Ephraim Mirvis, rabbino capo
di Gran Bretagna | Andiamo
tutti in sinagoga il prossimo Shabbat. Facciamo sì che ogni ebreo nel
mondo mostri che niente ci terrà lontano dalle nostre sinagoghe
pregando il Signore da ebrei liberi.
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Dario
Calimani,
Università di Venezia
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Dietro
a una strage come quella di Pittsburgh, come dietro alle violenze
razziste che in Europa prendono di mira ebrei o rom o immigrati, c’è
sempre una campagna di odio strisciante e continua, propagandata
strategicamente, messa in atto dalla politica che per giustificare sé
stessa cerca un nemico sul quale deviare l’attenzione dalle proprie
responsabilità.
Sembra inutile e disonesto affermare ogni volta, a posteriori, che la
mano criminale era quella di un folle, perché è proprio di folli e
squilibrati che politici razzisti si servono per raggiungere il proprio
scopo.
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Israele al voto
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Sono
circa 6,6 milioni i cittadini israeliani e residenti di età superiore
ai 17 anni cha hanno diritto a votare oggi alle elezioni locali per
scegliere nuovi sindaci, consigli comunali e regionali. A Gerusalemme
la sfida per la guida della città è tra il ministro degli Affari di
Gerusalemme Ze’ev Elkin e i consiglieri comunali dell’amministrazione
uscente Moshe Lion e Ofer Berkovitch (a Gerusalemme oggi La Stampa
dedica un ritratto). A Tel Aviv, il vicesindaco Asaf Zamir sfida il
primo cittadino Ron Huldai, dato in vantaggio nei sondaggi e che in
caso di vittoria otterrebbe il quinto mandato. Le urne chiuderanno alle
22 di questa sera e nella notte dovrebbero arrivare i risultati.
Intanto un risultato politico e sportivo per Israele arriva da Abu
Dhabi dove l’inno israeliano è risuonato nella capitale degli Emirati
Arabi, grazie alla conquista della medaglia d’ora di Sagi Muki e Peter
Paltchik nel torneo Grand Slam della Federazione internazionale di
judo. “Soltanto l’anno scorso, allo stesso torneo, un altro judoka
israeliano, Tal Flicker, aveva vinto la medaglia d’oro ma, come tutti
gli atleti israeliani che da anni ormai competono in alcuni paesi del
mondo arabo senza un trattato di pace con Israele, non gli era stato
permesso di salire sul podio al suono dell’inno nazionale. – riporta il
Foglio – Qualcosa sta cambiando tra Israele e i paesi del Golfo, senza
passare attraverso negoziati, ma muovendosi direttamente verso una
lenta e non troppo pubblicizzata normalizzazione”.
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la mobilitazione degli ebrei italiani 'Pittsburgh, la nostra solidarietà' Ancora
solidarietà dall’ebraismo italiano per l’attentato alla sinagoga
conservative Tree of Life di Pittsburgh. Un momento di riflessione e
preghiera si sarebbe dovuto tenere nel Tempio Maggiore di Roma, ma è
saltato per le avverse condizioni climatiche che hanno colpito la
Capitale. Ci si è però ritrovati numerosi in diverse sinagoghe tra cui
quelle di Milano e Firenze.
A Milano i nomi delle vittime di Pittsburgh sono stati letti nel
silenzio del Tempio di via Guastalla. Tanti gli ebrei milanesi venuti
ad ascoltare le parole del rabbino capo della città rav Alfonso Arbib,
a leggere insieme i tehillim e recitare il kaddish per le undici
vittime dell’attentato. Parlando ai presenti, rav Arbib ha ricordato
come l’antisemitismo sia una minaccia costante, che nel corso dei
secoli ha cambiato maschera ma il cui bersaglio è rimasto lo stesso:
gli ebrei. Questo non significa che non si possa combattere ed è
necessario che la politica si prenda le sue responsabilità, il concetto
espresso dal rabbino capo: è necessario che i politici smettano di
usare toni che incitano alla violenza e all’odio. “Ci troviamo anche
questa volta a dover aprire le nostre sinagoghe per ricordare delle
vittime innocenti causate dal cieco odio razzista – ha ricordato il
presidente della Comunità ebraica milanese Milo Hasbani – Le undici
vittime della strage di Pittsburgh stavano pregando, stavano celebrando
lo shabbat, e non si aspettavano di morire in questo modo vile”.
