identità
Monoteismi: quale visione dei diritti umani
Nelle
conclusioni al convegno “Ebraismo e cristianesimo nell’età dei diritti
umani”, organizzato dalla Fondazione Cukier, Goldstein-Goren e dalla
Facoltà di Teologia di Lugano, Silvio Ferrari, docente di diritto
comparato delle religioni e di diritto canonico, ha sottolineato come
l’interrogativo circa il rapporto intercorrente tra monoteismi e
diritti umani sia privo di risposte univoche. In particolare, mentre i
profili giuridici corrispondenti ai tre monoteismi affondano le loro
radici nella rivelazione, presentando quindi un carattere eteronomo, i
diritti umani, così come li conosciamo, si presenterebbero sulla base
di un autonomo uso della ragione, declinatosi in atto giuridico.
Eteronomia della rivelazione e autonomia del diritto positivo (per
quanto, qualcuno potrebbe far notare, su base di considerazioni
giusnaturalistiche). Ovviamente sul piano pratico tale distanza di
presupposti teorici non costituisce ostacolo all’istituirsi di
convergenze, nella sensibilità dei singoli così come nelle battaglie
collettive. Vale però la pena, proprio in una riflessione interna
all’ambito ebraico, soffermarsi sulle differenze. Dove il monoteismo
impone il rispetto della vita di ciascun essere umano in quanto creato
“a immagine di Dio”, il diritto contemporaneo impone tale rispetto
sulla base dell’autopercezione che l’uomo ha di sé, dunque in base a
considerazioni puramente immanenti.
Cosimo Nicolini Coen
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CONTANDO L’OMER
Esplorando la Psicologia del Profondo
L’ansia
esistenziale descritta ovunque nella Bibbia ma soprattutto nei Salmi di
David ha un ruolo centrale nella psicologia di Carl Jung, il quale
descrive (con sorprendente profondità e cognizione dei testi sacri
ebraici) la depressione e i vari sintomi associati al fenomeno generale
di “soul loss” (perdita del proprio spirito) come una fase
importantissima del processo di guarigione.
Ed è a Jung e alla psicologia del profondo che farò riferimento per
ridare attualità alle parole di Geremia, di Maimonide e dei maestri
della Tradizione Orale che oggi forse dichiarerebbero guerra a una
medicina che consciamente o inconsciamente finisce per estinguere
l’aspirazione alla completezza del Sé superiore nella sua lotta per la
guarigione della psiche e del corpo.
Jung afferma che l’uomo occidentale si ammala perché investe
nevroticamente la sua libido all’esterno (sulla ricchezza, il successo,
le vacanze, le macchine, il “look” ecc.) a detrimento del Sé. Oggi la
maggioranza della gente non sa più intrattenere un rapporto con la
propria anima, né con Dio (meno che nei brevi spazi di qualche
preghiera al tempio o in chiesa). Di conseguenza lo spirito (la Forza
che anima il corpo) vive in stato di esilio (proprio come la Shehinah,
ovvero la divina presenza incarnata nel mondo fisico): il nostro mondo
diventa vuoto, spento, così come diminuisce anche la vitalità del
nostro corpo.
Daniela Abravanel
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Società
Due Europe per salvare
il futuro dell'Europa
Significa
certo qualcosa se a essere sollecitati da uno scritto sul futuro
europeo come quello che abbiamo pubblicato sul «Corriere della Sera»
del io aprile scorso siano stati solo un certo numero di esponenti
politici: nonostante che il maggior spazio di quel testo fosse dedicato
al tema dell'identità storico-culturale della Ue. Un nodo preliminare,
senza sciogliere il quale noi continuiamo a pensare che nessun altro
possa essere sciolto, dal momento che non si è mai visto un soggetto
politico che non sappia dire di quale storia anche spirituale si
consideri erede. Eppure bisogna constatare che su questo punto decisivo
i politici più rappresentativi sembrano non avere nulla da affermare:
forse per la paura di dire qualcosa che si riveli troppo impegnativo.
