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29 Dicembre 2016 - 29 Kislev 5777
PAGINE EBRAICHE 24
ALEF / TAV DAVAR PILPUL
alef/tav


Elia Richetti,
rabbino
Mi-qètz. Un versetto di questa Parashà afferma che “Yosèf era lui il potente del Paese, lui che dava il cibo a tutta la gente del Paese”.
 
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Sergio
Della Pergola,
Università
Ebraica
di Gerusalemme
Con la risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è interrotta la tradizione maturata nel corso degli ultimi decenni di storia diplomatica secondo cui gli Stati Uniti pongono il veto a decisioni che possano sembrare negative nei confronti dello Stato d’Israele. La direttiva è arrivata chiaramente e direttamente dal Presidente uscente Barack Obama all’inizio dell’ultimo dei suoi 96 mesi di mandato presidenziale. In realtà non è successo nulla di nuovo. Il tono del discorso politico internazionale da sempre ripete gli stessi motivi, e in particolare rifiuta la narrativa israeliana riguardante lo stato dei territori occupati al termine della guerra dei Sei giorni del giugno 1967: territori in grandissima parte non annessi, ma tuttavia amministrati sotto la tutela delle forze militari israeliane. Nessun paese al mondo ha mai approvato la costruzione di insediamenti israeliani nei territori e in particolare in Giudea e Samaria, nota internazionalmente come Cisgiordania o West Bank. Tutti i paesi hanno votato contro, sempre, e in tutte le occasioni possibili. Con l’eccezione degli Stati Uniti. Nessun paese al mondo riconosce oggi Gerusalemme come capitale dello Stato d’Israele dove dovrebbero trovarsi le ambasciate di tutti i paesi che hanno rapporti con Israele. Gli Stati Uniti hanno giocato per anni con la retorica del trasferimento della sede diplomatica, ma a tutt’oggi l’ambasciata sta a Tel Aviv. Di fronte a questi fatti ben noti a tutti, lo stato ebraico sotto la direzione di Benyamin Netanyahu – Primo ministro (con interruzioni) fin dal 1996, e nel corso degli ultimi mesi anche ministro degli Esteri – ha giocato una partita diplomatica sciocca e temeraria. Questa politica autolesionista ha seguito due piste principali, entrambe insipienti e nocive per la causa di Israele. La prima pista è stata quella di ostentare in tutte le occasioni militanza politica a favore del partito Repubblicano statunitense, ossia a favore dell’opposizione politica al presidente Democratico in carica. Netanyahu si è accanitamente opposto a Obama in occasione delle diverse successive campagne elettorali, e lo ha addirittura sfidato pubblicamente in occasione di un plateale discorso a Camere americane congiunte. E dopo tutto questo Bibi si lamenta quando Obama compie la sua perfida e sottile vendetta politica negli ultimi sprazzi del suo mandato. Ancora più grave la seconda pista seguita dalla politica estera israeliana. Gli insediamenti nei territori non rappresentano un blocco unico e ineluttabile ma, al contrario, sono composti da varie stratificazioni che evocano situazioni sociologiche differenti e reazioni ben differenziate in Israele e nel mondo.
Esistono i nuovi quartieri ebraici costruiti attorno a Gerusalemme dopo il 1967: Gilo (dove era situata l’artiglieria giordana che nel 1967 cannoneggiava le strade della città), Ramot, Talpiot Mizrach. Chiunque abbia la testa sulle spalle capisce che questi quartieri fanno parte permanente del comune di Gerusalemme, sono abitati non da coloni, ma da normali cittadini urbani, e nessuno sogna che possano essere sgomberati e consegnati a chicchessia. Poi esistono Ma’alé Adumim e Beitàr Élit, due città sui 40-50.000 abitanti a poche centinaia di metri dal vecchio confine, che fungono da quartieri dormitorio per Gerusalemme, anch’esse popolate da pacifici strati sociali medio-bassi. Fanno parte del consenso di ciò che Israele si terrà in qualsiasi accordo con i Palestinesi. Poi c’è il Gush Etzion, il complesso di insediamenti rurali che facevano parte della Palestina ebraica fino al 1948 e sono stati ricostruiti dopo il 1967. Anche questa parte viene raramente messa in discussione nell’ipotesi di un futuro accordo. Poi c’è Ariel, una città più all’interno della Samaria, meno facilmente accessibile. È legittimo discuterne, anche se è improbabile che possa venire rimossa.
 