Hasbani ha poi richiamato le parole d’odio del responsabile della
strage – “Tutti gli ebrei devono morire” – a cui fanno da contraltare
quelle dell’ex primo ministro d’Israele Golda Meir che ricordava come
ebrei “ci rifiutiamo di scomparire, non importa quanto forte, spietata
e brutale possa essere la forza usata contro di noi”. Tra i presenti in
sinagoga il presidente dell’Anpi Milano Roberto Cenati, che in un
messaggio al mondo ebraico all’indomani della strage aveva
sottolineato: “Ci sono persone a cui si mette in testa che le ideologie
razziste siano ancora oggi la risposta alle problematiche attuali,
scaricando sugli ebrei, su chi fugge dalle guerre e da situazioni
disastrose, la responsabilità della crisi della società contemporanea:
è la ricorrente teoria del capro espiatorio. La discriminazione
razziale e l’odio per lo straniero così come la purezza etnica sono
risposte tragicamente già date nel secolo appena trascorso”. Contro
questa retorica d’odio, sottolineava Cenati, l’antidoto più efficace “è
costituito dalla Memoria e dalla cultura, legate alla conoscenza
storica”.
Ad intervenire nella sinagoga fiorentina la presidente della Comunità
ebraica Daniela Misul, il rabbino capo Amedeo Spagnoletto e il console
americano Benjamin Wohlauer. “Sono andato sul sito della sinagoga di
Pittsburgh e mi ha fatto impressione constatare come le attività che
organizziamo siano molto simili. Veniamo da uno Shabbat particolarmente
intenso, qui a Firenze. E proprio di Shabbat si è deciso di colpire a
Pittsburgh. Il giorno più importante, il dono più grande che l’ebraismo
ha fatto al mondo assieme al monoteismo” ha commentato il rav
Spagnoletto.
“Non dobbiamo essere indifferenti a quel che ci succede intorno” il
monito della presidente Misul, che ha invitato a non sottovalutare i
segnali di odio crescenti anche nella società italiana. Segnali che, ha
sottolineato, hanno trovato la loro simbolica e allarmante
rappresentazione nel corteo fascista di Predappio.
In sinagoga tra gli altri l’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi,
il sindaco Dario Nardella, la senatrice Caterina Biti, il presidente
del Consiglio regionale Eugenio Giani, la Consigliera regionale Titta
Meucci, gli assessori comunali Sara Funaro e Massimo Fratini. Oltre
alla dirigenza comunitaria, per l’UCEI era presente la Consigliera Sara
Cividalli. “Noi oggi ci sentiamo più che mai vicini alla Comunità
ebraica di Firenze, agli ebrei di Pittsburgh e del mondo. Oggi siamo
tutti ebrei” ha detto il sindaco Nardella a margine della cerimonia.
“Essere qui lo considero un dovere di senatore, rappresentante del
proprio territorio. Ma anche un dovere di padre. L’odio antisemita va
combattuto anche oggi, ancora oggi” ha affermato il senatore Renzi.
(Nell'immagine la sinagoga di Firenze ieri sera) Leggi
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le reazioni all'attentato Il dolore e la frattura aperta Dopo
l’attentato alla sinagoga Tree of Life di Pittsburgh il mondo ebraico,
dentro e fuori dai confini americani, si è ritrovato di fronte al
dolore per le 11 vite spezzate e allo shock per l’episodio antisemita
più grave della storia Usa.
