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Pierpaolo Pinhas Punturello, rabbino
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La
Meghillah di Ester ci dice: "...e molti tra gli abitanti del paese si
convertirono (dichiaravano ebrei)..." (Ester 8, 17). Se vabbè! E con
quale bet din lo fecero? E con quali firme rabbiniche? E sarebbero
stati riconosciuti solo a Shushan o anche in un'altra delle 127
provincie del Re Assuero? Ci sono domande che possiamo porci solo
bevendo vino il giorno di Purim. Passateme er vino.
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Gadi
Luzzatto
Voghera, direttore
Fondazione CDEC
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La
Direttiva (UE) 2016/680 del Parlamento Europeo relativa alla
“protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati
personali” sta compiendo serenamente il suo iter che comporterà la sua
adozione in toto anche in Italia a partire dalla prossima fine di
maggio. Le motivazioni che hanno spinto gli organismi europei a
adottare questo provvedimento sono certo valide, e tuttavia la cieca
generalizzazione burocratica e l’appiattimento ai diversi ambiti della
realtà sociale di una normativa così restrittiva rischia di generare
danni rilevanti. Prendiamo in considerazione ad esempio il comma 2
dell’art. 2 che recita: “La presente direttiva si applica al
trattamento interamente o parzialmente automatizzato di dati personali
e al trattamento non automatizzato di dati personali contenuti in un
archivio o destinati a figurarvi”.
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Polonia, in vigore
la legge sulla Shoah
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Da
ieri la controversa legge polacca che punisce con il carcere (fino a
tre anni) chi associa lo Stato o la nazione polacca ai crimini della
Shoah è entrata ufficialmente in vigore. Un norma duramente contestata
da Israele ma che potrebbe ancora essere fermata dalla Corte
Costituzionale polacca, a cui ha chiesto un parere il presidente Duda.
“A detta di vari osservatori proprio la Corte Costituzionale potrebbe
togliere le castagne dal fuoco al governo, fermando la legge. – scrive
Avvenire – Sarebbe di fatto un favore al governo che ormai ha in pugno
l’Alta corte dopo una riforma della magistratura che ha praticamente
sottoposto l’intero apparato giudiziario al controllo del partito al
potere, incluso la Corte suprema e, appunto, quella costituzionale”.
Sia il quotidiano cattolico sia il Fatto ricordano come contro la
Polonia intanto il Parlamento Europeo abbia approvato la richiesta
della Commissione Europea di attivare l’articolo 7 del Trattato Ue,
previsto per gli Stati membri che violino i principi fondamentali
dell’Unione.
Veleno a Cinque Stelle su Israele. Dopo la candidatura di un
controverso docente in favore del Bds e la retromarcia a parole del
candidato Premier Luigi Di Maio, a chiarire la posizione dei Cinque
Stelle ci pensa Manlio Di Stefano, responsabile del programma di
politica estera del Movimento, per cui “non c’è nulla di strano nel
boicottaggio dei prodotti israeliani provenienti dalle colonie. E una
pratica che accomuna centinaia di migliaia di persone nel mondo e Paesi
interi come la Svezia. Anche se io non l’ho mai proposto” (La Stampa).
Secondo il Foglio, “la verità è che non esiste in Europa un partito
antisionista come i 5 stelle, antisionismo che è il risvolto del loro
terzomondismo antioccidentale. Perché Israele, nella coscienza
pentastellata, è una pianta aliena in un medio oriente che doveva
rimanere araboislamico”. Di Stefano, ricordano alcuni quotidiani, è
quello che diceva che “Il terrorismo islamico non esiste. Spegnete la
TV e la radio, chiudete i siti web della stampa detta ‘main stream’ e
prendetevi qualche minuto per svuotare la testa dalle immagini viste in
questi ultimi anni e soprattutto delle parole sentite”.
Roma, la Memoria della polizia. Si è tenuta ieri alla Scuola superiore
di polizia di Roma una cerimonia commemorativa dedicata alle vittime
della Shoah. “Dobbiamo avere cura della memoria, affinché quei momenti
possano rimanere dentro di noi. Non dobbiamo essere indifferenti di
fronte a certi comportamenti sbagliati e dobbiamo fare in modo che non
accadano mai più”, ha affermato il capo della polizia, Franco
Gabrielli. Prima della cerimonia, riporta il Corriere Roma, Gabrielli
si è recato, assieme al rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, alla
presidente UCEI Noemi Di Segni e alla presidente della Comunità ebraica
di Roma Ruth Dureghello, al sacrario dei caduti della Polizia per un
momento di raccoglimento.
