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  30 Giugno 2017 - 6 Tamuz 5777
PAGINE EBRAICHE 24


ALEF / TAV DAVAR PILPUL

alef/tav

Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
Il concetto di acque “vive”, acqua che sono fonte di vita, acque sorgive, è presente in molti momenti biblici: i nostri padri nel deserto scavano pozzi per cercare maim chaiim, acque vive, il profeta Geremia si lamenta, con le parole di Dio, che il popolo ha abbandonato l’Eterno fonte di acque di vita (Geremia 2 e 17,13), Zechariah (14,8) invece ricorda che da Yerushalaim sgorgheranno nuove acque di vita. Nella Halakhah l’acqua sorgiva è necessaria per la purificazione di molte condizioni di impurità che solo immergendosi in acque vive possono tornare alla vita reale e sociale.
 
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Gadi
Luzzatto
Voghera,
direttore
Fondazione CDEC
Si è conclusa ieri a Ginevra la Plenary Session dell’IHRA, l’organizzazione intergovernativa che si occupa degli studi e delle attività educative e memorialistiche sullo sterminio degli ebrei. L’assemblea conclusiva si è aperta con un forte ed esplicito intervento di Yehuda Bauer, riconosciuto universalmente come la maggiore autorità sugli studi sulla Shoah. Bauer ha sottolineato il ruolo fondamentale che IHRA gioca nel mettere allo stesso tavolo paesi e governi che spesso nella pratica differiscono molto in rapporto alle politiche di apertura alla libertà di pensiero e nelle pratiche memorialistiche. Un luogo dove ci si parla, spesso in maniera franca e critica; un organismo capace per questo di produrre documenti importanti con l’accordo di tutti i governi. Il caso più visibile è stato negli ultimi tempi la working definition di antisemitismo, adottata dal Parlamento europeo e immediatamente dopo dai governi di Gran Bretagna, Romania e Austria. Nel suo intervento Bauer ha voluto sottolineare la necessità di combattere fortemente tutte le forme di Hate Speech che stanno inquinando le relazioni pubbliche, e ha indicato il tavolo di IHRA come un ottimo esempio di spazio in cui il dibattito e il confronto sono in grado di produrre consenso, in opposizione all’odio che sembra prevalere in tanti luoghi della rete.
L’Italia avrà l’onore di presiedere IHRA a partire dal marzo 2018, e la delegazione guidata dall’ambasciatore Sandro De Bernardin ha iniziato a programmare il gravoso lavoro che la attende per assicurare un pieno successo alla presidenza italiana.
 
Un blitz inquietante
Prima la protesta dentro l’aula del Consiglio comunale (che era aperto al pubblico) con i saluti fascisti di un gruppo di militanti che chiedeva le dimissioni del sindaco Sala. Poi la rissa sfiorata all’esterno con i centri sociali.
Pomeriggio di tensione a Milano in seguito al blitz del movimento di estrema destra Casa Pound, condannato con forza dal primo cittadino.
“I ‘fascisti del terzo millennio’ hanno impiegato anni per farsi largo a Milano ma nella destra estrema sono in ascesa, quasi un partito. Tanto da puntare alla politica” si legge in una analisi di Repubblica.
“Milano per tre ore è sembrata ripiombare negli anni bui della violenza politica con le forze dell’ordine a separare le due fazioni a manganellate” scrive invece il Corriere a proposito delle tensioni all’esterno del palazzo.

La medaglia “Raoul Wallenberg” è stata consegnata ieri a monsignor Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, in segno di riconoscimento per il suo impegno nel dialogo interreligioso. E in particolare per aver donato nel gennaio scorso l’oratorio di Santa Maria del Sabato alla sezione ebraica di Palermo come luogo di culto e di studio aperto alla città. Una donazione che risana in qualche modo, scrive Avvenire, “una ferita aperta con la cacciata degli ebrei da Palermo nel 1493”.
Il quotidiano della CEI riporta anche una dichiarazione del vicepresidente UCEI Giulio Disegni, intervenuto ieri alla cerimonia, che ha sottolineato l’importanza di un Dialogo che cresce anche nel segno di iniziative come quella svoltasi nelle scorse ore. Disegni ha inoltre ricordato che il 10 settembre si celebrerà la Giornata Europea della Cultura Ebraica e che proprio Palermo sarà la città capofila per l’Italia.
 