Tuttavia, il cordoglio unanime non è bastato a rimarginare una delle
fratture che pervadono la realtà ebraica contemporanea: la
contrapposizione tra diverse denominazioni. All’indomani dell’attacco
infatti, non è passato inosservato come nella stampa espressione del
mondo ebraico haredi, il luogo della strage, affiliato al movimento
conservative, non sia stato denominato sinagoga, ma tutt’al più centro
ebraico. Un approccio di cui è stato chiesto conto al rabbino capo
ashkenazita di Israele, rav David Lau, in un’intervista al quotidiano
israeliano Mekor Rishon. Pur cercando di non scatenare polemiche, il
rabbino non ha a sua volta voluto impiegare il termine sinagoga,
parlando invece di un luogo di chiaro carattere ebraico. “Questa
domanda non è rilevante. Non importa come viene chiamato dove è
avvenuto, le vittime sono state uccise in quanto ebrei”, ha dichiarato,
aggiungendo: “Non c’è bisogno di creare problemi in un momento
doloroso”. Diverse le reazioni, a partire da quella del primo ministro
Benjamin Netanyahu, che pur non menzionando esplicitamente Lau, ha
ribadito senza equivoco l’identità di Tree of Life come sinagoga.
“Degli ebrei sono stati uccisi in una sinagoga. Sono stati uccisi
perché erano ebrei, e il luogo è stato scelto perché è una sinagoga.
Non dobbiamo dimenticarlo, siamo un unico popolo”, ha twittato
Netanyahu.
“Il rabbino Lau si è rifiuta di chiamare sinagoga un luogo in cui degli
ebrei sono stati uccisi pregando. Una sinagoga tale anche dal punto di
vista halakhico”, ha commentato Tomer Persico, Research Fellow al
Hartman Institute di Gerusalemme e docente di religioni comparate
all’Università di Tel Aviv.
Anche rav Benny Lau, importante voce del mondo ortodosso progressista
(e cugino di David), è intervenuto ricordando i “fratelli e sorelle
uccisi in una sinagoga perché ebrei”, e mettendo in guardia contro le
divisioni all’interno della comunità. Leggi
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la mostra DI DANI KARAVAN presentata al meis Bassani e il giardino che non c'è, il segno di un grande artista Il
giardino immaginario al centro dell’opera di Giorgio Bassani, il mito
che ha affascinato milioni di lettori nel mondo legandoli per sempre
alle vicende e ai destini degli ebrei italiani prende corpo nel cuore
di Ferrara.
Il grande artista israeliano Dani Karavan rende accessibile la sua
visione e il suo progetto attraverso un percorso espositivo piccolo e
prezioso che apre oggi i battenti nell’area del Museo dell’ebraismo
italiano nella città estense.
Una testimonianza straordinarie e commovente e un momento di creazione
artistica di grande forza che congiunge, a 80 dal tradimento delle
leggi razziste e delle persecuzioni, i fili spezzati delle vicende
ebraiche italiane e la sete di diritti civili, di libertà, di
democrazia e di tutela dell’intelligenza che il mondo ebraico è
determinato a difendere e a testimoniare a beneficio dell’intera
collettività.
Accolto a Ferrara dalle massime autorità cittadine assieme al sindaco
Tiziano Tagliani, dal presidente del Meis Dario Disegni e dalla
direttrice Simonetta Della Seta, dalla presidente dell’Unione delle
Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni, dal presidente della
Commissione dedicata al centenario di Giorgio Bassani Daniele Ravenna,
l’artista ha voluto condurre personalmente i primi visitatori nel cuore
della sua opera.
Il
progetto del giardino che potrà sorgere nel cuore di Ferrara emerge
vivo come fosse già realizzato attraverso lo slancio trasmesso dai
modelli in mostra, ma anche da un contesto di un percorso che
ricostruire l’impegno artistico e civile di Karavan per una Memoria
pulsante di impegno politico e di amore per l’umanità. Il visitatore
attraversa le grandi realizzazioni di Berlino e di Norimberga, ma si
lascia anche avvolgere dall’istallazione artistica dedicata agli ultimi
momenti di vita di Walter Benjamin, uno dei massimi pensatori del
Novecento, che perse la vita sulle sponde del Mediterraneo al termine
di una disperata fuga dalle persecuzioni antiebraiche.
