Ciclismo, una Stella per scrivere la storia

Strette di mano negate, sguardi velenosi, la mancata condivisione di uno spazio in comune con atleti di un paese che si detesta visceralmente e su cui vien facile scaricare il proprio rancore e le proprie frustrazioni. L’estate olimpica ha confermato come parti consistenti del mondo arabo siano ancora inquinate da un risentimento anti-israeliano che in modo violento si ripercuote anche nello sport ai più alti livelli, contaminandolo con azioni e comportamenti che niente hanno a che fare con l’agonismo, la passione, la voglia di competere ed emergere. Come dimenticare ad esempio la vicenda del judoka egiziano Islam el-Shehaby che, battuto, ha negato la mano al collega israeliano Or Sasson. O ancora la vergognosa decisione della federazione libanese, che si è rifiutata di viaggiare assieme alla rappresentativa dello Stato ebraico sul pullman diretto alla cerimonia inaugurale dei Giochi. Non il primo, non l’ultimo di una serie di episodi che da tempo ormai immemorabile gettano un velo di infamia non soltanto su chi li compie ma anche su chi, almeno in teoria, avrebbe il compito di vigilare e intervenire con sanzioni più incisive. Tanto più l’ostilità verso i colori di Israele è accentuata, tanto più quella che dovrebbe essere la normalità diventa invece (tristemente) un fatto straordinario. Non sorprende quindi che la recente partecipazione a una corsa in Qatar del Cycling Academy Team, la prima squadra israeliana di ciclismo a livello professionistico, sia stata vissuta come un fatto eclatante. In una nazione nota per essere la cassaforte e un solido punto di riferimento logistico-finanziario per alcune sigle terroristiche dell’Islam radicale, gli atleti del team israeliano hanno scritto a loro modo una piccola pagina di storia. Nessun ciclista con la Stella di Davide sul petto (come Guy Sagiv, il giovane campione nazionale) aveva infatti mai gareggiato in un paese arabo con i colori e i simboli di Israele. Un segnale importante a tutto il movimento, a chi tra gli organizzatori questa scelta non l’ha proprio digerita e ha dovuto per forza di cose far buon viso a cattivo gioco. Merito soprattutto della caparbietà di Ran Margaliot, 28enne team manager dall’ottima parlata italiana. Perché c’è molta Italia in questa squadra giovanissima e determinata, che si pone l’obiettivo di entrare al più presto nel circuito Professional (ce la potrebbe fare nel 2017) e di correre prima o poi un grande giro. Magari a tinte rosa. Per gran parte dell’anno la sede degli allenamenti è Lucca. E proprio in Toscana è stata lanciata dal team una sfida emozionante, di cui molto hanno parlato i giornali in marzo: una ciclopedalata sulla strada del coraggio percorsa da Gino Bartali nei mesi più duri. Da Firenze ad Assisi, per onorare la memoria di un campione Giusto. “Siamo atleti, ma siamo soprattutto uomini che difendono valori positivi” spiega Margaliot. Ran è una nostra vecchia conoscenza. Lo intervistammo nel 2011, giovane gregario del campionissimo spagnolo Alberto Contador. Anche quello fu un momento storico per il ciclismo israeliano, che iniziava ad affacciarsi ad alti livelli. Margaliot era stato individuato tra tanti. L’ambasciatore ideale per un movimento in crescita. Sia perché oggettivamente bravo sui pedali, sia per le sue qualità innate di leader e motivatore. E oggi appare a tutti ancora più chiaro. Oltre Doha, c’è un futuro radioso.

Adam Smulevich, Pagine Ebraiche Novembre 2016