Francia, antisemitismo di quartiere. Quattro adolescenti sono stati
fermati mercoledì sera nella regione di Parigi dopo l’aggressione di un
14enne ebreo che usciva dalla sinagoga di Montmagny (Vald’Oise, nord
della Francia). Il ragazzo ha raccontato alla polizia di essere stato
accerchiato da un gruppo di giovani che lo hanno colpito con il ramo di
un albero, e che gli hanno rotto gli occhiali e rubato la kippah mentre
pronunciavano insulti antisemiti. I fermati sono quattro adolescenti
del quartiere: tre 14enni e un 15enne. Sono accusati di violenze
aggravate. “Secondo una prima ricostruzione, – scrive Avvenire – un
alterco si era verificato intorno alle 18 prima della funzione
religiosa, quando il ragazzino giocava con dei petardi in un parco in
compagnia del fratello e della sorella e aveva così attirato
l’attenzione di una parte dei suoi aggressori”.
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l'addio al grande maestro d'arte e di stile
Gillo Dorfles (1910-2018)
Nato
a Trieste nel 1910, da padre goriziano e madre genovese, Gillo Dorfles
è stato uno degli intellettuali italiani di maggiore spicco. Pittore,
critico d’arte, docente di estetica alle università di Trieste e
Milano, Dorfles è scomparso nelle scorse ore all'età di 107. Il
Maestro, la cui formazione intellettuale era stata fortemente
condizionata dall'ambiente culturale della borghesia ebraica triestina,
nel 1948 è stato tra i fondatori del Movimento per l’arte concreta
insieme a Bruno Munari e in quest’ambito ha esposto i suoi dipinti in
personali e collettive sia in Italia sia all’estero. Nel 1972 esce Il
Kitsch – Antologia del cattivo gusto, un testo che ha fatto epoca. E di
gusto e dell'influenza degli intellettuali della Trieste ebraica nella
sua vita, Dorfles raccontò in una lunga intervista a Pagine Ebraiche,
firmata da Daniela Gross.
“Combatto ancora la mia guerra al cattivo gusto”
L’ uomo che ha insegnato agli italiani che cos’è il kitsch, il pessimo
gusto che pervade l’arte, gli oggetti e il nostro vivere quotidiano,
non accenna ad abbassare la guardia. A 102 anni portati con un velo di
civetteria e a quasi mezzo secolo dal suo fondamentale saggio sul
kitsch che segnò una svolta nella percezione del contemporaneo, Gillo
Dorfles, vulcanica figura di intellettuale che ha attraversato da
protagonista il Novecento, mantiene uno sguardo attento e colmo
d’ironia sul mondo. “Usciamo da un decennio che è stato assolutamente
dominato dal kitsch: nei gesti, nel modo di vestire e di atteggiarsi,
nel comportamento di certa classe politica – riflette. – Ora mi sembra
ci si stia avviando verso un periodo improntato a un maggiore rigore”.
Ma chiedergli una parola di ottimismo sul futuro è inutile: l’unica
risposta è un sorriso svagato, tra il tagliente e il distratto. Il
professore ci riceve nella sua casa milanese in pieno centro,
affacciata su una piazza punteggiata d’alberi e panchine.
L’appartamento silenzioso è immerso nella penombra e colmo di libri
ammucchiati con ordine in ogni dove: sui tavoli e i tavolini, sulle
sedie e perfino sul pavimento. Bastano pochi minuti per abituare lo
sguardo a rendersi conto di essere circondati da veri tesori d’arte: in
primo luogo i quadri dello stesso Dorfles per cui la pittura è ancora
oggi pratica e passione quotidiana.
Professore, che cos’è il kitsch?
La parola non esiste da molto in Italia, mentre in Germania è piuttosto
comune. In tedesco viene probabilmente da termine pferkistchen che
significa pasticciare. In italiano la si potrebbe tradurre con
triviale, pacchiano. É un concetto che indica il cattivo gusto. Un
tratto assai più universale del buon gusto.
Qualche esempio di kitsch?
E’ kitsch un certo folklore. Ad esempio le statuine con la gondola
veneziana o la Sirenetta di Copenhagen. Negli Stati Uniti la patria del
kitsch è Las Vegas con le sue ricostruzioni fasulle di ambienti ed
epoche storiche. Ma anche la moda può essere di pessimo gusto, quando
abbina colori improbabili, sovrabbonda di ornamenti. Kitsch può essere
però anche il modo di portare un abito bellissimo.
Cosa ne pensa del gusto nel vestire delle nuove generazioni?
In un certo senso l’individualismo è azzerato: tutti vogliono gli
stessi jeans, la stessa maglia, il piercing, l’orecchino o i tatuaggi.