E se in un angolo di intimità il visitatore si trova per la prima volta
da solo a confronto con il manoscritto dove Bassani vergò il testo del
Giardino dei Finzi Contini, un tratto di strada ferrata che simboleggia
la ferita della deportazione si perpetua all’infinito in un gioco di
specchi. Binari che ci ricordano la necessità di non deporre mai le
armi contro la perpetua minaccia dell’oppressione e della privazione
della libertà. Sull’altro fronte dello stesso cammino Karavan ha voluto iscrivere nelle tante lingue del genere umano i cardini della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Un nuovo appuntamento, a Ferrara, con la creazione ebraica che assume
il respiro universale e la speranza collettiva di tutta la società
intenzionata a guardare avanti. E un nuovo, importante passo avanti del
Museo destinato fare di Ferrara lo snodo della cultura che gli ebrei
italiani hanno da offrire alla collettività.
“Sono venuto la prima volta a Ferrara nel 1956 per vedere gli affreschi
di Francesco del Cossa e Cosmé Tura – racconta Karavan –. Mi sono
innamorato di questa città e da allora ci sono tornato molte altre
volte. Negli anni ’80 vi incontrai Paolo Ravenna e immediatamente
scoppiò un’amicizia. Grazie a lui ho scoperto il volto ebraico di
Ferrara e la storia di Giorgio Bassani. L’idea de Il Giardino che non
c’è mi è venuta quando mi sono imbattuto in un gruppo di americani che
cercava il giardino dei Finzi-Contini dietro un muro di Corso Ercole I
d’Este, senza però trovare nulla. Quando chiesi a Paolo, mi disse che
lì non era mai esistito e che era frutto dell’immaginazione dello
scrittore”.
Perché,
allora – si legge in una nota emessa dal Meis – non usare proprio quel
muro in Corso Ercole I d’Este per crearvi l’entrata in un vuoto, nel
giardino che non c’è? Una suggestione che si è via via precisata,
scontornata, popolata di oggetti. Ecco, dunque, la ferrovia, con la
duplice funzione di far accedere fisicamente il pubblico a quel luogo,
ora non più solo mentale, e di ricordare il tragico destino delle tante
famiglie ebraiche italiane che in treno andarono incontro alla morte,
deportate dai nazisti ad Auschwitz e in altri campi di concentramento.
Non mancherà nemmeno la bicicletta, un riferimento a Bassani e ai suoi
amici – continua Karavan –, che giravano per Ferrara in sella alle loro
bici, proprio come il suo alter ego Giorgio e gli altri ragazzi e
ragazze nel libro. Mentre una scala alluderà al desiderio di Giorgio di
arrampicarsi oltre il muro della proprietà dei Finzi-Contini per stare
con Micol, quella giovane ed elegante donna della quale si era
innamorato al primo sguardo, quando entrambi erano ancora bambini. Di
fronte alla scala, un muro di vetro riporterà diversi estratti dalle
pagine in cui Bassani descrive il giardino, in tutte le lingue in cui
il suo romanzo è stato tradotto”.
Nell’allestimento curato da Noa Karavan, accanto al modello e a diversi
materiali dell’installazione pensata dal padre Dani per Corso Ercole I
d’Este, ci sono il manoscritto originale de Il Giardino dei
Finzi-Contini (per gentile concessione del Comune di Ferrara) e un
percorso tra alcuni degli oltre cinquanta lavori site specific firmati
dallo scultore israeliano in giro per il mondo: il memoriale sui Sinti
e i Rom a Berlino, la camminata sui diritti umani a Norimberga,
l’omaggio a Walter Benjamin a Portbou e il monumento al deserto nel
Negev.
“Sono felice e onorato di presentare Il Giardino che non c’è, insieme
ad altre mie opere, al MEIS” – conclude l’ottantottenne Karavan –.
