Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     21 Settembre 2020 - 3 Tishri 5780
UNA VITA PER LA GIUSTIZIA E NEL SEGNO DEI VALORI EBRAICI  

Ruth Bader Ginsburg (1933-2020)

"In piedi, entra la corte!". A presiederla Ruth Bader Ginsburg.
Nata a Brooklyn in una famiglia di ebrei russi, studentessa alla Cornell University, nel 1956 si iscrive alla Harvard Law School per poi fare corsi di perfezionamento alla Columbia University, New York. Difficile comunque trovare un lavoro, raccontava: era ebrea, donna, e – soprattutto – aveva un figlio di quattro anni. E invece.
Invece è stata chiamata (da Bill Clinton, nel 1993) a dire l’ultima parola sulla vita politica e sociale degli Stati Uniti d’America dai banchi della Corte suprema, nomina confermata dal Senato praticamente all’unanimità. Una pioniera, professoressa di diritto, avvocato, attivista per i diritti delle donne, fondatrice della Women’s Rights Project.
Luglio 2016: in occasione del cinquecentenario dell’istituzione del ghetto di Venezia, paradigma di tutte le esclusioni, e a quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare, alla Scuola Grande di San Rocco il pubblico, divertito e incuriosito, non ha avuto un attimo di esitazione. Tutti in piedi per l’ingresso della famosa e temuta giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti: mentre la Compagnia de’ Colombari in collaborazione con l’università Ca’ Foscari metteva in scena per la prima volta “Il Mercante di Venezia” nel luogo dove è ambientato, in Campo del Ghetto, l’ebreo veneziano più famoso è stato protagonista di un processo simulato, spettacolo nello spettacolo.

Nulla era per finta, e l’appassionato dibattimento ha riservato più di una sorpresa, ma nonostante l’occasione avesse anche un lato mondano il vero spettacolo era lei, così famosa e amata da meritarsi il soprannome di Notorious RBG, mutuato dal rapper Notorious BIG.
Nota anche per essere stata il primo giudice ebreo entrato a far parte della Corte suprema – oltre che la seconda donna – si è battuta non solo per i diritti delle donne, ma per tutte le minoranze. 
Mai allontanatasi da una lettura puntuale e osservante della Costituzione, era cresciuta con una ferrea educazione ebraica, e riflettendo sulla propria identità Ginsburg aveva dichiarato: “Sono fortunata ad avere questa eredità e vivere negli Stati Uniti in un tempo in cui agli ebrei non vengono chiuse le porte in faccia e possono essere se stessi senza vergogna”.

(Nell’immagine in alto Ruth Bader Ginsburg con la Presidente UCEI Noemi Di Segni, in basso mentre sfoglia Pagine Ebraiche assieme alla giornalista Ada Treves)

 

TRUMP NON SEMBRA INTENZIONATO AD ASPETTARE LE ELEZIONI 

Sostituirla, una scelta che segnerà il futuro degli Usa

La scomparsa di Ruth Bader Ginsburg ha lasciato un grande vuoto negli Stati Uniti. Migliaia di persone hanno ricordato il suo contributo fondamentale nelle battaglie per l’uguaglianza di genere e la sua ricerca costante di giustizia (nell’immagine, i fiori e messaggi in sua memoria lasciati davanti al palazzo della Corte Suprema, a Washington). In una sua nota affermazione, in merito al suo legame con l’ebraismo, Bader Ginsburg aveva ricordato come il precetto biblico “giustizia, giustizia perseguirai” (Tzédeq tzédeq tirdòf) fosse il suo principio guida come di tutti i giudici della Corte suprema. Il grande dibattito ora è su chi avrà il compito di prendere il suo testimone e colmare il vuoto della sua scomparsa. “Il mio desiderio più ardente è quello di non essere rimpiazzata fino a quando non verrà insediato un nuovo presidente” le parole della Baden Ginsburg affidate alla nipotepoco prima di morire. Ma il Presidente Donald Trump non è intenzionato ad aspettare dopo il 3 novembre.

 

REDAZIONE APERTA - LA CERIMONIA A TRIESTE

Giornalisti ebrei cancellati nel 1938,
giustizia e nuovi impegni

“Nel 1938 ebbe inizio un’altra fase della mia vita dovuta alle leggi razziali promulgate da Mussolini. I provvedimenti antisemiti, fra l’altro, stabilivano l’espulsione degli ebrei da tutte le professioni, incluso il giornalismo. Un mattino me ne stavo andando in redazione e, come sempre, camminavo leggendo Il Popolo. Improvvisamente mi fermai per rileggere allibito questo inatteso titolo a me dedicato: ‘Fuori l’ebreo, si respira aria migliore’. Pensai con amarezza ai colleghi che la sera precedente erano già al corrente di quel titolo e avevano taciuto. Non ho mai saputo quale di quei colleghi ‘amici’ avesse scritto il titolo e il malvagio articoletto.
Sotto il titolo ‘I giudei eliminati dal Circolo della Stampa’, il Popolo riportava poi questa notizia: 'Il Consiglio direttivo del Circolo della Stampa, riunitosi in seduta ordinaria, ha, fra l’altro, deliberato di considerare come dimissionari dal Circolo stesso gli iscritti giudei. Tali iscritti sono in numero di otto, di cui due professionisti e sei pubblicisti, e precisamente: Ida Finzi e Federico Levi, professionisti; Mario Bolaffio, Aldo Cassuto, Massimo Della Pergola, Edvige Levi Gunalachi, Vito Levi e Alice Pincherle, pubblicisti’.
Seguiva questo commento editoriale: ‘La decisione del Circolo della Stampa trova la piena approvazione delle Camicie nere del Popolo di Trieste. Era logico che i giudei non dovessero più far parte di quella che noi consideriamo la nostra casa, la nostra famiglia. Il giornalismo fascista è un posto avanzato della Rivoluzione, che dev’essere presidiato da uomini puri di sangue e di cuore, da militi fedeli interamente votati alla Causa. Quindi, niente da fare per i giudei, discriminabili o meno’.
Ricordo d’essermi recato ingenuamente al sindacato per protestare. Il dirigente mi ascoltò, m’interruppe e mi disse o meglio urlò, dandomi del voi, anche perché quell’inverosimile Starace, segretario del Partito Fascista, aveva soppresso il ‘lei’: 'Ma voi siete un ebreo e come tale potete fare soltanto lo spazzino'. Gli risposi: ‘Lo farei certo con dignità, mentre tu la dignità non sai neanche che cosa sia'. Me ne andai a testa alta, pensando, ma forse non intuendo fin in fondo, quanto era cambiata bruscamente la mia vita’”.
 

