Jonathan Sacks, rabbino | Scienza
e religione. Abbiamo bisogno di entrambe. La scienza per comprendere
l'universo, la religione per guidarci nel cammino e aiutarci a
costruire il mondo che vogliamo. Un mondo di pace, giustizia,
compassione e amore.
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David
Bidussa,
storico sociale
delle idee | Nel
1940, in un momento particolarmente oscuro, George Orwell scrive: “Nel
ventre della balena nella convinzione di vedere due mondi in una volta,
il mondo di oggi chiuso nella bolla d’aria del mondo di ieri”. Così mi
pare oggi anche di noi.
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Il pressing dell'Iran
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G7
e anti-G7. Come quello in corso nel Nord della Cina dove, come spiega
La Stampa, il presidente iraniano Rohani ha chiesto alla Russia più
incontri per fronteggiare l’uscita (definita “illegale”) degli Stati
Uniti dall’accordo sul nucleare. Sul tavolo c’era anche la situazione
in Siria, dove – si legge – l’alleanza russo-iraniana comincia a
scricchiolare. Mosca vorrebbe infatti ridimensionare la presenza delle
milizie sciite, “per mantenere il rapporto strategico con Israele”, e
ha già ottenuto il loro ritiro dalla zona a ridosso del Golan.
Duro attacco al nuovo governo, sul tema dell’immigrazione, da parte di
Roberto Saviano. “La pacchia – scrive sull’Espresso – arriva in un
attimo. La pacchia è un proiettile. Soumayla Sacko è morto così. Aveva
un regolare permesso di soggiorno. Non oso immaginare quale sarà la
pacchia (minacciata) per chi il permesso non ce l’ha. Quello che so con
certezza e che non vi daremo tregua e vi faremo rimpiangere il giorno
in cui per egoismo, interesse e cattiveria avete deciso, perché lo
avete deciso, di diventare razzisti”.
È scomparsa all’età di 95 anni la Testimone della Shoah Gena Turgel,
che a Bergen-Belsen accudì Anna Frank poco prima della morte e che è
stata conosciuta anche come “La sposa di Belsen” per il matrimonio
contratto con un soldato inglese che liberò il campo. “Il suo abito da
sposa, realizzato con un paracadute dell’esercito britannico, è ora
esposto all’Imperial War Museum di Londra” riporta tra gli altri
Avvenire.
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qui ferrara - una giornata di incontri La grande Festa del Libro
nel segno dell'identità C’è
l’identità ebraica al centro della Festa del Libro Ebraico, l’evento in
corso oggi a Ferrara, promosso dal Museo Nazionale dell’Ebraismo
Italiano e della Shoah. “Un’identità che permea il progetto culturale
del MEIS – ha introdotto il Direttore, Simonetta Della Seta – e che
cerchiamo di contestualizzare, di illustrare al pubblico con il
contributo degli studiosi che abbiamo il privilegio di ospitare.
Apriamo la Festa non a caso con un volume su Isacco Lampronti: questo
medico, ebraista, poeta, rabbino, enciclopedista, cabalista e
talmudista del Settecento è stato e continua ad essere una figura
chiave per capire le tante sfaccettature dell’identità ebraica, che lui
ha approfondito in modo straordinario”.
Nel gremito bookshop del MEIS, Nuovi studi su Isacco Lampronti. Storia,
poesia, scienza e Halakah (Giuntina-MEIS, Firenze, 2017), ovvero gli
atti del convegno organizzato dal Museo nel 2015, è stato presentato
dal curatore Mauro Perani, titolare della cattedra di Ebraico
all’Università di Bologna, da Rav Luciano Meir Caro, Rabbino Capo della
Comunità Ebraica di Ferrara, e da Laura Graziani Secchieri, autrice di
uno degli otto saggi.
Come
ha ricordato Perani, “Lampronti è stato il personaggio più
significativo dell’ebraismo ferrarese e uno degli intellettuali più
importanti dell’ebraismo occidentale. Dopo i primi studi di Bibbia e
Torah a Ferrara, si perfezionò a Lugo e a Padova, e completò la sua
formazione nell’Accademia rabbinica di Mantova, all’epoca una delle più
importanti d’Italia. Fin da piccolo, mostrò un’intelligenza precoce ed
eccezionale, che si manifesterà nella sua grande opera Paḥad Yiṣḥaq o
Il terrore di Isacco, summa enciclopedica del lessico talmudico e del
sapere ebraico. Laureatosi in Medicina a Padova nel 1696, superò
rapidamente tutti i gradi del rabbinato, fino alla nomina a More Ṣedeq
della Scola Levantina, quindi Morenu o Presidente della Yešivah di
Ferrara”. Ma l’enorme cultura di Lampronti non si limitava al sapere
religioso del Talmud e alla normativa ebraica: egli fu, infatti, anche
un medico apprezzato dai più grandi chirurghi e dottori.
