
il pesce che usavamo consumare senza restrizioni in Egitto, i cetrioli,
i meloni, i porri, le cipolle, l’aglio. Ora il nostro stomaco è
raggrinzito. Non c’è nulla di nulla. Nulla se non la manna!” (Numeri
11:4-6).
I rabbini spiegano perché questi cinque tipi di vegetali sono citati
nello specifico. Secondo una prima opinione, la manna poteva avere
qualunque gusto tranne quelli elencati. Secondo una diversa opinione,
non solo la manna assumeva il sapore di qualsiasi sostanza, ma anche la
sua consistenza, con le cinque eccezioni menzionate, di cui si poteva
sì percepire il sapore, ma non la consistenza (Talmud babilonese, Yoma,
75a).
Dunque, secondo la tradizione ebraica la manna è davvero “tutti i
gusti”, inclusi cioccolato, menta, marmellata, spinaci, fegato, trippa,
e presumibilmente persino cerume. E se da un lato c’erano le cinque
eccezioni, dall’altro essa presentava un chiaro vantaggio sulle
gelatine marca Bertie Bott: il sapore si poteva scegliere. Chi si
ritrovava con la manna al gusto di caccola o vomito non aveva che da
biasimare se stesso!
L’esistenza della manna tutti gusti più uno solleva però una questione:
qual è la berakhah, benedizione, appropriata da recitare su questo cibo
magico?
La prima risposta è registrata in un manoscritto tedesco del XIV secolo
del Sefer Hasidim: “Sulla manna pronunciavano la benedizione
‘[Benedetto sii Tu, o Signore, Re dell’universo] che dà il pane dal
Cielo”. Le berakhot prima dei cibi seguono una formula standard. Aprono
con le parole “Benedetto sii Tu, o Signore, Re dell’universo” e
continuano con il riferimento al tipo di alimento che sarà ingerito.
L’enunciazione della seconda parte è solitamente ripresa dalla Torah:
alla manna ci si riferirebbe dunque attraverso il suo soprannome
biblico – “pane dal Cielo” (Esodo 16:4, Salmi 78:24; 105:40, Neemia
9:15). Un altro studioso a occuparsi della questione fu il prolifico
autore italiano rav Menahem Azaria da Fano (1548-1620). In un lavoro
pubblicato nel 1863, egli descrive il pasto celebrativo della Fine dei
Giorni, che includerà un vasetto di manna del deserto, preservato
espressamente per l’occasione. Quale la benedizione? “Benedetto sii Tu
(...) , che offri il pane dal cielo”. Presumibilmente, il rav non aveva
accesso al Sefer Hasidim, dunque arrivò a elaborare quest’opinione in
modo indipendente.
La domanda è posta di nuovo in Galizia, come riferito da rav Tsevi
Elimelekh Shapira (1783-1841). Egli ricorda che rav Tsevi Hirsh
Eichenstein di Żydaczów (1763- 1831) chiese quale benedizione andasse
recitata sulla manna. Uno studente suggerì che non ne era necessaria
alcuna! Secondo la tradizione mistica, ogni cosa fisica ha un elemento
di divinità, senza il quale non esisterebbe. In questa prospettiva,
recitare una benedizione estrae il divino da ciò che è terreno. La
manna non contiene alcuno scarto, è interamente divina. Di conseguenza,
niente benedizione!
Il grande studioso di Bagdad rav Yosef Hayim (1834-1909) non approvava
questo approccio. Secondo lui, le benedizioni sono anche una forma di
ringraziamento per l’abbondanza concessa da Dio. E sicuramente per la
manna l’Onnipotente era da ringraziare! Il rav suggerisce dunque una
soluzione leggermente diversa. “Benedetto Tu (...) che fai piovere il
pane dal Cielo”. Infatti, la manna scendeva dal cielo e in due passaggi
biblici viene usato lo stesso verbo riferito alla pioggia (Esodo 16:4,
Salmi 78:24).