Ma non direi che andiamo verso il peggio: la moda italiana versa ancora
in ottime condizioni.
E nel campo dell’arte?
Vi sono molti artisti kitsch, tra cui alcuni molto buoni. Tra gli
esempi citerei Baj e il suo uso esagerato di decorazioni o medaglie. O
gli esponenti della pop art americana. La stessa critica d’arte può
essere molto kitsch, ma preferirei non citare nessuno.
Come si riconosce il kitsch?
Dipende dal proprio gusto. Se si ha cattivo gusto non si capisce nulla
e non c’è molto da fare. Tutto dipende dalla propria sensibilità, dalla
cultura, dall’ambiente cui si appartiene e dalla capacità di guardarsi
intorno.
È una capacità che si può insegnare?
Senz’altro. I bambini hanno una tendenza istintiva verso l’arte ma se
non sono guidati bene rischiano di non sviluppare alcuna sensibilità in
questa direzione. Si può dunque iniziare fin dall’asilo a mostrare ai
bambini che cos’è il buon gusto facendo vedere loro importanti opere
d’arte. In questo senso la scuola può essere molto utile.
Negli anni Cinquanta lei
fu tra i fondatori del Movimento arte concreta insieme a Bruno Munari,
artefice di una sperimentazione ancora molto attuale nell’educazione
all’arte dei più piccoli. A che punto siamo oggi?
Si dovrebbe fare molto di più per avvicinare i bambini alla dimensione
artistica. In altri paesi l’attenzione è molto più accentuata. In
Svizzera ho visto ad esempio scuole elementari con quadri di Klee e di
altri autori appesi alle pareti. Qui da noi sarebbe inconcepibile.
Eppure ogni volta che i bambini sono stimolati nella loro creatività si
ottengono risultati bellissimi. Ricordo che alcuni anni fa vi fu una
mia mostra a Palazzo reale a Milano. Si organizzarono dei laboratori
per le elementari e al termine vennero esposti i disegni dei bambini.
Le posso garantire che erano molto più belli dei miei e che gli alunni
avevano capito e interpretato con intelligenza tutto ciò che avevano
visto. Vi è dunque un potenziale naturale che andrebbe sviluppato con
una giusta educazione. Oggi siamo ai minimi termini, dal punto di vista
pedagogico, ma non bisogna rassegnarsi.
Lei è nato a Trieste, da cui se n’è andato bambino per tornare negli
anni del ginnasio. Allora la comunità ebraica locale rivestiva un ruolo
significativo. Qual è il suo ricordo?
Frequentavo molti personaggi legati alla Trieste ebraica, a quel tempo
molto importante dal punto di vista culturale. Ricordo Italo Svevo,
Umberto Saba e quel grande intellettuale che fu Bobi Bazlen, amico che
continuai poi a vedere anche negli anni milanesi. A Trieste il mondo
ebraico conviveva con la comunità greca, con quella serbo ortodossa e
slovena e proprio questa diversità di radici e di culture era
all’origine delle fortune di quella città. A Trieste allora era del
tutto normale parlare due o tre lingue …
Lei vive a Milano ormai dagli anni del dopoguerra, ma torna spesso a Trieste. Come trova oggi la città?
È stata abbandonata dall’Italia e oggi ha quasi perso quel tratto che
ne faceva una realtà tanto particolare. Pensiamo, solo per fare un
esempio, a ciò che è successo ai collegamenti ferroviari. Sono stati
progressivamente ridotti fino a isolarla dal resto dell’Italia: oggi ci
vuole più tempo per spostarsi fra Venezia e Trieste che tra Milano e
Roma.
C’è il progetto dell’Alta velocità che potrebbe ricollegarla al resto d’Europa.
La linea Lione-Zagabria è a dir poco fondamentale: per Trieste e per il
Nord est poter contare su questa tratta è una necessità vitale.
E Milano? Com’è cambiata?
È ancora uno dei centri della cultura italiana, anche se certo vi sono
città molto più belle e piacevoli. Nel tempo si è modernizzata, anche
se forse non ancora a sufficienza. Oggi per fortuna si sta costruendo
in molte zone, anche centrali come Porta Garibaldi: andava fatto
cinquant’anni fa. Non si capisce perché certe aree sono rimaste vuote
così a lungo.
Parliamo di musei. Roma ha
visto nascere di recente il Maxxi e il Macro, dedicati all’arte
contemporanea. Da questo punto di vista Milano sembra segnare il passo.
È semplicemente una vergogna che Milano non abbia un museo d’arte
contemporanea e che un’opera come il Maxxi sia stata realizzata a Roma.
