
Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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Il
concetto di acque “vive”, acqua che sono fonte di vita, acque sorgive,
è presente in molti momenti biblici: i nostri padri nel deserto scavano
pozzi per cercare maim chaiim, acque vive, il profeta Geremia si
lamenta, con le parole di Dio, che il popolo ha abbandonato l’Eterno
fonte di acque di vita (Geremia 2 e 17,13), Zechariah (14,8) invece
ricorda che da Yerushalaim sgorgheranno nuove acque di vita. Nella
Halakhah l’acqua sorgiva è necessaria per la purificazione di molte
condizioni di impurità che solo immergendosi in acque vive possono
tornare alla vita reale e sociale.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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Si
è conclusa ieri a Ginevra la Plenary Session dell’IHRA,
l’organizzazione intergovernativa che si occupa degli studi e delle
attività educative e memorialistiche sullo sterminio degli ebrei.
L’assemblea conclusiva si è aperta con un forte ed esplicito intervento
di Yehuda Bauer, riconosciuto universalmente come la maggiore autorità
sugli studi sulla Shoah. Bauer ha sottolineato il ruolo fondamentale
che IHRA gioca nel mettere allo stesso tavolo paesi e governi che
spesso nella pratica differiscono molto in rapporto alle politiche di
apertura alla libertà di pensiero e nelle pratiche memorialistiche. Un
luogo dove ci si parla, spesso in maniera franca e critica; un
organismo capace per questo di produrre documenti importanti con
l’accordo di tutti i governi. Il caso più visibile è stato negli ultimi
tempi la working definition di antisemitismo, adottata dal Parlamento
europeo e immediatamente dopo dai governi di Gran Bretagna, Romania e
Austria. Nel suo intervento Bauer ha voluto sottolineare la necessità
di combattere fortemente tutte le forme di Hate Speech che stanno
inquinando le relazioni pubbliche, e ha indicato il tavolo di IHRA come
un ottimo esempio di spazio in cui il dibattito e il confronto sono in
grado di produrre consenso, in opposizione all’odio che sembra
prevalere in tanti luoghi della rete.
L’Italia avrà l’onore di presiedere IHRA a partire dal marzo 2018, e la
delegazione guidata dall’ambasciatore Sandro De Bernardin ha iniziato a
programmare il gravoso lavoro che la attende per assicurare un pieno
successo alla presidenza italiana.
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Un blitz inquietante
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Prima
la protesta dentro l’aula del Consiglio comunale (che era aperto al
pubblico) con i saluti fascisti di un gruppo di militanti che chiedeva
le dimissioni del sindaco Sala. Poi la rissa sfiorata all’esterno con i
centri sociali.
Pomeriggio di tensione a Milano in seguito al blitz del movimento di
estrema destra Casa Pound, condannato con forza dal primo cittadino.
“I ‘fascisti del terzo millennio’ hanno impiegato anni per farsi largo
a Milano ma nella destra estrema sono in ascesa, quasi un partito.
Tanto da puntare alla politica” si legge in una analisi di Repubblica.
“Milano per tre ore è sembrata ripiombare negli anni bui della violenza
politica con le forze dell’ordine a separare le due fazioni a
manganellate” scrive invece il Corriere a proposito delle tensioni
all’esterno del palazzo.
La medaglia “Raoul Wallenberg” è stata consegnata ieri a monsignor
Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, in segno di riconoscimento
per il suo impegno nel dialogo interreligioso. E in particolare per
aver donato nel gennaio scorso l’oratorio di Santa Maria del Sabato
alla sezione ebraica di Palermo come luogo di culto e di studio aperto
alla città. Una donazione che risana in qualche modo, scrive Avvenire,
“una ferita aperta con la cacciata degli ebrei da Palermo nel 1493”.
Il quotidiano della CEI riporta anche una dichiarazione del
vicepresidente UCEI Giulio Disegni, intervenuto ieri alla cerimonia,
che ha sottolineato l’importanza di un Dialogo che cresce anche nel
segno di iniziative come quella svoltasi nelle scorse ore. Disegni ha
inoltre ricordato che il 10 settembre si celebrerà la Giornata Europea
della Cultura Ebraica e che proprio Palermo sarà la città capofila per
l’Italia.
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l'iniziativa ucei nei luoghi del terremoto Il sindaco di Amatrice: 'Il calcio? Mi ha insegnato a gestire le crisi'
Il pallone torna ad Amatrice.