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Stati Uniti-Israele,
il punto più basso
Sui giornali oggi in edicola pochi dubbi sul fatto che, con l’intervento di aperta condanna degli insediamenti delle scorse ore, si sia toccato il punto più basso delle relazioni tra Stati Uniti e Israele. “Difficile trovare nella memoria storica americana parole così dure contro il governo israeliano, come quelle pronunciate ieri da John Kerry” osserva il Corriere. “Dichiarazioni di inusuale durezza, poco diplomatiche e irrituali per un’amministrazione in uscita” scrive il Sole 24 Ore.
Le parole del segretario di Stato uscente e il successivo tweet di Donald Trump (“Sii forte Israele, tra poco arrivo”) sono oggi analizzati da numerosi opinionisti. Secondo Gianni Riotta (La Stampa), Kerry ha lanciato un monito “da editorialista deluso, non da diplomatico di ferro: senza uno Stato palestinese Israele perde l’identità ebraica o la democrazia”.
“Questo discorso altro non è, nei fatti, che la conferma del retaggio del suo presidente: dopo aver per la prima volta nella storia americana confermato, astendendosi, un voto dell’Onu che condanna Israele, ha lanciato Kerry come un missile contro l’unico stato democratico e laico del Medio Oriente” sostiene invece Fiamma Nirenstein sul Giornale.
 
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  davar
LA CONFERENZA STAMPA DI FINE ANNO
Gentiloni a Pagine Ebraiche:

"Il Medio Oriente è una priorità"
“Se consentiamo al terrorismo islamico di appropriarsi della causa palestinese, corriamo un grave pericolo. Un pericolo che non possiamo permetterci. È un tema che vogliamo riportare al centro dell’agenda”.
Lo ha affermato il Primo ministro Paolo Gentiloni, rispondendo alle domande di Pagine Ebraiche in occasione della tradizionale conferenza stampa di fine anno. “Esiste una strada individuata dalla comunità internazionale, che con i colloqui di Camp David è stata a un millimetro dalla conclusione. La strada è quella dei due Stati. Sfortunatamente si è insabbiata – ha detto Gentiloni – ma resta quella da seguire”.
Il Primo ministro ha poi aggiunto: “Gli insediamenti israeliani non favoriscono la soluzione ‘due Stati, due popoli’ ma è altrettanto sbagliata l’idea che l’isolamento diplomatico costituisca il giusto strumento di pressione nei confronti di Israele. La soluzione può essere raggiunta soltanto attraverso un negoziato”.
Sul tema della sicurezza interna, anche alla luce dei recenti fatti di cronaca, il premier ha inoltre affermato: “Non esistono paesi non a rischio e di questo penso che dobbiamo essere onestamente consapevoli e trasmettere questa onesta consapevolezza ai cittadini”.
“Esistono paesi – ha proseguito Gentiloni – che fanno tutto lo sforzo possibile per prevenire attraverso intelligence e apparati sicurezza. Poi esistono condizioni che differenziano i diversi paesi e, da un lato, l’Italia ha posizione geopolitica esposta: siamo al centro del Mediteranno, che è un’area di crisi tra le più pericolose al mondo. Dall’altro lato, siamo un paese che è riuscito ad avere livelli di convivenza tra comunità diverse meno drammatici di altri paesi”.


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dopo l'inaugurazione alla triennale
Casale, nuova luce per l'incontro
“Immaginate di avere il telefonino con batteria a zero, ma poi riuscite a fare chiamate per una settimana”.
Elio Carmi racconta così, al folto pubblico raccoltosi a Casale per l’accensione della Chanukkiah, il significato e il miracolo della festa ebraica delle luci.
Un nuovo appuntamento a pochi giorni dall'inaugurazione della mostra sulle Chanukkiot del Monferrato al Museo della Triennale di Milano.
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otto giorni otto luci
Essere al centro
Come ti sei fatta bella e come ti sei fatta piacevole, o amore tra le delizie (Cantico dei Cantici 7:7). Il trattato Soferim (20:5) riporta una fonte che afferma che questo versetto alluda sia alla Mezuzà (mah yafyta – come ti sei fatta bella) sia alla Chanukkyà (mah na‘amta – come ti sei fatta deliziosa). La fonte di questa riferimento è lo Zohar (Vaychy, 686) che, al verso relativo alla benedizione di Giacobbe a Issakhar (Egli vede che il riposo è buono e la terra che è deliziosa; Genesi 49:15), la tribù d’Israele che simboleggia gli studiosi della Torà, spiega: “Egli vede che il riposo è buono/tov indica la Torà Scritta, e la terra che è deliziosa/na‘ema indica la Torà Orale”. La Mezuzà, fissata alla destra della nostra porta, rappresenta dunque la Torà scritta e la Chanukkyà, che mettiamo in questi giorni alla sinistra della porta, rappresenta quella orale. E noi? Proviamo a stare nel mezzo.


