Gli Italkim e il nuovo lockdown in Israele
Israele è la prima nazione a dover ricorrere nuovamente al lockdown. Prenderà il via alla vigilia di Rosh HaShanah e dovrebbe durare tre settimane. Una scelta decisa dal governo israeliano alla luce dei numeri molto alti di nuovi positivi al Covid-19, con picchi di 4000 casi al giorno. Per il ministro della Sanità Yuli Edelstein, intervistato dall’emittente televisiva 13, la nuova chiusura è legata al mancato rispetto delle linee guida contro il contagio. “Abbiamo fermato l’aumento della morbilità (numero dei casi di malattia registrati durante un periodo dato in rapporto al numero complessivo delle persone prese in esame), e poi ha iniziato a salire di nuovo con il mancato rispetto delle regole: matrimoni con centinaia di partecipanti, inosservanza delle regole negli alberghi, i locali per giovani al completo e altro ancora”. Per il ministro, dunque, molta responsabilità per la nuova ondata di contagi ricade sulle spalle del pubblico israeliano e della generalizzata mancanza di rispetto delle misure per la prevenzione dei contagi. Ma l’opinione pubblica israeliana, per quanto riguarda le responsabilità, è divisa e ha digerito con una certa difficoltà l’annuncio della nuova chiusura. “Sono molto dispiaciuto che non potremo andare al Tempio per Rosh HaShanah e Kippur. Non sono particolarmente preoccupato per la situazione sanitaria e capisco l’esigenza della chiusura per evitare che il sistema sanitario si sovraccarichi come accaduto in Italia a marzo-aprile”, spiega Raphael Barki, presidente del Comites (Comitato per gli italiani all’estero) di Tel Aviv e membro della comunità degli italkim, gli italiani d’Israele. “Credo che come israeliani siamo stati troppo disinvolti, troppo sicuri di noi e ora questo nuovo lockdown è un ceffone in faccia che ci sveglia e ci ricorda che il virus è tra noi. Non abbiamo avuto una prima ondata spaventosa come in Italia e quindi in molti non hanno preso sul serio la pandemia. E ora ne paghiamo le conseguenze, ma ne usciremo. Come dicevo, non sono preoccupato, sono dispiaciuto”. Un sentimento condiviso dal demografo Sergio Della Pergola, che da Gerusalemme esprime però molte critiche all’azione del governo. Un esecutivo nato per far fronte alla pandemia e che ora ha davanti a sé un bilancio di contagi tra i peggiori al mondo. “Come contagi per numero di abitanti siamo primi al mondo purtroppo – sottolinea Della Pergola – Per fortuna, non per decessi, il cui numero è contenuto rispetto a molti altri paesi. Abbiamo superato i mille e se continua così arriveremo in un anno a seimila. È un ritmo che non va bene. La politica ha fallito nel gestire l’emergenza”. Primo imputato per il professor Della Pergola, il Premier Benjamin Netanyahu che in queste ore è a Washington per firmare l’accordo di normalizzazione dei rapporti con Emirati Arabi Uniti e Bahrein. “Questo paese viene gestito in maniera incosciente, incompetente e demagogica. Non è stata fatta una riforma degli ospedali in questi sei mesi e quindi nulla è cambiato. Non c’è una prospettiva di lungo termine, perché? Perché abbiamo un Primo ministro populista che mantiene il potere grazie a un gioco di equilibri tra diversi interessi, tra finanziamenti ai haredim (religiosi) e agli insediamenti in Giudea e Samaria. Ma non fa riforme utili al paese. E intanto spera in nuove elezioni da cui uscire vincitore ed evitare con esse, il processo a suo carico che inizierà a gennaio”. Duro dunque Della Pergola nei confronti del Premier ma anche del suo alleato Benny Gantz, ministro della Difesa e premier alternativo. “Gantz è completamente scomparso, Kachol Lavan si sente poco o nulla e intanto il paese deve tornare a chiudersi”. Secondo la neuropediatra Marina Finzi Norsi, già intervistata da Pagine Ebraiche a inizio lockdown, la scelta della nuova chiusura totale d’Israele non è positiva. “Secondo me dovevamo guardare più il numero dei malati gravi, che ci sono ma non stanno aumentando in modo molto preoccupante, e il numero dei morti. E invece continuiamo a contare il numero dei contagi, molto alto certo ma anche perché si fanno tantissimi test. Ne sono stati svolti 44mila in un giorno, per esempio, in un paese di 9 milioni di abitanti. Per cui vengono fuori molti positivi. Non credo che la chiusura totale sia la strada giusta ma il rispetto delle misure di prevenzione – afferma Finzi Norsi – Poi certo rispetterò le disposizioni e non potrò vedere la mia famiglia. Per fortuna sto bene e cerco di concentrarmi sulle cose positive”. Per la neuropediatra è comprensibile la richiesta degli ospedali e del sistema sanitario di una riforma e di maggiori fondi. “La situazione da quando lavoravo io non è cambiata molto e certo servono più medici, molti di più. Quindi le richieste sono legittime, mi chiedo se sia opportuno fare pressioni in questo momento di crisi. Forse sì. Certo non è possibile che non si aumenti il numero di studenti per medicina: invece che allargare le maniche, non si è fatto nulla in questi anni e così molti israeliani vanno studiare all’estero. So di molti che vanno in un’università americana in Ungheria e poi vanno negli Stati Uniti a fare le specializzazioni. Un mio amico e collega, che lavora ancora negli ospedali, mi ha raccontato che ci sono primari che vanno in quell’università in Ungheria e cercano di convincere gli studenti israeliani a tornare in Israele finiti gli studi. Non è una strada percorribile. Serve una riforma”. Tornando all’emergenza, Della Pergola, Finzi Norsi e Barki temono che le persone continuino a non rispettare le misure. “Speriamo che capiscano – sottolinea la neuropediatra – Noi italiani a Gerusalemme intanto ci siamo organizzati molto bene per pregare in vista di Rosh HaShanah e Kippur. Saremo in un posto all’aperto, in un luogo molto grande dove già preghiamo da molti mesi. Certo che, anche se mi concentro nelle preghiere, l’atmosfera del Bet HaKnesset (la sinagoga) mi manca, però non possiamo fare altrimenti. Penso che Dio ascolterà lo stesso, anche se saremo tutti sparpagliati”.
dr