Trovo molto adatto illustrare il mio progetto proprio qui,
nell’edificio in cui Bassani fu detenuto sotto il regime fascista.
Sento quest’opera come un’autentica necessità che viene dal profondo di
me stesso e non vedo l’ora di vederla realizzata a Ferrara.”
La mostra può essere visitata fino al 10 febbraio 2019, dal martedì alla domenica, dalle 10.00 alle 18.00.
“Il Giardino che non c’è” è patrocinata dalla Regione Emilia-Romagna e
dal Comune di Ferrara, con il sostegno di BASSANI 1916-2016 – Comitato
Nazionale per le celebrazioni del centenario della nascita di Giorgio
Bassani, Coop Alleanza 3.0, Ferrara Arte, FER e Italia Nostra – Sezione
di Ferrara. Il Meis ringrazia il Centro Studi Bassaniani e la
Fondazione Giorgio Bassani.
(Foto di Marco Caselli Nirmal)
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Confronti utili
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Inaugura
domani, in una nuova versione, il Museo della Fondazione Centro
Culturale Valdese, a Torre Pellice, nelle Valli, in Piemonte. Sono
molto curioso di questo restauro e spero di poter presto visitarlo.
Credo che sarebbe utile anche per gli ebrei italiani, e in particolare
per chi ne cura i vari musei, oltre che per i cittadini in generale.
Com’è noto, i valdesi sono una minoranza storica nel nostro paese, che
attraverso molte persecuzioni e momenti bui ha saputo sviluppare
un’identità rigorosa ma aperta, capace di grande solidarietà, cultura,
progressismo. Sono, i valdesi, un po’ gli alfieri del sentimento
“laico” in Italia, il che li porta per paradosso a percepire una
notevole quota del reddito Otto per Mille, che molti criticano proprio
per il suo elemento oggettivamente clericale. E che però essi spendono
solo per attività slegate dalle esigenze della comunità e del culto,
per opere di bene – come si sarebbe detto.
In settimana si svolgono anche gli Stati generali dell’Ebraismo
italiano, a Roma, un’occasione di riflessione certamente utile e
importante, soprattutto se saremo capaci di rifuggire dalla retorica e
dalla burocrazia.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas Leggi
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Non andare in libreria
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Essendo
andato nella ridente località di Mond’Ongo, una frazione del Comune di
Colliseni, per acquistare dei tartufi pervinca, una varietà molto
diffusa ma difficile da trovare (occorre un particolare incrocio fra
cocker spaniel e bull dog per annusarli) tutto avrei pensato fuorché di
trovare una libreria ebraica. Eppure, eccola lì, con la sua bella
insegna “Libri per ebrei emancipati”, ed un discreto cartellino nella
vetrina, che prometteva un dono di due etti di quei tartufi per ogni
acquisto superiore ai novanta euro.
Avendo sfogliato diversi libri senza decidermi, perché erano tutti
parimenti invitanti, chiusi gli occhi e ne presi diversi a casaccio.
“Un ottimo metodo” pensai, finché mi accorsi di aver preso due volumi
delle Pagine Gialle del 1958.
Emanuele Calò, giurista
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Capire, oltre la cronaca
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L’antisemitismo
cresce, deborda, torna a colpire con la violenza delle armi, al di là
delle parole infami e deliranti. Sabato scorso, a Pittsburgh, l’evento
più traumatico dell’antiebraismo americano: una comunità riunita in
preghiera nella sinagoga conservative “Tree of Life” viene presa a
fucilate; undici morti. L’informazione arriva in tempo reale e si
sofferma, puntuale, sui più piccoli dettagli; insiste particolarmente
sulla prospettiva della pena capitale per Robert Bower, il
quarantaseienne neonazista autore della strage. Ma le analisi politiche
e sociali sulle cause della nuova ondata distruttiva, sul significato
del suo attuale emergere nel contesto della situazione americana e
mondiale, mi pare latitino.
David Sorani
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