In Polonia, il rav Meir Don Plotzki (1867-1928) propose che sulla manna
si recitasse la stessa berachà dei vegetali, poiché la Torah descrive
gli israeliti nell’atto di andare a raccoglierla (Esodo 16:4-5, 16-18,
21-22, 26-27). Plotzki spiega che il verbo “raccogliere” è usato quando
c’è un legame diretto con il suolo: la manna dunque doveva essere stata
cresciuta in qualche modo da esso, perciò andava detto “Benedetto Tu
(...) che hai creato il frutto della terra”.
Mentre non possiamo determinare con certezza la benedizione per la
magica manna, guardare all’ampiezza di questi ragionamenti ci ricorda
che la tradizione ebraica riserva spazio per il pensiero creativo e la
fantasiosa esplorazione di mondi diversi. Mondi come la realtà
incantata di Harry Potter.
Levi Cooper, rabbino Pardes Institute of Jewish Studies
Pagine Ebraiche luglio 2015, Dossier Magia
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a pochi giorni dalla scomparsa
Nicholas Winton (1909-2015)
La parola a chi fu salvato
Cinquecento
parole. È questo lo spazio messo a disposizione dal New York Times a
tutti i “Winton’s Children”, i 669 bambini ebrei messi in salvo dalla
persecuzione nazista da Sir Nicholas Winton, e anche i loro figli e
nipoti, per raccogliere le loro testimonianze e raccontarle al mondo.
L’appello è stato lanciato dall'autorevole quotidiano nei giorni
seguenti la scomparsa, all’età di 106 anni, dell’eroe che per
cinquant’anni non aveva rivelato a nessuno la storia di come nel 1939
aveva messo centinaia di bambini su un treno in partenza dalla
Cecoslovacchia per portarli in Inghilterra.
“Questi sopravvissuti, molti dei quali oggi hanno tra i 70 e gli 80
anni, si riferiscono ancora a se stessi come ‘i bambini di Winton. Il
New York Times vorrebbe sentire la storia raccontata dai ‘bambini di
Winton’ originali e dai loro discendenti, il cui numero supera i 6000”
scrive il Nyt. E sotto uno spazio dove presentarsi, caricare foto e
documenti, e soprattutto mettere per iscritto e condividere la propria
vicenda.
La scoperta dell’eroismo di Sir Winton è avvenuta nel 1988, quando sua
moglie ha ritrovato un quaderno di appunti in soffitta. “Non l’ho
tenuta segreta – avrebbe poi affermato – semplicemente non ne ho
parlato”. Lo stesso anno Winton è stato invitato al programma “That’s
life” della BBC, ed è lì che per la prima volta ha incontrato a
sorpresa alcuni dei bambini che ha salvato, seduti accanto a lui fra il
pubblico e alzatisi in piedi su richiesta della conduttrice.
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MUSICA - IL FENOMENO DEL MOMENTO
Gli Usa ballano con Daniel Koren
Guardi
i suoi video la prima volta e dici a te stessa: "Questo uomo è
completamente fuori di testa!". Suona il piano e dialoga con un monitor
sul quale sono proiettati tante versioni di sé con una testa enorme e
un corpo piccolissimo. Li riguardi di nuovo e pensi: "No, mi sbagliavo,
questo uomo è un genio". Probabilmente, in fin dei conti, Daniel Koren
è entrambe le cose. E proprio per questo piace da impazzire ai
newyorkesi in uscita libera a Brooklyn.
Israeliano di Holon, classe '84, Koren ha conquistato il pubblico e
quasi mezzo milione di click su youtube per le sue eclettiche
performance: compone, suona, realizza video multimediali con i quali
dialoga, fa battute tra il demenziale e il sopraffino, sembra non dire
nulla eppure senti che in fondo cela un messaggio universale; ha
qualcosa che lo fa sembrare un intellettuale engagée. In altre parole
il musicista-comico, così ama definirsi, ha tutte le carte in regola
per entrare con fierezza nella lista virtuosa benedetta dai cosiddetti
hipster, radical chic e yuccie (la nuova definizione di tendenze
antropologiche che indica gli 'young urban creative' lettori di
Jonathan Franzen e amanti i dolci biologici) che popolano la scena
artistica della Grande mela o che per lo meno la nutrono.