A poco meno di un anno
dal sisma, domenica 2 luglio alle 16.30 si inaugura infatti un campo di
calcetto realizzato con una donazione dell’Unione delle Comunità
Ebraiche Italiane. Il primo impianto sportivo che torna disponibile per
le popolazioni terremotate (in campo Maccabi e Amatrice 2.0).
Un’iniziativa che nasce
con l’obiettivo di regalare un luogo di svago, incontro e convivialità
che possa resistere nel tempo. Perché la gente di Amatrice (colpita
anche nelle scorse ore) merita non soltanto ammirazione per come sta
reagendo al dramma che l’ha colpita negli scorsi mesi, ma anche un
aiuto concreto.
L’impianto è stato costruito a Scai, la frazione più popolosa.
Ha assicurato tra gli altri la sua presenza all’evento il sindaco
Sergio Pirozzi, premiato quest’anno dagli allenatori italiani con la
prestigiosa Panchina d’Oro.
Di seguito la sua
intervista, pubblicata sul numero di Pagine Ebraiche in distribuzione
all’interno di uno speciale dossier Sport.
“Calcio,
soprattutto. Ma anche tennis. La mia è stata una vita dedicata allo
sport, segnata anche da soddisfazioni di discreto livello. Da un anno a
questa parte, davanti alle nuove sfide che mi sono trovato ad
affrontare, rifletto su cosa mi ha lasciato tutto ciò. La risposta è:
un patrimonio straordinario di valori ed esperienze, un insegnamento
per la vita”. Dai giorni del sisma che ha devastato Amatrice e
dintorni, il sindaco Sergio Pirozzi è protagonista suo malgrado delle
cronache dei giornali di mezzo mondo. Il primo cittadino del paese
simbolo della devastazione, che lotta come un leone per difendere i
propri diritti e il proprio futuro attraverso messaggi forti. Rivolti
alle istituzioni e all’opinione pubblica, naturalmente. Ma prima di
tutto ai suoi concittadini, sottoposti da tempo a una dura prova di
resilienza che suscita ammirazione.
Fino ad allora l’attività di sindaco era tanto, ma non il baricentro
della propria esistenza. L’amore, la passione diventata lavoro, era il
calcio. Un mondo cui ha dedicato tutto se stesso, nelle categorie di
mezzo sospese tra il paradiso del professionismo e l’inferno delle
categorie regionali. Un mondo duro, pieno di ostacoli e inciampi, in
cui ogni giorno ci si deve reinventare e talvolta combattere persino
per la sopravvivenza. Pirozzi l’ha fatto, lasciando di corsa la
panchina del Trastevere (con cui aveva centrato una promozione nei
dilettanti, primo tassello di un progetto con vista Lega Pro) per
affrontare l’emergenza terremoto.
“Come noto, sono mesi durissimi quelli che stiamo affrontando.
Personalmente, so di non poter mollare. E se dentro ho tanta forza è
proprio grazie allo sport, e al calcio in particolare. I tanti anni da
calciatore prima, e da allenatore poi, sono stati estremamente
formativi. Ho imparato infatti che, nello sport, se ti alleni bene
ottieni dei risultati. E che dopo una sconfitta c’è sempre una
vittoria. Una filosofia – racconta a Pagine Ebraiche – che sto cercando
di applicare anche qua, ad Amatrice”.
Il suo punto di riferimento Pirozzi l’ha trovato fuori dal calcio,
però. Si tratta infatti del leggendario Jury Chechi, il re degli anelli
che a cavallo tra Anni Novanta e Duemila ha fatto sognare tutta
l’Italia. “La sua storia – dice il sindaco – è emblematica. Yuri si
allena intensamente per quattro anni, il suo obiettivo sono le
Olimpiadi. Purtroppo, prima di partecipare ai Giochi di Barcellona del
1992, si rompe il tendine di Achille. È una situazione drammatica, per
uno sportivo di quel livello. Ti senti devastato, l’investimento di
quattro anni di duro allenamento che vanno a farsi benedire. E invece
no, Chechi si è rialzato subito, ha ripreso appena possibile a macinare
lacrime, sudore, fatica. Il risultato è stato che, nel 1996 ad Atlanta,
lo abbiamo ritrovato al suo appuntamento con la storia a cinque cerchi.
Un appuntamento che si è rivelato trionfale”.