Non solo. Milano è la capitale del design internazionale, ma non ha
ancora un museo dedicato a questa sua specialità. Sarebbe ora di
provvedere anche a questo.
Il design italiano gode ancora di buona salute?
Certamente. Ancora abbiamo il miglior design del mondo con oggetti simbolo che il mondo ci invidia.
Qualche esempio?
Mi astengo per non rischiare di dimenticare qualcuno.
Cosa ne pensa di un’esperienza di design “democratico” come Ikea? Non
rischia di provocare un’eccessiva omogeneizzazione del gusto: mobili a
portata di tutte le tasche e tutti uguali per case sempre più simili
l’una all’altra?
Il modello Ikea non è affatto negativo. Lo stesso concetto di
supermercato contiene in sé un forte potenziale culturale: l’importante
è che i mobili siano attuali e che non ci sia alcuna imitazione
dell’antico, tentazione oggi per fortuna sempre più remota.
Lei si è laureato in medicina. Ha mai esercitato?
No. L’idea di fare il medico in gioventù mi attirava molto. Ma una cosa
è studiare, un’altra confrontarsi con i malati: temo sarei stato la
loro rovina.
Si è specializzato in psichiatra. Una scelta quasi irresistibile allora a Trieste.
La città ha avuto un ruolo fondamentale nella diffusione nella
psicanalisi in Italia, basti pensare alla figura di Edoardo Weiss che
in questo senso ebbe un ruolo pionieristico. In qualche modo quei semi
hanno dato frutti importanti anche molti anni dopo. Non dimentichiamo
che proprio Trieste è stata protagonista della grande riforma
psichiatrica avviata negli anni Settanta da Franco Basaglia.
Professor Dorfles, dipinge ancora?
È il mio mestiere. Continuerò a farlo finché morirò.
Daniela Gross
(Nell'immagine, Gillo Dorfles ritratto da Giorgio Albertini) Leggi
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gillo dorfles (1910-2018)
Un maestro di stile e di vita
L'età
non lo ha spento e il lavoro di allestimento della grande rassegna Oggi
il Kitsch, che aprirà i battenti sotto la sua direzione alla Triennale
di Milano fra poche settimane, il prossimo maggio, procedono spediti.
Forse proprio per questo prima di incaricare Daniela Gross
dell'intervista di questo mese e di avventurarmi con lei e Giorgio
Albertini nella casa semplice ed elegante di Gillo Dorfles, confesso di
aver attraversato qualche attimo di sperdimento. Non tanto per il
mostro sacro che il grande critico dell'arte e del costume certamente
è. Non tanto per la sua veneranda età che lui porta con tanta
agevolezza. Nemmeno per il suo carattere affabile che poi
repentinamente e senza preavviso, se ti scappa una sciocchezza, si
tramuta in imbarazzanti sentenze di condanna senza appello. Forse per
tutto questo assieme, o forse per la complessità di un personaggio che
ha segnato oltre un secolo con il suo sguardo critico. Ho pensato così
di chiedere consiglio a un comune amico, in modo che mi evitasse quei
passi falsi che Dorfles non mi avrebbe mai perdonato. Ecco quello che
ne ho ricavato e che, alla prova dei fatti, ci ha fatto uscire indenni
da un'esperienza davvero fuori dal comune. “Prima di tutto – mi sono
sentito dire – mai cedere alla tentazione di sollecitarlo a parlare
della sua identità ebraica. E nemmeno della sua lunga vita personale.
Delle sue origini, delle sue vicende. Dorfles lo considererebbe un
gesto di cattivo gusto, ama parlare delle epoche e delle vicende, delle
situazioni e delle identità in maniera impersonale, ama nascondersi
dietro ai suoi giudizi critici, alla sua visione dell'arte, alla sua
maestria nel classificare e condizionare i gusti. Non ama le esibizioni
e gli esibizionismi. Tutta la sua vita deve essere dedotta da altri
messaggi, non direttamente dal suo racconto”. “Inoltre, meglio evitare
in generale tutti quei segnali che rischiano di irritare un uomo dai
modi garbatissimi, ma capace anche di stroncarti con una semplice
critica. Per esempio, attenzione agli abiti, ricordati di quando lo
abbiamo visto incenerire al festival della Letteratura di Mantova quel
povero malcapitato che uscito dal pubblico oceanico lo sollecitava a
citare qualche esempio del cattivo gusto attuale. E fu incenerito in
pubblico sentendosi rispondere davanti a tutti un raggelante 'Per
esempio la sua camicia'. Non è necessario che ti metta una cravatta, ma
almeno evita il blu, lui è convinto sia una tinta di pessimo gusto”.