Più sorprendente è che in Italia neppure il mondo della cultura si
senta spinto a pronunciarsi su un tema simile. La politica e i suoi
vari addetti pensano che vengano innanzi tutto le questioni
istituzionali. Quelle legate all'identità possono aspettare. Del futuro
assetto istituzionale dell'Europa anche noi ci siamo occupati, per la
verità. Ma pensiamo che si debba farlo con un minimo senso della realtà.
Roberto Esposito-Ernesto Galli della Loggia Corriere della Sera, 14 maggio 2017
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Società Dove muore lo Stato risorge la tribù
II
dibattito sul ritorno delle tribù tiene banco in Occidente e in Oriente
evidenziando una generale tendenza alla disgregazione che porta
all'indebolimento degli Stati nazionali e dei rispettivi establishment.
fronti geografici di tali cambiamenti rivoluzionari sono due. Da un
lato ci sono Medio Oriente e Nord Africa, dove la decomposizione degli
Stati arabo-musulmani creati nell'ultimo secolo porta a un dilagare di
rivolte che fanno riemergere con forza i clan tribali come fonte di
aggregazione sociale, economica e militare con i jihadisti che ne
esprimono la dimensione più sanguinaria e rivoluzionaria. Dall'altro vi
sono Nord America ed Europa, dove la redistribuzione della ricchezza
innescata dalla globalizzazione ha provocato un domino di
diseguaglianze economiche che determina la protesta dei ceti medi, la
cui reazione si esprime con aggregazioni in gruppi e movimenti
anti-sistema portatori di richieste molto specifiche, evidenziando la
decomposizione del panorama politico in fazioni e movimenti
protagonisti di singole battaglie accomunate solo dall'opposizione
all'establishment di turno.
Maurizio Molinari, La Stampa
18 maggio 2017
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Shir shishi - una poesia per erev shabbat
Yerushalayim shel Zahav, Gerusalemme d’oro
 Nel
blog di Emilio di Marzio da Napoli ho trovato una bellissima sorpresa,
la traduzione del famoso canto scritto nel 1967 da Naomi Shemer per
Gerusalemme. Con gli anni la canzone è diventata il simbolo della città
di Davide, Ir David, della pace, Ir Shalem, della mirra, Moriel e della
spiritualità, Ir Hakodesh. E come spesso nelle composizioni di Shemer,
parole e melodia creano un unicum in cui possono riconoscersi gli
ascoltatori senza confini di lingua o nazionalità.
Gerusalemme d’oro
Aria dei monti limpida come il vino
e profumo di pini,
portato dal vento della sera
col suono delle campane.
In un sonno profondo di alberi e pietre,
prigioniera nel suo sogno,
la città che siede solitaria
e nel suo cuore racchiude un muro.
Yerushalayim d’oro,
di rame e di luce
per tutti i tuoi canti
sono un violino…
Come sono asciutti i pozzi d’acqua,
vuota la piazza del mercato,
nessuno visita il Monte del Tempio,
nella città vecchia.
Nelle caverne della roccia
ululano i venti,
nessuno scende verso il Mar Morto
per la strada di Gerico.
Yerushalayim d’oro…
Ma mentre oggi vengo a cantare per te
e a intrecciarti corone,
sono più piccolo dei tuoi figli più giovani,
e dell’ultimo dei poeti.
Perché il tuo nome brucia le labbra
come il bacio di un serafino,
“se ti dimenticherò Yerushalayim”
che è tutta d’oro.
Yerushalayim d’oro…
Siamo tornati ai pozzi d’acqua,
alla piazza e al mercato,
uno shofàr risuona sul Monte del Tempio,
nella città vecchia.
Nelle caverne della roccia
risplendono migliaia di soli,
torneremo a scendere verso il Mar Morto
per la strada di Gerico.
Yerushalayim d’oro...
Sarah Kaminski, Università di Torino
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Pagine
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