Il volume porta alla luce il poema ebraico, pressoché sconosciuto, che
Lampronti compose nel 1710, in occasione dell’inaugurazione del nuovo
Aron ha-qodeš, da lui donato alla Scola Levantina. E fa emergere nuovi
dati e scoperte sulla sua biografia, ad esempio l’accusa di aver
venduto al Comune di Ferrara delle epigrafi funerarie, per rafforzare
le barriere contro le piene del Po, come riporta il registro con i
verbali delle sedute del Consiglio della Comunità.
A
sedere tra i relatori del bookshop è, poi, stata la filosofa Donatella
Di Cesare, che ha dialogato sul suo Marrani (Einaudi, Torino, 2018) con
lo storico, saggista e giornalista Paolo Mieli.
Il testo della Di Cesare ripercorre la vicenda di queste vittime di
violenza politica e di intolleranza religiosa, inassimilabili malgrado
il battesimo forzato, perseguitati dalle prime leggi razziste,
costretti a un'emigrazione interiore, non più ebrei, ma neppure
cristiani. La loro scissione lacerante, la doppiezza esistenziale cui
sono piegati li conducono alla scoperta del sé, all'esplorazione
dell'interiorità. E gli esiti sono disparati: dalla mistica di Teresa
d'Ávila al concetto di libertà di Baruch Spinoza.
(Foto di Marco Caselli Nirmal) Leggi
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qui ferrara - l'intervento La lezione di A.B. Yehoshua
"Lingua antica, lingua viva" È
lo scrittore israeliano Abraham B. Yehoshua l’ospite d’onore di questa
edizione della Festa del Libro Ebraico in Italia. Alle 17, al Teatro
Comunale, la sua attesa lectio magistralis su “Il libro ebraico”.
“Gli ebrei – scrive Yehoshua, in un intervento pubblicato ieri da La
Stampa – ipotizzavano che le Sacre Scritture li avrebbero preservati
dalla tempesta che li minacciava. Ma ci furono scrittori e
intellettuali, conoscitori di quei testi, che, ben comprendendo quanto
la loro capacità di fornire strumenti di comprensione della nuova
realtà fosse limitata, pretesero una svolta. Trasformarono la lingua
sacra in un idioma vivo e moderno e, soprattutto, forgiarono una realtà
della quale le Sacre Scritture non rappresentavano il cardine ma solo
un aspetto. È questa la rivoluzione sionista che riportò il popolo
ebraico a lavorare la terra senza che tale occupazione fosse
considerata inferiore rispetto allo studio e all’esegesi delle Sacre
Scritture, e a possedere un territorio”.
(Nell’immagine Yehoshua visita l’allestimento con il Direttore del Meis Simonetta Della Seta) Leggi
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Le parole di Liliana
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Al
netto di alcune gratuite volgarità circolate sui social network a
commento delle sue parole, il primo discorso della senatrice a vita
Liliana Segre è chiaro ed incontrovertibile. Non costituisce una
concessione ai buoni sentimenti né un esercizio di illusoria
benevolenza. Semmai è la richiesta che sia rispettato il vincolo della
solidarietà sociale e che il rimando alla democrazia non siano un
estemporaneo e intollerabile esercizio di ipocrisia, buono magari per
fare la giusta figura quando nulla costa, salvo poi revocarla nel nome
del “bisogno” (di sicurezza, di tutele, di garanzie). Il tutto si
condensa in una frase, il cui contenuto è incontrovertibile: «Mi
rifiuto di pensare che oggi la nostra civiltà democratica possa essere
sporcata da progetti di leggi speciali contro i popoli nomadi». In
tempi di eccezionalità e di “eccezionalismo”, dove non pochi ritengono
che la risposta ai loro problemi possa essere data da forzature nello
stato di diritto – pensando magari che le scorciatoie siano, nella
peggiore delle ipotesi, un problema per gli “altri” ed un vantaggio per
sé – affermare che la giustizia sociale riposi nel rispetto dei diritti
è di per sé un atto politico. Nel senso di qualcosa che va oltre
l’appartenenza, o il riconoscersi, con uno schieramento piuttosto che
con un altro, rivolgendosi piuttosto per intero alla collettività.
Poiché non è un discorso che rimandi ad altra identità che non sia
quella dettata dal sentirsi parte di un concreto consesso umano.
Claudio Vercelli
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