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  davar
l'iniziativa ucei nei luoghi del terremoto
Il sindaco di Amatrice: 'Il calcio? Mi ha insegnato a gestire le crisi'
Il pallone torna ad Amatrice.
A poco meno di un anno dal sisma, domenica 2 luglio alle 16.30 si inaugura infatti un campo di calcetto realizzato con una donazione dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Il primo impianto sportivo che torna disponibile per le popolazioni terremotate (in campo Maccabi e Amatrice 2.0).
Un’iniziativa che nasce con l’obiettivo di regalare un luogo di svago, incontro e convivialità che possa resistere nel tempo. Perché la gente di Amatrice (colpita anche nelle scorse ore) merita non soltanto ammirazione per come sta reagendo al dramma che l’ha colpita negli scorsi mesi, ma anche un aiuto concreto.
L’impianto è stato costruito a Scai, la frazione più popolosa. Ha assicurato tra gli altri la sua presenza all’evento il sindaco Sergio Pirozzi, premiato quest’anno dagli allenatori italiani con la prestigiosa Panchina d’Oro.
Di seguito la sua intervista, pubblicata sul numero di Pagine Ebraiche in distribuzione all’interno di uno speciale dossier Sport.

“Calcio, soprattutto. Ma anche tennis. La mia è stata una vita dedicata allo sport, segnata anche da soddisfazioni di discreto livello. Da un anno a questa parte, davanti alle nuove sfide che mi sono trovato ad affrontare, rifletto su cosa mi ha lasciato tutto ciò. La risposta è: un patrimonio straordinario di valori ed esperienze, un insegnamento per la vita”. Dai giorni del sisma che ha devastato Amatrice e dintorni, il sindaco Sergio Pirozzi è protagonista suo malgrado delle cronache dei giornali di mezzo mondo. Il primo cittadino del paese simbolo della devastazione, che lotta come un leone per difendere i propri diritti e il proprio futuro attraverso messaggi forti. Rivolti alle istituzioni e all’opinione pubblica, naturalmente. Ma prima di tutto ai suoi concittadini, sottoposti da tempo a una dura prova di resilienza che suscita ammirazione.
Fino ad allora l’attività di sindaco era tanto, ma non il baricentro della propria esistenza. L’amore, la passione diventata lavoro, era il calcio. Un mondo cui ha dedicato tutto se stesso, nelle categorie di mezzo sospese tra il paradiso del professionismo e l’inferno delle categorie regionali. Un mondo duro, pieno di ostacoli e inciampi, in cui ogni giorno ci si deve reinventare e talvolta combattere persino per la sopravvivenza. Pirozzi l’ha fatto, lasciando di corsa la panchina del Trastevere (con cui aveva centrato una promozione nei dilettanti, primo tassello di un progetto con vista Lega Pro) per affrontare l’emergenza terremoto.
“Come noto, sono mesi durissimi quelli che stiamo affrontando. Personalmente, so di non poter mollare. E se dentro ho tanta forza è proprio grazie allo sport, e al calcio in particolare. I tanti anni da calciatore prima, e da allenatore poi, sono stati estremamente formativi. Ho imparato infatti che, nello sport, se ti alleni bene ottieni dei risultati. E che dopo una sconfitta c’è sempre una vittoria. Una filosofia – racconta a Pagine Ebraiche – che sto cercando di applicare anche qua, ad Amatrice”.
Il suo punto di riferimento Pirozzi l’ha trovato fuori dal calcio, però. Si tratta infatti del leggendario Jury Chechi, il re degli anelli che a cavallo tra Anni Novanta e Duemila ha fatto sognare tutta l’Italia. “La sua storia – dice il sindaco – è emblematica. Yuri si allena intensamente per quattro anni, il suo obiettivo sono le Olimpiadi. Purtroppo, prima di partecipare ai Giochi di Barcellona del 1992, si rompe il tendine di Achille. È una situazione drammatica, per uno sportivo di quel livello. Ti senti devastato, l’investimento di quattro anni di duro allenamento che vanno a farsi benedire. E invece no, Chechi si è rialzato subito, ha ripreso appena possibile a macinare lacrime, sudore, fatica. Il risultato è stato che, nel 1996 ad Atlanta, lo abbiamo ritrovato al suo appuntamento con la storia a cinque cerchi. Un appuntamento che si è rivelato trionfale”.
Dopo aver lasciato il calcio giocato per la panchina, Pirozzi si è presto imposto come uno degli allenatori di maggior successo nelle squadre laziali di seconda fascia. Dalla Viterbese al Civitavecchia, dal Rieti all’Aprilia. Fino al Trastevere, che un giorno non troppo lontano si augura di riaverlo con sé, anche come dirigente. “In questi anni, dalla C2 alle categorie inferiori, ho capito quanto al centro di tutto ci sia la capacità di motivare un gruppo formato da individui diversi, ciascuno con la propria personalità. Quanto sia fondamentale trovare le parole giuste, nel momento giusto. Certo, adesso è davvero dura”.
Si sente comunque un privilegiato, Pirozzi. E questo perché, dice, “faccio e ho fatto le cose che amo di più”.
Il calcio però è anche nostalgia, un’assenza non facile da elaborare. “Mentirei se dicessi che il pallone non mi manca. E lo stesso le partite, gli allenamenti, la vita di spogliatoio. Però la testa adesso è solo su Amatrice, sulla necessità che si riparta al più presto”
