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13 novembre 2016 - 12 Cheshvan 5777
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per netanyahu È "un grande amico", per gli analisti un'incognita

Il terremoto Trump e quelle promesse a Israele

img headerUna conversazione calorosa tra due persone “che si conoscono da molto tempo” e un invito a incontrarsi alla Casa Bianca alla prima occasione possibile. Così l’ufficio del Primo ministro d’Israele Benjamin Netanyahu ha riassunto il colloquio telefonico avvenuto la scorsa settimana tra lo stesso Netanyahu e il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump. “Trump è un vero amico d’Israele” con cui lo Stato ebraico lavorerà per “portare avanti la sicurezza, la stabilità e la pace nella nostra regione”, aveva dichiarato Netanyahu nel suo messaggio di auguri al neoeletto presidente. Concetti ribaditi durante la telefonata intercorsa tra i due, e sui quali si interrogano analisti e media israeliani: la domanda più ricorrente è “cosa significa la presidenza Trump per Israele e per il Medio Oriente?”. A seguire, quella strettamente connessa, “Trump darà seguito alle promesse elettorali legate a Israele?”.
Una delle promesse fatte da Trump la scorsa estate al Congresso dell’Aipac – la più grande organizzazione americana a sostegno d’Israele – è stata quella di spostare, una volta diventato presidente, l’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo formalmente quest’ultima come Capitale d’Israele. “Siamo fiduciosi che Trump continuerà a rinforzare la nostra città, riaffermando la sua sovranità e spostando qui l’ambasciata Usa”, il messaggio inviato al nuovo inquilino della Casa Bianca dal sindaco della Capitale israeliana Nir Barkat. Intervistato dalla radio dell’esercito Galei Zahal, il consigliere per Israele di Trump, Jason Greenblatt, non ha esplicitamente confermato lo spostamento dell’ambasciata ma ha detto che il neopresidente “è un uomo che mantiene la parola”. “Lui – ha proseguito Greenblatt – riconosce il legame storico tra gli ebrei e Gerusalemme, a differenza dell’Unesco”.

d.r.  

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la riflessione del referente etico di tsahal 

Asa Kasher: "La retorica del presidente Trump
è il segno dell'abbrutimento della democrazia"

img headerAsa Kasher, il filosofo a cui Israele ha affidato la redazione del codice etico del suo esercito (Tsahal), è intervenuto negli scorsi giorni molto duramente sulla elezione di Donald Trump. “Il mondo sta riempiendo di congratulazioni Trump per la sua elezione a prossimo Presidente degli Stati Uniti. Chiedo a chiunque scriva le congratulazioni israeliane di non farlo a mio nome”, ha scritto in un post pubblicato sui social network Kasher, decisamente contrario al nuovo inquilino della Casa Bianca.
In molti nel mondo ebraico si interrogano su come sarà Trump da presidente e non sono poche le voci che sostengono che la sua elezione sia un'ottima notizia per Israele (in primis, il Primo ministro Benjamin Netanyahu). Tra queste però non figura il filosofo israeliano, che anzi rincara la dose, descrivendo The Donald come “il chiaro frutto di processi di abbrutimento che si snodano attraverso le società civili dei paesi democratici”. Per Kasher, il magnate fa parte di un sistema che accetta “il razzismo, l'odio, l'aggressività, la violenza contro le donne”, a cui si somma “l'estrema scortesia” dell'uomo Trump.
Opinioni personali che però arrivano da una figura molto autorevole in Israele, tanto da aver ricevuto nel 2000 la massima onorificenza conferita dallo Stato ebraico, l'Israel Prize. Kasher peraltro non è una di quelle figure riconducibili alla sinistra più radicale israeliana, con cui anzi entrò in polemica diverse volte: è stato aspramente criticato ad esempio dal noto fondatore del movimento Gush Shalom Uri Avnery per aver difeso la possibilità che l'esercito israeliano colpisca target terroristici anche in presenza di civili.

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la prima squadra di ciclisti professionisti d'israele e la corsa in qatar

Ciclismo, una Stella per scrivere la storia

img headerStrette di mano negate, sguardi velenosi, la mancata condivisione di uno spazio in comune con atleti di un paese che si detesta visceralmente e su cui vien facile scaricare il proprio rancore e le proprie frustrazioni. L’estate olimpica ha confermato come parti consistenti del mondo arabo siano ancora inquinate da un risentimento anti-israeliano che in modo violento si ripercuote anche nello sport ai più alti livelli, contaminandolo con azioni e comportamenti che niente hanno a che fare con l’agonismo, la passione, la voglia di competere ed emergere. Come dimenticare ad esempio la vicenda del judoka egiziano Islam el-Shehaby che, battuto, ha negato la mano al collega israeliano Or Sasson. O ancora la vergognosa decisione della federazione libanese, che si è rifiutata di viaggiare assieme alla rappresentativa dello Stato ebraico sul pullman diretto alla cerimonia inaugurale dei Giochi. Non il primo, non l’ultimo di una serie di episodi che da tempo ormai immemorabile gettano un velo di infamia non soltanto su chi li compie ma anche su chi, almeno in teoria, avrebbe il compito di vigilare e intervenire con sanzioni più incisive. Tanto più l’ostilità verso i colori di Israele è accentuata, tanto più quella che dovrebbe essere la normalità diventa invece (tristemente) un fatto straordinario. Non sorprende quindi che la recente partecipazione a una corsa in Qatar del Cycling Academy Team, la prima squadra israeliana di ciclismo a livello professionistico, sia stata vissuta come un fatto eclatante.

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l'idea di alcuni giornalisti 

Dove mangiare alla Knesset

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Si chiama “Pinuknesset” (cibo alla Knesset) ed è il gruppo Whats App creato da Shai Doron, ex corrispondente parlamentare per il sito Nana10 News, con l'obiettivo di assaggiare cibo gratuitamente alla Knesset, il parlamento israeliano. Doron ha creato il gruppo per condividere con alcune delle persone vi lavorano tutti gli eventi in cui, all'interno del grande complesso parlamentare di Gerusalemme, viene offerto un buffet gratuito. Durante i suoi primi mesi di attività, il gruppo è diventato subito molto attivo – racconta il sito d'informazione online ynet - e l'idea è stata anche adottata dal Reichstag tedesco. Queste le regole per “lo scrocco” scritte da Doron agli altri 75 membri di Pinuknesset: “Se si individua la possibilità di uno spuntino, si aggiorna il gruppo, includendo la posizione dell'evento, il tipo di cibo servito e se c'è o ci sono guardie lì per proteggerlo.

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i vigneti del golan e del negev   

La terra promessa del vino

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La classifica delle eccellenze stilata dalla redazione è attesa febbrilmente dalle principali cantine internazionali. Ogni anno, esserci o non esserci può condizionare interi processi decisionali e strategie di marketing a media e lunga scadenza. Per questo la scelta della prestigiosa rivista americana Wine Spectator di dedicare in ottobre la propria copertina ai vini di Israele (il numero è stato stampato alla vigilia di Sukkot) è stata accolta con entusiasmo da chi, dal Golan al Negev, di questo vive e nel settore sta investendo molte risorse per affinare i processi produttivi e allinearli a paesi storicamente al vertice del settore. “Surprising Quality From an Emerging Region” titola WS, dando conto del fermento e delle incoraggianti prospettive che sembrano interessare gli addetti ai lavori nello Stato ebraico.



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