Dopo aver lasciato il calcio giocato per la panchina, Pirozzi si è
presto imposto come uno degli allenatori di maggior successo nelle
squadre laziali di seconda fascia. Dalla Viterbese al Civitavecchia,
dal Rieti all’Aprilia. Fino al Trastevere, che un giorno non troppo
lontano si augura di riaverlo con sé, anche come dirigente. “In questi
anni, dalla C2 alle categorie inferiori, ho capito quanto al centro di
tutto ci sia la capacità di motivare un gruppo formato da individui
diversi, ciascuno con la propria personalità. Quanto sia fondamentale
trovare le parole giuste, nel momento giusto. Certo, adesso è davvero
dura”.
Si sente comunque un privilegiato, Pirozzi. E questo perché, dice, “faccio e ho fatto le cose che amo di più”.
Il calcio però è anche nostalgia, un’assenza non facile da elaborare.
“Mentirei se dicessi che il pallone non mi manca. E lo stesso le
partite, gli allenamenti, la vita di spogliatoio. Però la testa adesso
è solo su Amatrice, sulla necessità che si riparta al più presto”
Ciò non impedisce però di sfogliare l’album dei ricordi, che sono tanti
e intensi. La soddisfazione più grande, sostiene Pirozzi, non è legata
a una vittoria o a una delle tante promozioni agguantate nel passato.
“Sarebbe troppo facile citare episodi di questo genere, che pure ci
sono stati nella mia carriera. La soddisfazione più grande in realtà è
legata a una sconfitta, di qualche anno fa. Allenavo l’Ascoli
primavera, andavamo bene. A un certo punto ci troviamo di fronte
l’Inter. In campo tra gli altri un certo Mario Balotelli. Perdiamo, ma
non è questo che conta. E adesso vi spiego perché. Quel giorno ho
evidentemente dovuto attuare una selezione, come sempre d’altronde, e
quindi c’è stato chi, pur di valore, si è dovuto accomodare in tribuna.
Bene, ancor prima del calcio d’inizio tutti gli esclusi erano sugli
spalti con bandiere e sciarpe a sostenerci, senza alcun rancore nei
confronti di chi invece era tra gli undici protagonisti o comunque in
panchina, pronto eventualmente a subentrare nel corso dell’incontro. È
stata la più grande vittoria della mia carriera, un gruppo eccezionale
in cui il noi prevaleva in modo così chiaro sull’io, il sogno e lo
sforzo di un collettivo era più forte delle ambizioni individuali”.
Due le squadre che hanno chiamato Pirozzi in queste ultime settimane,
proponendogli un contratto. Lo rivela lo stesso primo cittadino. “Ma ho
detto di no senza pensarci, e questo per un motivo di serietà. Farei
una stupidaggine ad accettare un incarico nel calcio, allo stato
attuale. Non riuscirei a trasmettere tutto quello che ho dentro, la mia
testa sarebbe altrove. In queste condizioni – sottolinea – non è
possibile allenare”.
Difficile però resistere al richiamo del fazzoletto verde, se questo
tornerà in qualche modo a portata. Il campo di calcetto di Scai, la
frazione più popolosa del Comune di Amatrice, restituisce infatti il
pallone a queste valli. Saprà resistere Pirozzi alla tentazione di
qualche partitella con gli amici di sempre?
“Il campo donato dall’UCEI, cui va tutta la mia gratitudine – risponde
il sindaco – rappresenta un evento davvero festoso per la gente di
questi luoghi così duramente colpiti. Il primo impianto sportivo attivo
nel nostro Comune dai giorni del sisma. Prima che il terremoto
distruggesse tutto, ad Amatrice e nelle frazioni c’erano un campo in
erba, uno in terra, uno polivalente. C’era inoltre un palazzetto dello
sport. Insomma, le possibilità per giocare e divertirsi non mancavano”.
Pirozzi ha iniziato nel calcio proprio ad Amatrice, con la squadra
locale. Prima ala sinistra, poi terzino sulla stessa fascia, infine
centrale difensivo. Una significativa evoluzione tattica. Le indubbie
qualità di leadership, note adesso a milioni di italiani, l’hanno
spinto a un salto dall’altra parte. E così, neanche trentenne, eccolo
proporsi in questo mondo come allenatore. Prima porta l’Amatrice dalla
Seconda Categoria alla Promozione. Quindi, riesce a garantire una
promozione anche all’Ostiamare (dilettanti). L’impresa più bella a
Rieti, dove finisce per traghettare la squadra locale in Serie C2
riportando i laziali nel professionismo a 62 anni dall’ultima volta. È
uno specialista in promozioni, Pirozzi, e non si smentisce neanche
nella Capitale. Nel 2015, ecco che anche il Trastevere conquista i
Dilettanti.
