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31 maggio 2018 - 17 Sivan 5778
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orizzonti

Settant'anni di Israele, bilancio
di un successo economico  

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Il settantesimo anniversario della nascita dello Stato d’Israele fornisce l’occasione per fare un bilancio sui traguardi raggiunti in campo economico, che è il fiore all’occhiello del paese, e, più in generale, sui suoi punti di forza e di debolezza sotto questo profilo. Fra i punti di forza vi è sicuramente la delicata transizione, negli anni Ottanta, da un’economia “socialista” con forte presenza dello Stato (le banche erano statali, il commercio estero era controllato, l’agricoltura era fortemente sussidiata) a un’economia “di mercato” in cui è incoraggiata l’attività imprenditoriale e la concorrenza. Questa trasformazione, scaturita dalla necessità di debellare la grave crisi economica e l’iperinflazione che all’inizio degli anni Ottanta affliggevano il paese, ha creato il terreno fertile per la nascita, alla fine degli anni Novanta, del settore delle alte tecnologie. I fattori che hanno favorito la nascita e il boom del settore high-tech sono principalmente due: da un lato una fruttuosa collaborazione tra università, settore privato e Stato “finanziatore”, dall’altro l’esercito e un’industria militare che hanno favorito la ricerca, “fornito” imprenditori e committenze alle aziende del settore.

Aviram Levy, Pagine Ebraiche, maggio 2018


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MACHSHEVET ISRAEL

Libertà è data, nonostante tutto  

img headerDurante un recente convegno di filosofi morali su “Etica e bellezza”, il filosofo Otfried Höffe, tra i maggiori interpreti contemporanei di Kant, ha polemizzato con un insigne neuroscienziato, Wolf Singer, e la sua tesi (assai diffusa in ambito scientifico) per cui “dal momento che siamo determinati dalle interconnessioni del sistema nervoso centrale, dobbiamo smettere di parlare di libertà”. Per alcuni nostri politici, anche le interconnessioni a livello giuridico europeo e gli accordi multilaterali con altre realtà sovra-nazionali indicherebbero che non siamo liberi. E quale essere umano o quale nazione non ambisce ad essere ‘libero’? Quello della libertà di scelta, individuale e comunitaria, è un problema affrontato dai maestri di Israele in termini non di valore assoluto ma di equilibrio tra dimensioni tutte autentiche: autentica è l’aspirazione ad auto-determinarci e autentico è il condizionamento, biologico e culturale, che ci predispone a certe scelte; nondimeno questa pre-disposizione non è pre-determinazione e, anche nelle condizioni più dure, un nocciolo di libertà è data. È noto il midrash che commenta il dono della Torà, là dove i maestri – per sottolineare l’assoluta sovranità del Datore dell’insegnamento divino – pongono l’alternativa tra accettare la Legge o veder trasformato il Sinai in una tomba per il popolo ebraico. Immagine audace, ma anche pedagogicamente efficace! In quest’immagine non dobbiamo vedere solo il lato truce, quello della minaccia; possiamo piuttosto leggervi l’istanza di libertà: in ultima analisi, i figli di Israele ai piedi del Sinai potevano scegliere e hanno scelto: na‘ase ve-nishma‘. Con due futuri che impegnano anche le generazioni a venire, sempre in un misto di coercizione e libera scelta.
Nei Pirqé Avot l’idea della libertà viene ribadita in molti luoghi. Tra questi è famoso il detto, attribuito a Rabbi ‘Aqivà: “Tutto è previsto, ma il permesso [di scegliere] è dato” (III,19).