Ciò non impedisce però di sfogliare l’album dei ricordi, che sono tanti e intensi. La soddisfazione più grande, sostiene Pirozzi, non è legata a una vittoria o a una delle tante promozioni agguantate nel passato. “Sarebbe troppo facile citare episodi di questo genere, che pure ci sono stati nella mia carriera. La soddisfazione più grande in realtà è legata a una sconfitta, di qualche anno fa. Allenavo l’Ascoli primavera, andavamo bene. A un certo punto ci troviamo di fronte l’Inter. In campo tra gli altri un certo Mario Balotelli. Perdiamo, ma non è questo che conta. E adesso vi spiego perché. Quel giorno ho evidentemente dovuto attuare una selezione, come sempre d’altronde, e quindi c’è stato chi, pur di valore, si è dovuto accomodare in tribuna. Bene, ancor prima del calcio d’inizio tutti gli esclusi erano sugli spalti con bandiere e sciarpe a sostenerci, senza alcun rancore nei confronti di chi invece era tra gli undici protagonisti o comunque in panchina, pronto eventualmente a subentrare nel corso dell’incontro. È stata la più grande vittoria della mia carriera, un gruppo eccezionale in cui il noi prevaleva in modo così chiaro sull’io, il sogno e lo sforzo di un collettivo era più forte delle ambizioni individuali”.
Due le squadre che hanno chiamato Pirozzi in queste ultime settimane, proponendogli un contratto. Lo rivela lo stesso primo cittadino. “Ma ho detto di no senza pensarci, e questo per un motivo di serietà. Farei una stupidaggine ad accettare un incarico nel calcio, allo stato attuale. Non riuscirei a trasmettere tutto quello che ho dentro, la mia testa sarebbe altrove. In queste condizioni – sottolinea – non è possibile allenare”.
Difficile però resistere al richiamo del fazzoletto verde, se questo tornerà in qualche modo a portata. Il campo di calcetto di Scai, la frazione più popolosa del Comune di Amatrice, restituisce infatti il pallone a queste valli. Saprà resistere Pirozzi alla tentazione di qualche partitella con gli amici di sempre?
“Il campo donato dall’UCEI, cui va tutta la mia gratitudine – risponde il sindaco – rappresenta un evento davvero festoso per la gente di questi luoghi così duramente colpiti. Il primo impianto sportivo attivo nel nostro Comune dai giorni del sisma. Prima che il terremoto distruggesse tutto, ad Amatrice e nelle frazioni c’erano un campo in erba, uno in terra, uno polivalente. C’era inoltre un palazzetto dello sport. Insomma, le possibilità per giocare e divertirsi non mancavano”.
Pirozzi ha iniziato nel calcio proprio ad Amatrice, con la squadra locale. Prima ala sinistra, poi terzino sulla stessa fascia, infine centrale difensivo. Una significativa evoluzione tattica. Le indubbie qualità di leadership, note adesso a milioni di italiani, l’hanno spinto a un salto dall’altra parte. E così, neanche trentenne, eccolo proporsi in questo mondo come allenatore. Prima porta l’Amatrice dalla Seconda Categoria alla Promozione. Quindi, riesce a garantire una promozione anche all’Ostiamare (dilettanti). L’impresa più bella a Rieti, dove finisce per traghettare la squadra locale in Serie C2 riportando i laziali nel professionismo a 62 anni dall’ultima volta. È uno specialista in promozioni, Pirozzi, e non si smentisce neanche nella Capitale. Nel 2015, ecco che anche il Trastevere conquista i Dilettanti.
Risultati importanti, ma che certo da soli non avrebbero mai ottenuto troppa attenzione e riguardo nei piani alti del calcio italiano. C’è voluta purtroppo una tragedia, per renderlo un personaggio pubblico e fargli ottenere in primavera il premio più ambito per un allenatore: la Panchina d’oro, conferita dall’insieme dei suoi colleghi nel corso di una cerimonia svoltasi a Coverciano.
“Per il suo straordinario contributo, umano e civile, al fianco della popolazione di Amatrice”. Questa la motivazione con cui l’Associazione italiana allenatori ha deciso di attribuirgli il riconoscimento, verso il quale inizialmente Pirozzi ammette di aver provato qualche titubanza: “Quando mi è stata comunicata la notizia ho provato una grande felicità e soddisfazione. Ma è durata poco, ho subito pensato al dramma da cui tutto è scaturito. Per questo ho esitato, c’è stato un momento in cui non avrei voluto accettare. A farmi cambiare idea il fatto che, attraverso questo premio, possa arrivare un po’ di luce anche a tutti allenatori che stanno nell’ombra, meno visibili di tanti colleghi. È un premio che vorrei condividere con loro”. Oltre 17mila adesioni hanno sostenuto questa candidatura, attraverso una petizione che ha fatto rapidamente il giro della rete.
Altra soddisfazione la recente nomina ad allenatore della Nazionale Cantanti. Piccoli gesti che inorgogliscono e che Pirozzi dedica (anche in questo caso) alla gente di Amatrice. “Oggi, sempre per parlare in termini calcistici – afferma – sento alle nostre spalle un grande tifo. È il tifo della solidarietà, di tutti quegli italiani che ci fanno arrivare concretamente il loro supporto. Se in qualche modo andiamo avanti, se non ci arrendiamo alle difficoltà, se possiamo mantenere una speranza nel futuro, è grazie a loro. Un sostegno fondamentale”.

Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked

la scomparsa di un simbolo dell'europa unita
Simone Veil (1927-2017)
Strasburgo, 18 luglio 1979. Simone Veil, nominata presidente del primo Parlamento europeo eletto a suffragio diretto e universale, pronuncia un memorabile discorso in cui chiama il Vecchio Continente ai suoi compiti per costruire insieme un futuro di pace, dopo le ferite delle due guerre mondiali: “Per raccogliere le sfide lanciate all’Europa – dichiara Veil, ebrea francese, sopravvissuta ad Auschwitz e simbolo delle lotte per i diritti civili – dovremo perseguire tre obiettivi: l’Europa della solidarietà, l’Europa dell’indipendenza, l’Europa della cooperazione. L’Europa della solidarietà anzitutto: della solidarietà tra i popoli, tra le regioni, tra le persone”. Sono passati quasi quarant’anni da quel discorso ma le sfide richiamate dall’allora presidente del Parlamento europeo sono ancora profondamente attuali.
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l'iniziativa del congresso ebraico mondiale
New York, la protesta del WJC

"Processo di pace tra le parti"
La pace tra israeliani e palestinesi? Potrà essere raggiunta soltanto attraverso un negoziato diretto tra le parti, senza imposizioni dall'esterno.
È quanto sostiene il World Jewish Congress in una nota in cui si esprime rincrescimento per l'iniziativa delle Nazioni Unite di dedicare un forum in due giornate alla "fine dell'occupazione israeliana" promosso a New York da una commissione Onu specificamente dedicata "ai diritti inalienabili del popolo palestinese" ( i lavori del forum si concluderanno oggi).
Contro l'iniziativa della commissione, di cui si chiede l'immediato scioglimento, il World Jewish Congress ha organizzato una protesta simbolica non lontano dall'ingresso dell'Onu: un tavolo vuoto, con sopra le bandiere israeliana e palestinese. "Un modo per rappresentare - viene spiegato nella nota - che il luogo giusto per il processo di pace è al tavolo negoziale, non gli uffici delle Nazioni Unite".
La dirigenza del Congresso Ebraico Mondiale ha inoltre messo in rilievo altri punti. Tra cui la particolarità di questa commissione, l'unica in sede Onu dedicata a un gruppo specifico di persone nonostante, viene fatto notare, "le diverse questioni aperte sui diritti umani nel mondo".
L'organismo, nato nel 1975, è tra gli altri l'artefice della nota risoluzione che paragona il sionismo e il razzismo. E anche in seguito non ha mancato di distinguersi per la parzialità delle sue vedute e dei suoi impegni. "Ufficialmente la commissione si pone l'obiettivo di sostenere il processo di pace e la soluzione a due Stati. In realtà - sostiene il WJC - punta a delegittimare Israele".