Risultati importanti, ma che certo da soli non avrebbero mai ottenuto
troppa attenzione e riguardo nei piani alti del calcio italiano. C’è
voluta purtroppo una tragedia, per renderlo un personaggio pubblico e
fargli ottenere in primavera il premio più ambito per un allenatore: la
Panchina d’oro, conferita dall’insieme dei suoi colleghi nel corso di
una cerimonia svoltasi a Coverciano.
“Per il suo straordinario contributo, umano e civile, al fianco della
popolazione di Amatrice”. Questa la motivazione con cui l’Associazione
italiana allenatori ha deciso di attribuirgli il riconoscimento, verso
il quale inizialmente Pirozzi ammette di aver provato qualche
titubanza: “Quando mi è stata comunicata la notizia ho provato una
grande felicità e soddisfazione. Ma è durata poco, ho subito pensato al
dramma da cui tutto è scaturito. Per questo ho esitato, c’è stato un
momento in cui non avrei voluto accettare. A farmi cambiare idea il
fatto che, attraverso questo premio, possa arrivare un po’ di luce
anche a tutti allenatori che stanno nell’ombra, meno visibili di tanti
colleghi. È un premio che vorrei condividere con loro”. Oltre 17mila
adesioni hanno sostenuto questa candidatura, attraverso una petizione
che ha fatto rapidamente il giro della rete.
Altra soddisfazione la recente nomina ad allenatore della Nazionale
Cantanti. Piccoli gesti che inorgogliscono e che Pirozzi dedica (anche
in questo caso) alla gente di Amatrice. “Oggi, sempre per parlare in
termini calcistici – afferma – sento alle nostre spalle un grande tifo.
È il tifo della solidarietà, di tutti quegli italiani che ci fanno
arrivare concretamente il loro supporto. Se in qualche modo andiamo
avanti, se non ci arrendiamo alle difficoltà, se possiamo mantenere una
speranza nel futuro, è grazie a loro. Un sostegno fondamentale”.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
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la scomparsa di un simbolo dell'europa unita Simone Veil (1927-2017)
Strasburgo,
18 luglio 1979. Simone Veil, nominata presidente del primo Parlamento
europeo eletto a suffragio diretto e universale, pronuncia un
memorabile discorso in cui chiama il Vecchio Continente ai suoi compiti
per costruire insieme un futuro di pace, dopo le ferite delle due
guerre mondiali: “Per raccogliere le sfide lanciate all’Europa –
dichiara Veil, ebrea francese, sopravvissuta ad Auschwitz e simbolo
delle lotte per i diritti civili – dovremo perseguire tre obiettivi:
l’Europa della solidarietà, l’Europa dell’indipendenza, l’Europa della
cooperazione. L’Europa della solidarietà anzitutto: della solidarietà
tra i popoli, tra le regioni, tra le persone”. Sono passati quasi
quarant’anni da quel discorso ma le sfide richiamate dall’allora
presidente del Parlamento europeo sono ancora profondamente attuali. Leggi
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l'iniziativa del congresso ebraico mondiale
New York, la protesta del WJC
"Processo di pace tra le parti"
La
pace tra israeliani e palestinesi? Potrà essere raggiunta soltanto
attraverso un negoziato diretto tra le parti, senza imposizioni
dall'esterno.
È quanto sostiene il World Jewish Congress in una nota in cui si
esprime rincrescimento per l'iniziativa delle Nazioni Unite di dedicare
un forum in due giornate alla "fine dell'occupazione israeliana"
promosso a New York da una commissione Onu specificamente dedicata "ai
diritti inalienabili del popolo palestinese" ( i lavori del forum si
concluderanno oggi).
Contro l'iniziativa della commissione, di cui si chiede l'immediato
scioglimento, il World Jewish Congress ha organizzato una protesta
simbolica non lontano dall'ingresso dell'Onu: un tavolo vuoto, con
sopra le bandiere israeliana e palestinese. "Un modo per rappresentare
- viene spiegato nella nota - che il luogo giusto per il processo di
pace è al tavolo negoziale, non gli uffici delle Nazioni Unite".
La dirigenza del Congresso Ebraico Mondiale ha inoltre messo in rilievo
altri punti. Tra cui la particolarità di questa commissione, l'unica in
sede Onu dedicata a un gruppo specifico di persone nonostante, viene
fatto notare, "le diverse questioni aperte sui diritti umani nel
mondo".
