Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui      15 Settembre 2020 - 26 Elul 5780
LE SOLENNITÀ EBRAICHE CELEBRATE NELLA PIÙ ANTICA SINAGOGA DELLA CITTÀ

La Scola Grande Tedesca riapre
A Venezia, Kippur nel segno della vita

“Beth ha-keneset ha-ghedolà keminag aschenazì”. Ultimata nel 1529, la Scola Grande Tedesca è la più antica sinagoga di Venezia. Come ci ricorda questa scritta che appare sul portale d’ingresso della sala di preghiera, furono gli ebrei ashkenaziti (e cioè i “tedeschi”) i primi abitanti del Ghetto imposto dalle autorità della Serenissima nel 1516. 
Varcarne la soglia significa avventurarsi in un percorso che, proseguendo nelle altre quattro sinagoghe del suggestivo complesso rinascimentale rimasto intatto da allora, porta a confronto con questa storia di radici e sfide quotidiane per preservare la propria identità dalle molte minacce esterne. Un luogo quindi anche della resilienza. 
Oggi assorbita all’interno del complesso del Museo ebraico, la Scola Tedesca costituisce una tappa immancabile di ogni itinerario veneziano che si rispetti. È prima di tutto, però, una sinagoga. Una funzione che tornerà ad essere valorizzata nei prossimi giorni, per effetto di una storica decisione presa dal Consiglio della Comunità ebraica lagunare: il digiuno dello Yom Kippur sarà infatti l’occasione per tornare a riunirsi in questi spazi e ascoltare, per la prima volta da oltre un secolo, dal periodo cioè del primo conflitto mondiale, la preghiera di Kol Nidrè o il suono dello shofar. La Scola Tedesca si affiancherà così alla Scola Levantina e a quella Spagnola già tradizionalmente in uso per Kippur. A Rosh Hashanah si potrà invece andare sia in Levantina che Spagnola (di solito è aperta solo quest’ultima).
Una decisione, quella relativa alla Scola Tedesca, dettata dall’esigenza di garantire al maggior numero possibile di iscritti l’opportunità di seguire in sicurezza, rispettando scrupolosamente le norme vigenti, la funzione. Ma anche e soprattutto dalla volontà di iniziare il nuovo anno ebraico nel segno della vita.
In un 2020 segnato da molte chiusure, un emozionante impegno nel segno dell’apertura.  
Apertura che per gli ebrei veneziani significa anche ritorno in sinagoga, dopo che in tutti i mesi estivi letture delle parashot e altre funzioni si sono svolte in luoghi aperti.

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IL NUOVO LOCKDOWN IN ISRAELE E LE REAZIONI DEGLI ITALKIM

"Una chiusura che potevamo evitare"

