RiMEIScolando – Esser rilevanti

simonetta della setaLa Conferenza dei musei ebraici europei di Copenhagen si è interrogata attorno alla domanda se i musei ebraici possano essere e rimanere rilevanti, soprattutto in un’Europa che cambia. In un articolato studio, presentato da Brigitte Sion della Rothschild Foundation, è stata chiaramente segnalata la necessità per i musei ebraici di diventare sempre più dei laboratori di attività a scopo multiplo, di sviluppare la collaborazione con altri musei ed altre realtà culturali, di mantenere vive sia la missione particolaristica che quella universalistica e di rivolgersi a un pubblico sempre più diversificato. Nelle diverse discussioni aperte tra direttori dei musei sono emerse altre esigenze: andare oltre il compito di conservare la memoria, soprattutto quella della Shoah; far parlare sempre di più gli oggetti con suggestioni, interpretazioni e storie di vita; aprirsi a nuovi formati narrativi, che non siano solo quelli raccolti nelle mostre (il museo ebraico di Amsterdam, ad esempio, si è rinnovato aprendo al pubblico l’intero quartiere ebraico, il Museo ebraico di Francoforte ha organizzato in estate una zattera sul Meno); trattare anche la cultura ebraica contemporanea e non solo la storia; parlare di identità ed appartenenza, non solo di vita passata; avere infine il coraggio di rompere alcuni stereotipi (non solo ebraici, ma soprattutto ebraici) e perfino essere provocatori. Con un obiettivo ricorrente: essere percepiti come luoghi aperti, dove si possa apprendere la ricchezza della diversità, e dove si possano attrarre i giovani attorno agli interrogativi più attuali. Mi viene da aggiungere: dove si può provare a far entrare i giovani in un sistema di vita che si basa sulle domande e non sulle risposte.
Durante il dibattito che ha aperto la conferenza, ho condiviso alcune interessanti motivazioni espressami da non ebrei sulla importanza di creare in Italia un museo nazionale dedicato all’ebraismo. “I valori ebraici sono universali, vogliamo condividerli”. “Ci interessa imparare dagli ebrei come si fa a mantenere viva una identità e una cultura attraverso tante vicissitudini”. “Vogliamo capire da dove viene la forza, la positività dell’ebraismo”. “In una cultura sempre più multi-identitaria, imparare dagli ebrei è molto utile”. “ Gli ebrei mettono la vita prima di tutto, anche nei momenti più difficili”.
In particolare, confrontando la realtà dell’ebraismo italiano con le altre comunità ebraiche europee, emerge in modo forte la vitalità del nostro retaggio, antichissimo – il più antico d’Europa (seppure sia stata redarguita dalla collega greca) -, eppure ancora in sviluppo, perfino in fermento. Un’altra nostra caratteristica è poco condivisa da altri: il fatto che da 2200 anni dialoghiamo con la realtà circostante. Siamo chiusi e aperti al tempo stesso. “Una miniatura” dell’essenza ebraica, come scrisse nei suoi diari il grande leader sionista Chaim Weizman, dopo aver visitato l’Italia negli anni Venti e aver assaggiato, in un vivace incontro a Firenze, la natura dei suoi ebrei.
In un interessante workshop sui social media, Jonas Smith, a capo della comunicazione digitale della Galleria Nazionale, uno dei musei più importanti della Danimarca, si è raccomandato: “fate di più e pensate di meno, ovviamente assicurandovi che il pensiero su cui comunque vi basate, sia solido ed abbia fonti sicure. Ma fate!”. In definitiva mi sembra un motto molto ebraico. Il moderno Stato di Israele ne ha fatto quasi uno slogan, un mantra. Per essere rilevanti bisogna fare, e a volte anche osare, rimanendo aperti e consapevoli, con i piedi saldi nelle proprie radici.

Simonetta Della Seta, direttore del Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah

(1 dicembre 2016)