L'organismo, nato nel 1975, è tra gli altri l'artefice della nota
risoluzione che paragona il sionismo e il razzismo. E anche in seguito
non ha mancato di distinguersi per la parzialità delle sue vedute e dei
suoi impegni. "Ufficialmente la commissione si pone l'obiettivo di
sostenere il processo di pace e la soluzione a due Stati. In realtà -
sostiene il WJC - punta a delegittimare Israele".
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Radical chic
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Nel
suo intervento di martedì Rav Roberto Della Rocca definisce Qorach – il
capo della ribellione contro Mosè narrata nella parashà dello scorso
shabbat, “un radical chic che, sfruttando la sua privilegiata
posizione, gioca con le idee senza doverne pagare mai il prezzo … un
rivoluzionario un po’ snob al quale conviene di più criticare e
distruggere il lavoro degli altri che mettersi personalmente in gioco.”
Onestamente non ricordo di aver mai sentito usare l’espressione
“radical chic” in questo senso. Certamente non viene usata in questo
senso nell’ambito dell’ebraismo italiano, dove capita di leggerla o
sentirla spesso per indicare un giornale ebraico che vive grazie al
lavoro volontario di molte persone e alla generosità dei suoi lettori,
consiglieri o presidenti (passati o presenti) di Comunità o
dell’Unione, e, naturalmente, molti collaboratori di Moked e di Pagine
ebraiche; in pratica, la definizione di radical chic prima o poi viene
appioppata a chiunque abbia opinioni anche solo vagamente progressiste
e operi a titolo volontario nell’ambito delle Comunità o dell’Ucei.
Paradossalmente mi pare il contrario della definizione di Qorach data
da Rav Della Rocca.
Anna Segre, insegnante
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Pluralità di voci
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Eitan
e Fahmi sono i due protagonisti di un romanzo scritto da Assaf Gavron
nel 2006, “La mia storia, la tua storia”. Due coetanei sostanzialmente
simili che in un altro contesto forse avrebbero potuto essere ottimi
amici, magari come quello descritto in “Harvard Square” da André
Aciman, se non fosse che si tratta di un israeliano e di un palestinese
nel bel mezzo della seconda intifada. Due “nemici” quasi inconsapevoli
che si ritrovano ognuno a raccontare la propria storia, o versione dei
fatti, destinati fatalmente ad incontrarsi tragicamente in tutto il
romanzo. Eitan è un everyman non schierato politicamente che scampando
“indenne” da quattro attentati assurge a star nazionale, mentre Fahmi è
un aspirante shahid poco motivato spinto all’integralismo soprattutto
dal fratello e dalla figura “esemplare” del nonno il quale attaccò un
convoglio israeliano nel 1948.
Francesco Moises Bassano
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Politica e promesse
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Sovente
mi domando cosa ci facciano certi politici in Parlamento. Occupano
seggi preziosi, negano l’opportunità di esprimersi a chi avrebbe
realmente qualcosa da dire, si battono più sul web che in piazza.
Sovente mi domando quale sia stato il percorso che ha condotto questi
mezzi politici al potere, quale sia stata la chiave del loro successo.
Ed ecco che, quando meno te lo aspetti, la risposta arriva, forte e
chiara, stravolgendo l’immagine che fino a qualche attimo prima avevi
di loro.
È capitato questa settimana al Ministro del tesoro israeliano, Moshe
Kahlon, che nel corso di un’intervista dai toni particolarmente intimi
si è raccontato di fronte a migliaia di telespettatori, menzionando un
particolare frammento della sua infanzia.
David Zebuloni
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Regole e relazioni?
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La
tendenza orientale è quella di creare prima di tutto relazioni. Quella
occidentale invece è di creare delle regole. Una considerazione
interessante che Maurizio Molinari mette sul tavolo durante la serata
sui 50 anni dalla Guerra dei sei giorni e che, nella sua semplicità,
può essere fonte di grande ricchezza. Fa pensare a quanto sia
importante l’interazione costruttiva tra queste due tendenze, sia per
se stessi che gli altri. Una domanda allora sorge spontanea: Israele
non dovrebbe oggi valorizzare la propria tendenza orientale, messa
forse a tacere dalla politica dominante in questi 50 anni? In questo
modo, non si otterrebbe più pace e meno conflitto?
Ilana Bahbout
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