Israele è la prima nazione a dover ricorrere nuovamente al lockdown. Prenderà il via alla vigilia di Rosh HaShanah e dovrebbe durare tre settimane. Una scelta decisa dal governo israeliano alla luce dei numeri molto alti di nuovi positivi al Covid-19, con picchi di 4000 casi al giorno. Per il ministro della Sanità Yuli Edelstein, intervistato dall’emittente televisiva 13, la nuova chiusura è legata al mancato rispetto delle linee guida contro il contagio. “Abbiamo fermato l’aumento della morbilità (numero dei casi di malattia registrati durante un periodo dato in rapporto al numero complessivo delle persone prese in esame), e poi ha iniziato a salire di nuovo con il mancato rispetto delle regole: matrimoni con centinaia di partecipanti, inosservanza delle regole negli alberghi, i locali per giovani al completo e altro ancora”. Per il ministro, dunque, molta responsabilità per la nuova ondata di contagi ricade sulle spalle del pubblico israeliano e della generalizzata mancanza di rispetto delle misure per la prevenzione dei contagi. Ma l’opinione pubblica israeliana, per quanto riguarda le responsabilità, è divisa e ha digerito con una certa difficoltà l’annuncio della nuova chiusura. “Sono molto dispiaciuto che non potremo andare al Tempio per Rosh HaShanah e Kippur. Non sono particolarmente preoccupato per la situazione sanitaria e capisco l’esigenza della chiusura per evitare che il sistema sanitario si sovraccarichi come accaduto in Italia a marzo-aprile”, spiega Raphael Barki, presidente del Comites (Comitato per gli italiani all’estero) di Tel Aviv e membro della comunità degli italkim, gli italiani d’Israele. “Credo che come israeliani siamo stati troppo disinvolti, troppo sicuri di noi e ora questo nuovo lockdown è un ceffone in faccia che ci sveglia e ci ricorda che il virus è tra noi. Non abbiamo avuto una prima ondata spaventosa come in Italia e quindi in molti non hanno preso sul serio la pandemia. E ora ne paghiamo le conseguenze, ma ne usciremo. Come dicevo, non sono preoccupato, sono dispiaciuto”. Un sentimento condiviso dal demografo Sergio Della Pergola, che da Gerusalemme esprime però molte critiche all’azione del governo. Un esecutivo nato per far fronte alla pandemia e che ora ha davanti a sé un bilancio di contagi tra i peggiori al mondo. “Come contagi per numero di abitanti siamo primi al mondo purtroppo – sottolinea Della Pergola – Per fortuna, non per decessi, il cui numero è contenuto rispetto a molti altri paesi. Abbiamo superato i mille e se continua così arriveremo in un anno a seimila. È un ritmo che non va bene. La politica ha fallito nel gestire l’emergenza”. Primo imputato per il professor Della Pergola, il Premier Benjamin Netanyahu che in queste ore è a Washington per firmare l’accordo di normalizzazione dei rapporti con Emirati Arabi Uniti e Bahrein. “Questo paese viene gestito in maniera incosciente, incompetente e demagogica. Non è stata fatta una riforma degli ospedali in questi sei mesi e quindi nulla è cambiato. Non c’è una prospettiva di lungo termine, perché? Perché abbiamo un Primo ministro populista che mantiene il potere grazie a un gioco di equilibri tra diversi interessi, tra finanziamenti ai haredim (religiosi) e agli insediamenti in Giudea e Samaria. Ma non fa riforme utili al paese”. Duro dunque Della Pergola nei confronti del Premier ma anche del suo alleato Benny Gantz, ministro della Difesa e premier alternativo. “Gantz è completamente scomparso, Kachol Lavan si sente poco o nulla e intanto il paese deve tornare a chiudersi”. Secondo la neuropediatra Marina Finzi Norsi, già intervistata da Pagine Ebraiche a inizio lockdown, la scelta della nuova chiusura totale d’Israele non è positiva. “Secondo me dovevamo guardare più il numero dei malati gravi, che ci sono ma non stanno aumentando in modo molto preoccupante, e il numero dei morti. E invece continuiamo a contare il numero dei contagi, molto alto certo ma anche perché si fanno tantissimi test. Ne sono stati svolti 44mila in un giorno, per esempio, in un paese di 9 milioni di abitanti. Per cui vengono fuori molti positivi. Non credo che la chiusura totale sia la strada giusta ma il rispetto delle misure di prevenzione – afferma Finzi Norsi – Poi certo rispetterò le disposizioni e non potrò vedere la mia famiglia. Per fortuna sto bene e cerco di concentrarmi sulle cose positive”.

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LA RIUNIONE CON LA COMMISSIONE DELLA KNESSET PER L'ALIYAH 

"Israele e Diaspora, legame indissolubile"

Un confronto con la Commissione per l'Aliyah, l'Assorbimento e la Diaspora della Knesset per presentare, a distanza di mesi dall'inizio della pandemia, la situazione di alcune Comunità ebraiche della diaspora, tra cui quella italiana rappresentata dalla presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni. Ad organizzare l'iniziativa online, l'Agenzia ebraica, presieduta da Yitzhak Herzog, che ha ricordato l'importanza di far sentire la solidarietà d'Israele a tutto il mondo ebraico e il legame indissolubile con quest'ultimo. “Viviamo tempi difficili, anche per Israele. - ha aggiunto David Bitan, presidente della commissione per l'Aliyah, aprendo la discussione - Sappiamo che la pandemia ha colpito duramente alcune comunità, sia dal punto di vista sanitario sia da quello economico: penso all'Italia, agli Stati Uniti ma anche altri paesi. Noi dobbiamo fare il possibile per aiutare queste realtà”. La Presidente UCEI Di Segni ha presentato nel corso della riunione – a cui ha partecipato la vice presidente della Knesset Keren Barak – la situazione dell'Italia ebraica, ricordando la grave emergenza sanitaria vissuta in primavera dall'intero paese e i difficili risvolti economici che stanno ancora segnando la vita di molte famiglie.