A descrivere con queste parole da una pagina delle sue memorie il lurido tradimento del fascismo nei confronti degli ebrei italiani e l’inizio della rovinosa caduta italiana nella sconfitta e nel disonore, è un grande giornalista italiano allora ancora alle prime armi.
Massimo Della Pergola, sopravvissuto alla Shoah, avrebbe contrassegnato con le sue idee luminose e il suo stile inconfondibile il giornalismo sportivo del dopoguerra.

L’episodio si svolge a Trieste quando Massimo, allora giovanissimo, muoveva i suoi primi passi professionali nella redazione del quotidiano Il Popolo di Trieste. Ottantadue anni dopo quel settembre che vide Benito Mussolini annunciare nel suo comizio sulla grande piazza aperta sul golfo della città giuliana, l’avvio delle persecuzioni antiebraiche, le istituzioni dei giornalisti hanno ora deciso di restituire simbolicamente il tesserino professionale a quei colleghi che furono esclusi dalla professione e perseguitati.

Nella sala del Circolo della Stampa, alla presenza del sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, del rabbino capo della città Alexander Meloni, di molti esponenti del mondo della politica e della cultura e dei ragazzi del liceo Petrarca, che hanno recentemente concluso una ricerca storica sugli anni bui delle persecuzioni, i presidenti dell’Ordine dei giornalisti e dell’Assostampa del Friuli Venezia Giulia, Cristiano Degano e Carlo Muscatello e il presidente della casa dei giornalisti triestini, Pierluigi Sabatti, hanno compiuto un gesto di alto valore simbolico.

(Nelle immagini, di Giovanni Montenero e Claudia Cernigoi, la cerimonia al Circolo della Stampa; l’intervento del direttore della redazione giornalistica UCEI Guido Vitale; la manifestazione in Piazza Unità in ricordo delle leggi razziste)

 

Nessuno tocchi il Bund
Si diffondono tesi strane, confuse al punto da non essere ben identificabili, ma che potremmo forse denominare “revisioniste”.  In che senso revisioniste, se nel senso comune o nel senso della destra sionista di Jabotinski, lascio a voi deciderlo. Queste tesi sono abbastanza vaghe da non saper bene dove vogliano andare a parare, ma una cosa è certa: da una parte vogliono derubricare l’adesione al fascismo degli ebrei italiani, che la storiografia concordemente sottolinea, sotto l’etichetta della farsa.
Anna Foa
L'augurio per il 5781
Di Rosh Hashanà usiamo esprimere l’augurio “Leshanà tovà tikatev vetechatem lealtar lechaym tovim ulshalom/per l’anno nuovo tu possa essere scritto e sigillato presto per la vita buona e la pace”. È però interessante notare che rabbenu Yaakov ben Asher scrive nella sua opera ritualistica Arba’a Turim che “in Ashkenaz si usa che ognuno auguri al prossimo: Tikatev beshanà tovà/possa tu essere scritto nell’anno nuovo”.
 
Rav Adolfo Locci
Oltremare - Comunicazione
Parlare con parenti e amici fuori Israele, oltre a fare bene all’anima in generale, è utile in questo inizio d’anno ebraico per realizzare che è vero, noi israeliani siamo già immersi nel secondo lockdown e ce lo siamo meritato tutto, ma c’è almeno un lato di questa crisi globale in cui non siamo totalmente soli, ed è la palese incapcità di molti governi di raggiungere i cittadini comunicando con chiarezza e senso pratico cosa si deve fare o non fare, evitare o posticipare, quando la priorità assoluta è il mantenerci in vita.
Daniela Fubini
Segnali indiretti
Un interessante segnale indiretto delle intenzioni distensive dell’Arabia Saudita nei confronti del mondo ebraico sembrerebbe provenire dal lungo approfondimento sugli ebrei del Libano pubblicata qualche giorno fa da Arab News, il più importante quotidiano saudita in lingua inglese, che esce in edizione cartacea e online.
Viviana Kasam
1870, una memoria di famiglia
Sin da piccola ho sentito raccontare dalla mia nonna paterna che il giorno in cui fu aperta la breccia a Porta Pia suo nonno, allora non ancora trentenne, vide le guardie pontificie nei pressi del ghetto, le cui porte erano state aperte dopo il 1849, ma che rimaneva una specie di prigione aperta dove gli ebrei di fatto erano costretti a rimanere. Il racconto si soffermava sulle parole usate per descrivere questi soldati, che ad Angelo Di Castro, detto Angelino, sembrarono “muffi truffi”. 
Claudia Di Cave
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