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ITALIA EBRAICA LUGLIO 2015
Porte aperte e grandi ritorni
La
festa di una Comunità, ma soprattutto la festa di una città intera, che
si riappropria di un luogo fondamentale della propria storia e cultura.
Con questa consapevolezza rappresentanti delle istituzioni, delle
comunità ebraiche nazionali e del territorio, tanti comuni cittadini,
si sono ritrovati in via Palestro, a Pisa, per la reinaugurazione
dell'ottocentesca sinagoga realizzata dal grande protagonista
dell'architettura ebraica post-emancipatoria Marco Treves, che deve la
sua fama anche alla sinagoga di via Farini a Firenze. È l'immagine con
cui si apre il numero di luglio del giornale di cronache comunitarie
Italia Ebraica.
A cinquecento anni dalla cacciata, i discendenti degli ebrei residenti
nel comune abruzzese che assunsero collettivamente il toponomico
Tagliacozzo hanno fatto idealmente ritorno a casa ricevendo la
cittadinanza onoraria dalle mani del sindaco Maurizio Di Marco Testa.
L'iniziativa, frutto della collaborazione tra amministrazione comunale,
Pro Loco, Centro di Cultura Ebraica, Comunità di Roma e Unione delle
Comunità Ebraiche Italiane, ha visto la partecipazione di oltre una
cinquantina di Tagliacozzo, giunti in gran parte dalla Capitale ma
anche da Ancona, Torino, Venezia e Israele.
In rilievo anche la pubblicazione del volume “Mörderische Heimat”
(“Quando la patria uccide”), che la Comunità ebraica di Merano ha
commissionato a Joachim Innerhofer e Sabine Meyr per svelare le pagine
di odio e intolleranza che furono il preludio alla deportazione degli
ebrei dell'Alto Adige nei campi di sterminio nazisti. “L'impegno che ci
siamo assunti è quello di contribuire a fare chiarezza sul passato. Un
passato troppo spesso riposto in un angolo” sottolinea la presidente
della Comunità ebraica e consigliere UCEI Elisabetta Rossi Innerhofer.
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Se Atene piange |
La
oramai interminabile crisi greca è in realtà l’epitome e il suggello di
una crisi europea senza apparenti vie d’uscita. Quanto meno se le cose
rimangono così come sono, ovvero consegnate ad un pantano che si fa
palude.
Parrebbe quasi che chi più tenta di muoversi maggiormente sia
condannato a sprofondare nelle sabbie mobili. Detto per inciso:
comunque vada il referendum che è in corso di svolgimento in queste
ore, per Atene il futuro sembra essere drammaticamente segnato da un
orizzonte fosco. L’indebitamento strutturale è divenuta una condizione
che sancisce l’impraticabilità di vie che un tempo, invece, sarebbero
state percorse come la risposta tanto necessaria quanto spontanea ai
quesiti del tempo presente.
Con una chiosa, ossia che la spada di Damocle del debito sovrano non è
solo una situazione finanziaria che segnala la patologia economica di
un paese ma, nel mentre, è divenuta una condizione ideologica con la
quale si tengono in pugno le esistenze di milioni di persone, imponendo
ad esse radicali mutamenti negli stili di vita che a loro volta si
traducono in perdita di diritti, in assenza di opportunità, in
marginalità crescente, in sfaldamento delle prospettive di esistenza e
così via. Nessuna economia, che si basa invece su processi fiduciari e,
quindi, su aspettative di evoluzione verso il preferibile (e non su
attese di declino) può ripartire se le premesse rimangono queste. La
nozione stessa di investimento per lo sviluppo si sfalda in tali
frangenti. La percezione diffusa è che quindi si abbia a che fare con
impalpabili e invisibili ladri del nostro futuro.
Claudio Vercelli
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