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IL RICONOSCIMENTO AL PRESIDENTE DI GARIWO

Medaglia Raoul Wallenberg, il premio a Gabriele Nissim

Fondatore e presidente di Gariwo, Gabriele Nissim ha ricevuto nelle scorse ore la Medaglia Raoul Wallenberg conferita dalla fondazione internazionale che porta il suo nome. Un riconoscimento che ricalca l’impegno profuso dal diplomatico svedese durante la Shoah, quando salvò migliaia di ebrei e altri perseguitati in Ungheria. In una lettera inviata a Nissim il fondatore della Fondazione, Baruch Tenembaum, sottolinea che la scelta è ricaduta su di lui per "l’instancabile dedizione, durata tutta la sua vita, verso le cause umanitarie, in primo luogo come Presidente di Gariwo, la foresta dei Giusti, una organizzazione dedita a preservare e divulgare le gesta di persone che, attraverso le loro azioni, abbiano dato un contributo considerevole al miglioramento morale dell’umanità".

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Rassegna stampa

Il piano del regime di Teheran:
uccidere l’ambasciatrice Usa

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Liberare Avera Menghistu
Ora sono sei anni interi. Avera Menghistu, il ragazzo di origini etiopi scomparso anni fa, non è tornato. Chissà che fine avrà fatto. L’ennesimo episodio di un israeliano rapito sul quale Hamas specula. Certo le circostanze in questo caso sono state diverse: è stato lui ad attraversare il reticolato di sicurezza con Gaza, in pratica è stato lui ad andare da Hamas. Ma questo fa parte del problema, dato che Avera è mentalmente instabile: proprio per questo non fu accettato dall’esercito. Solo Hamas asserisce cinicamente il contrario.
Rav Michael Ascoli
Il perdono altrui 
Si avvicina, anche quest’anno, la possibilità di rinnovarsi. Un nuovo anno, nuovi progetti, nuove speranze, nuove promesse. E antichi pentimenti, forse sempre gli stessi.
Non si è mai in ritardo per le scuse, e non è mai troppo presto per consegnare all’altro il proprio rispetto. Talora anche la propria fiducia, malgrado il rischio che si corre.
Per il ritorno ebraico alla retta via, ci è data ogni anno una nuova possibilità. La si spreca sempre il giorno dopo.
Dario Calimani
La Storia ci guarda
Un articolo risalente di Celeste Pavoncello Piperno (“La Nostra Bandiera: l'adesione agli «ideali» fascisti di un gruppo di ebrei italiani", La Rassegna Mensile di Israel, Terza serie, Vol. 48, No. 7/12, 1982, p 15 ss.) dimostra che trentotto anni non sono tanti, se poi, vichianamente, troviamo corsi e ricorsi non dovuti di certo all’accoglimento dell’una o dell’altra filosofia, bensì alle alterne vicende del popolo ebraico.
Emanuele Calò
Riformare la politica
La violenza diffusa, fisica e informatica, invade la nostra società. Chi con slancio spontaneo si oppone all’argomento brutale della forza fisica tentando di placarla e di riportare un diverbio tra ragazzi a un livello di civiltà, come cercava di fare il giovane Willy Duarte Monteiro a Colleferro, viene schiacciato e annientato da un’ esplosione distruttiva di arti marziali; nelle ore seguenti sui social, accanto alle reazioni indignate, spicca l’entusiasmo razzista di chi con parole indecenti inneggia alla soppressione del ragazzo originario di Capoverde.
David Sorani
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