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Jciak
I giovani delle colline
La condanna dell’Onu e le prese di posizione di Donald Trump e del neoambasciatore americano in Israele li hanno scaraventati di nuovo sulle prime pagine. Ma gli insediamenti ebraici in Giudea e Samaria (West Bank), come del resto quelli di Gerusalemme Est, non hanno mai smesso di far parlare di sé. Sul fatto che siano uno dei nodi più brucianti dello scenario israelo-palestinese non ci sono dubbi. Ma ad aggiungere pepe alla questione è la mutevole galassia dei suoi fondatori, animatori, sostenitori, difficile da decifrare soprattutto nelle sue frange più giovani ed estremiste. A inoltrarsi in questo territorio è Shimon Dotan, 66 anni, regista israelo-americano, che nel documentario The Settlers intervista un centinaio di uomini e donne che vivono negli insediamenti, nello sforzo di raccontare lo sviluppo del movimento dopo il 1967 e la sua ultima evoluzione, la gioventù delle colline.
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  pilpul

Setirot -  Il nodo
Che da anni l’Onu nei confronti di Israele palesi una vera e propria ossessione negativa è fuor di dubbio. Che la leadership palestinese continui a dimostrarsi inaffidabile e comunque debole e corrotta è una mia convinta opinione (che altri ovviamente hanno tutti i diritti di non sottoscrivere e contestare). Che il governo Netanyahu democraticamente eletto sia il peggiore della storia dello Stato di Israele è altrettanto una mia convinta opinione (che altri ovviamente hanno ogni diritto di non sottoscrivere e contestare). Ma senza troppi giri di parole la questione è una e una sola: come possono convivere sincera ricerca di trattative di pace e insediamenti nei territori contesi/occupati?

Stefano Jesurum, giornalista

In ascolto - Irving Berlin
Quest’anno gli americani saranno stati particolarmente felici nell’augurare Happy Chrismukkah, visto che vigilia e primo giorno di entrambe le feste coincidono. Il problema di conciliare le due tradizioni ci riporta ai racconti di Gershom Scholem e alla società ebraica tedesca degli anni ’30, ma il problema di “sintesi” di allora, raffigurato in modo efficace dall’installazione dell’albero di Natale in una sala del Judische Museum di Berlino, oggi non ha lo stesso sapore.
In effetti la musica, al di là di qualche performance di scarsa qualità, non si è proprio lasciata prendere da questo mix, quasi come se volesse dirci che ogni tradizione ha diritto alle proprie melodie ed è possibile cantare le une e le altre senza dover per forza trovare un incontro.


Maria Teresa Milano
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21 gennaio 
A coloro che ritengono Israele isolato politicamente come non mai, andrebbero chieste due cose: la prima perché le posizioni di un presidente degli Stati Uniti uscente e bocciato clamorosamente dagli elettori americani, debbano essere più rilevanti di quelle di un presidente eletto che invece sostiene lo Stato d’Israele insieme alla maggioranza dei membri del Congresso e del Senato. Poi, se e quando terminerà la ricerca spasmodica di essere accettati dal resto del mondo. È lo stesso principio dell’assimilazione, di chi riteneva che bisognasse rifiutare parte della propria identità per essere cittadini migliori.

Daniel Funaro
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Katherine
"Quando arriviamo?”. A Katherine piace ricordare sua madre che le chiede di ripetere la domanda che faceva da piccola piccola, quando – appena partita per un breve viaggio o una semplice gita – alla prima fermata (un semplice stop sulla strada o la prima stazione della metropolitana) già voleva arrivare. Alle ultime pagine di questo romanzo misterioso – una spy story interiore – Katherine è a Ugolgrad, un’isola delle Svalbard, l’arcipelago norvegese dell’estremo nord; non molte settimane prima era a Roma, in motorino o a ballare.

Valerio Fiandra
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Piccola luce
Potremmo pensare a Chanukkah, anche quest’anno, con il sorriso sornione di chi vede che, di nuovo, le Chanukkiot di casa non hanno preso fuoco – con grande fatica abbiamo infatti rinunciato, da qualche tempo, ad accendere quelle bellissime auto prodotte, dopo un tentativo di incendio al davanzale della finestra del salotto nella nostra vecchia casa, ove avevamo fieramente utilizzato una Chanukkiah fatta di das e due di legno (materiale altamente infiammabile quest’ultimo, come dire che ce la siamo cercata, ma il das?).

Sara Valentina Di Palma
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