Massimo Giuliani, docente al Diploma Studi Ebraici, UCEI 

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orizzonti      

Dall'Est le voci di dissenso  

Gli avvenimenti del Sessantotto, dei quali quest'anno si celebra l'anniversario con lo stanco passo dei reduci e poca inventiva interpretativa, videro l'Europa, ancora una volta spaccata in due. Ma, come nota giustamente lo storico Guido Crainz: «Nella storia d'Europa dei decenni successivi, il'68 non ci appare tanto rilevante per quel che avvenne a Parigi oppure a Torino, a Berlino, a Milano o a Trento, quanto per i traumi e i rivolgimenti che segnarono quell'area dell'Europa "sequestrata" dall'impero sovietico». In comune, in tutta Europa e anche negli Stati Uniti, i fatti di quell'anno ebbero una ventata di salutare libertà e di antiautoritarismo che incise soprattutto nel senso della vita e dei rapporti tra i sessi, nel modo di comportarsi e di stare assieme, nella musica, nel cinema e nel teatro, nell'arte. Protagonisti furono ovunque i giovani: «Si aveva l'impressione che l'Europa fosse piena di giovani», ha saltto lo storico Tony Judt. Soltanto che, come nota nel suo amaro saggio la storica sociale Anna Bravo, «non c'è pane senza libertà, diceva uno slogan degli studenti di Varsavia, mentre i loro coetanei francesi erano abituati a pensare piuttosto il contrario, Non c'è libertà senza pane».

Francesco M. Cataluccio,
Il Sole 24 Ore Domenica,
27 maggio 2018


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identità 

Nei vicoli di Napoli ebraica

In Via Cappella Vecchia, a Napoli, si incontrano le voci degli ebrei partenopei. C'è una Sinagoga dell'800, in uno scomodo vicolo di antiquari in pieno centro, che guarda alla piazza dei Martiri e al mare. Un itinerario lungo i percorsi, che definiscono l'identità dei «figli» di una città che li ha accolti ma anche respinti: Napoli, Via Cappella Vecchia 31 (Belforte Editore) è il libro di Pierpaolo Pinhas Punturello, giovane rabbino e studioso, che in nove racconti compone un ritratto dell'ebraismo partenopeo facendo «dialogare» i personaggi con i luoghi. «Ho scritto questo libro — spiega Punturello — per raccontare il mondo nel quale sono cresciuto. E si tratta di un mondo che sta scomparendo, così volevo lasciarne il segno. Ho fatto camminare i personaggi per le strade di Napoli, tenendo in mente che anche le norme che regolano la nostra esistenza di ebrei fanno capo a quella che noi definiamo "Halachà", ovvero legge, che è cammino, cammino di vicinanza o distanza». Gli ebrei sono lì da un secolo e mezzo, prima sono arrivati gli ashkenaziti, poi da Roma, dal Nord Italia, dall'Europa dell'Est, dalla Turchia e anche da Salonicco. E se tra le due Guerre se ne contavano 2.000 oggi ne sono rimasti 150.

Ariela Piattelli,
La Stampa,
31 maggio 2018 


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Shir shishi - una poesia per erev shabbat

Uomini nel deserto

img headerIl rapporto stretto tra il grande poeta Yehudah Amichai e il deserto come spazio dai molteplici significati e luogo dell’esistenza umana, fa capolino in una poesia di Erez Biton, un noto poeta israeliano non vedente, di cui abbiamo già pubblicato alcune poesie. Durante un viaggio verso Arad, per una presentazione con lo scrittore Amos Oz, i due si ritrovano nelle colline del Negev ed Erez Biton chiede a Yehudah Amichai di descrivergli il paesaggio del deserto. Amichai prende la mano di Biton, la stringe e tace.
Qualche tempo dopo, nel 2010 Erez Biton pubblica una poesia in memoria di quel momento magico.

Dire il deserto,
dedicato a Yehudah Amichai

La tua mano taciturna
Ha abbozzato davanti a me
Oasi nel deserto
Verde su verde.
Come vasi comunicanti
Una mano tocca l’altra.
Sono passati attraverso i tuoi occhi
A me
La grandezza del dire
E la meraviglia
Del roveto ardente.

Amichai, da parte sua, ha scritto sullo stesso viaggio:

Una volta ho viaggiato \ lungo il Mar Morto\ con un poeta cieco. Volevo descrivergli le immagini\ ma tacqui.                                   
Lui ha visto, lui ha compreso.

Sarah Kaminski, Università di Torino

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