Non ho potuto fare a meno di correre davanti allo specchio. Dalla testa
ai piedi mi sono sentito tutto blu, un disastro. Giusto il tempo di
correre ai ripari con qualcosa di beige prima di varcare la porta.
Guido Vitale Leggi
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qui roma
Il capo della Polizia di Stato:
“Memoria sia sempre con noi"
“Dobbiamo
avere cura della memoria affinché quei momenti possano rimanere dentro
di noi. Non dobbiamo essere indifferenti di fronte a certi
comportamenti sbagliati e dobbiamo fare in modo che non accadano mai
più”. Così il capo della Polizia Franco Gabrielli, intervenendo ieri
alla Scuola superiore di Polizia in occasione della cerimonia
commemorativa “La speranza sopravvive all’odio e ai campi di
concentramento”.
Accanto a Gabrielli, nel momento di raccoglimento che ha aperto la
cerimonia, la Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane
Noemi Di Segni, la Presidente della Comunità ebraica romana Ruth
Dureghello, il rabbino capo rav Riccardo Di Segni, il responsabile
operativo per la sicurezza delle comunità ebraiche italiane Gianni
Zarfati, il prefetto Filippo Dispenza, il direttore della Scuola
superiore di Polizia Annamaria Di Paolo e il cappellano don Pino
Cangiano.
“La giornata di oggi – ha sottolineato Di Segni, che è intervenuta
assieme a Gabrielli al termine dell’iniziativa – è un’emozionante
opportunità di incontro nella quale riflettere su questi fenomeni:
imperi, potenze, popoli, pianificazione dei uno sterminio, legislazione
mirata e risposta dei singoli. Di cittadini e di chi ricopre cariche
istituzionali e di servizio. Questa la riflessione che si rinnova oggi
in questa sala nel nome di Giovanni Palatucci, questore di Fiume
proclamato Giusto tra le Nazioni per l’assistenza offerta agli ebrei
perseguitati, e di tutti coloro che, indossando la divisa, scrissero
pagine di coraggio memorabili nell’ora più buia d’Italia e d’Europa”. Leggi
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israele - aspettando il giro d'italia
I campioni dall’ambasciatore
“Conto di rivedervi presto”
L’esperienza
è finita, i campioni sono tornati a casa. Ma con Israele nel cuore. E
tanta voglia di tornare. In bici, per esplorare ulteriormente il paese
(c’è chi punta sul Mar Morto e chi invece sulla Galilea). O come
spettatori del prossimo Giro d’Italia, che dal 4 al 6 maggio porterà
l’attenzione di milioni di appassionati di tutto il mondo su Israele.
Alessandro Ballan, Maurizio Fondriest, Paolo Savoldelli, Gilberto
Simoni e Andrea Tafi: cinque vecchie glorie sulle strade della corsa
rosa, esplorata in anteprima su invito del ministero israeliano del
turismo. La conclusione di questo viaggio straordinario e inedito (solo
Fondriest conosceva il paese, ma la sua prima visita risale a molti
anni fa) non poteva che essere nella casa di tutti gli italiani.
“Avervi qua, in questa sede, è un grande orgoglio. Conto di rivedervi
presto” il messaggio dell’ambasciatore Gianluigi Benedetti all’illustre
quintetto che, in carriera, può annoverare la bellezza di due
campionati del mondo, quattro Giri d’Italia e diverse affermazioni
nelle principali classiche. Leggi
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Se non sono io per me
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Alcuni
anni fa in una conversazione tra amici ci siamo trovati a discutere su
chi sia stato il miglior governante che l’Italia abbia mai avuto in
tutta la sua storia. Si badi bene, non il miglior politico: doveva
essere qualcuno che avesse effettivamente esercitato il potere; sarebbe
stato troppo facile, altrimenti, trovare personalità eccellenti.
Dovendo nominare qualcuno che avesse davvero dovuto sporcarsi le mani
il gioco si è rivelato difficilissim.
Anna Segre, insegnante
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Il carnevale della politica |
Purtroppo
anche quest'anno Purim è finito, la sfilata carnevalesca che ha
accompagnato questa negra campagna elettorale invece ci accompagnerà
ancora per qualche giorno. Ho usato il termine “carnevale” con
l'augurio che, come lo interpretava il filologo Michail Bachtin, questa
sia una “vita (un periodo) tolto dal suo normale binario” e che da
lunedì si torni in qualche modo a una sorta di “normalità”, che forse
in Italia non c'è mai realmente stata.
Francesco Moises Bassano
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