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qui torino - l'incontro
Come prevenire l'estremismo
Incontro nel segno del dialogo interreligioso ieri alla moschea torinese Taiba nell’ambito del progetto “Insieme per contrastare e prevenire la radicalizzazione e l’estremismo” promosso dall’Anpi in collaborazione con diverse comunità religiose, con lo scopo di comprendere le cause del fenomeno e al tempo stesso “individuare misure, interventi e programmi in grado di prevenire tale tendenza e riaffermare e consolidare le molte e buone ragioni del pluralismo e dell’impegno per una convivenza pacifica tra persone uguali (nei diritti e nei doveri) e, al tempo stesso, libere e perciò diverse.”
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pilpul
Radical chic
Nel suo intervento di martedì Rav Roberto Della Rocca definisce Qorach – il capo della ribellione contro Mosè narrata nella parashà dello scorso shabbat, “un radical chic che, sfruttando la sua privilegiata posizione, gioca con le idee senza doverne pagare mai il prezzo … un rivoluzionario un po’ snob al quale conviene di più criticare e distruggere il lavoro degli altri che mettersi personalmente in gioco.” Onestamente non ricordo di aver mai sentito usare l’espressione “radical chic” in questo senso. Certamente non viene usata in questo senso nell’ambito dell’ebraismo italiano, dove capita di leggerla o sentirla spesso per indicare un giornale ebraico che vive grazie al lavoro volontario di molte persone e alla generosità dei suoi lettori, consiglieri o presidenti (passati o presenti) di Comunità o dell’Unione, e, naturalmente, molti collaboratori di Moked e di Pagine ebraiche; in pratica, la definizione di radical chic prima o poi viene appioppata a chiunque abbia opinioni anche solo vagamente progressiste e operi a titolo volontario nell’ambito delle Comunità o dell’Ucei. Paradossalmente mi pare il contrario della definizione di Qorach data da Rav Della Rocca.

Anna Segre, insegnante
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Pluralità di voci
Eitan e Fahmi sono i due protagonisti di un romanzo scritto da Assaf Gavron nel 2006, “La mia storia, la tua storia”. Due coetanei sostanzialmente simili che in un altro contesto forse avrebbero potuto essere ottimi amici, magari come quello descritto in “Harvard Square” da André Aciman, se non fosse che si tratta di un israeliano e di un palestinese nel bel mezzo della seconda intifada. Due “nemici” quasi inconsapevoli che si ritrovano ognuno a raccontare la propria storia, o versione dei fatti, destinati fatalmente ad incontrarsi tragicamente in tutto il romanzo. Eitan è un everyman non schierato politicamente che scampando “indenne” da quattro attentati assurge a star nazionale, mentre Fahmi è un aspirante shahid poco motivato spinto all’integralismo soprattutto dal fratello e dalla figura “esemplare” del nonno il quale attaccò un convoglio israeliano nel 1948. 

Francesco Moises Bassano
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Politica e promesse
Sovente mi domando cosa ci facciano certi politici in Parlamento. Occupano seggi preziosi, negano l’opportunità di esprimersi a chi avrebbe realmente qualcosa da dire, si battono più sul web che in piazza.
Sovente mi domando quale sia stato il percorso che ha condotto questi mezzi politici al potere, quale sia stata la chiave del loro successo.
Ed ecco che, quando meno te lo aspetti, la risposta arriva, forte e chiara, stravolgendo l’immagine che fino a qualche attimo prima avevi di loro.
È capitato questa settimana al Ministro del tesoro israeliano, Moshe Kahlon, che nel corso di un’intervista dai toni particolarmente intimi si è raccontato di fronte a migliaia di telespettatori, menzionando un particolare frammento della sua infanzia.


David Zebuloni
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Regole e relazioni?
La tendenza orientale è quella di creare prima di tutto relazioni. Quella occidentale invece è di creare delle regole. Una considerazione interessante che Maurizio Molinari mette sul tavolo durante la serata sui 50 anni dalla Guerra dei sei giorni e che, nella sua semplicità, può essere fonte di grande ricchezza. Fa pensare a quanto sia importante l’interazione costruttiva tra queste due tendenze, sia per se stessi che gli altri. Una domanda allora sorge spontanea: Israele non dovrebbe oggi valorizzare la propria tendenza orientale, messa forse a tacere dalla politica dominante in questi 50 anni? In questo modo, non si otterrebbe più pace e meno conflitto?

Ilana Bahbout


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