Oltremare – Comunicazione

Parlare con parenti e amici fuori Israele, oltre a fare bene all’anima in generale, è utile in questo inizio d’anno ebraico per realizzare che è vero, noi israeliani siamo già immersi nel secondo lockdown e ce lo siamo meritato tutto, ma c’è almeno un lato di questa crisi globale in cui non siamo totalmente soli, ed è la palese incapcità di molti governi di raggiungere i cittadini comunicando con chiarezza e senso pratico cosa si deve fare o non fare, evitare o posticipare, quando la priorità assoluta è il mantenerci in vita.
La cosa strana è che, almeno in Israele, lo stato di norma ci raggiunge facilissimamente quando si tratta per esempio di dirci quanti secondi abbiamo per raggiungere un rifugio in caso di attacco nemico. Abbiamo app nei cellulari, abbiamo sirene assordanti, abbiamo una Protezione Civile che fa clip per i bambini e per gli anziani, adattando toni e modi al target. Lo stesso vale per regolamenti anche complessi che dovrebbero permetterci per esempio di sopravvivere a tsunami o terremoti. Costruisci così, metti questo materiale e non un altro, attieniti alle indicazioni e andrà tutto bene.
Invece con il coronavirus tutta la macchina che dovrebbe produrre regolamenti e assicurare la loro applicazione perde pezzi da tutti i lati, procede a zig zag come un ubriaco, e, come un ubriaco appunto, non riesce a comunicare in modo chiaro e comprensibile con i cittadini.
Soprattutto, non riesce ancora, incredibilmente, ad arrivare a gruppi specifici di cittadini usando la loro lingua, che sia una delle lingue ufficiali oppure un dialetto o una forma di pensiero per far capire a ciascuno secondo le sue caratteristiche culturali come proteggersi e come proteggere gli altri dal virus. E se non è mai troppo tardi, con ospedali che già non ricoverano più malati covid-19 perché hanno finito i letti, sarà troppo tardi fra pochissimo.
Bisognerebbe far fare un corso intensivo di “comunicazione sotto emergenza” a tutto il governo e a tutti i dipendenti statali coinvolti nella gestione della crisi. Che parlino in ebraico, yiddish, arabo, russo, francese, inglese, postino clip su tik-tok e su ogni altro social media, usino tutta la gamma di responsi rabbinici disponibile sul pikuach nefesh, le massime dei filosofi orientali, i manuali di self-help, le filastrocche e gli ideogrammi ove necessario, tutto quel che può servire per inculcare nella nostra proverbiale dura cervice un minimo di senso di responsabilità reciproca fra cittadini.
Certo, parlare ad un popolo così ricco di diversità culturale e generazionale non è facile; ma per un governo che riesce a tessere reti diplomatiche intercontinentali e a fare la pace perfino con paesi con cui non siamo in guerra, dovrebbe essere davvero un gioco da ragazzi.

Daniela Fubini

(21 settembre 2020)