Ruth Bader Ginsburg,
la giudice più amata d’America

“In piedi, entra la corte!”. A presiederla Ruth Bader Ginsburg.
Nata a Brooklyn in una famiglia di ebrei russi, studentessa alla Cornell University, nel 1956 si iscrive alla Harvard Law School per poi fare corsi di perfezionamento alla Columbia University, New York. Difficile comunque trovare un lavoro, raccontava: era ebrea, donna, e – soprattutto – aveva un figlio di quattro anni. E invece.
Invece è stata chiamata (da Bill Clinton, nel 1993) a dire l’ultima parola sulla vita politica e sociale degli Stati Uniti d’America dai banchi della Corte suprema, nomina confermata dal Senato praticamente all’unanimità. Una pioniera, professoressa di diritto, avvocato, attivista per i diritti delle donne, fondatrice della Women’s Rights Project, capace di fare giurisprudenza su pari opportunità, autodeterminazione sull’aborto, matrimonio tra omosessuali.
Luglio 2016: in occasione del cinquecentenario dell’istituzione del ghetto di Venezia, paradigma di tutte le esclusioni, e a quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare, alla Scuola Grande di San Rocco il pubblico, divertito e incuriosito, non ha avuto un attimo di esitazione. Tutti in piedi per l’ingresso di Ruth Bader Ginsburg, famosa e temuta giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti: mentre la Compagnia de’ Colombari in collaborazione con l’università Ca’ Foscari metteva in scena per la prima volta “Il Mercante di Venezia” nel luogo dove è ambientato, in Campo del Ghetto, l’ebreo veneziano più famoso è stato protagonista di un processo simulato, spettacolo nello spettacolo.
Nulla era per finta, e l’appassionato dibattimento ha riservato più di una sorpresa, ma nonostante l’occasione avesse anche un lato mondano il vero spettacolo era lei, così famosa e amata da meritarsi il soprannome di Notorious RBG, mutuato dal rapper Notorious BIG.
Nota anche per essere stata il primo giudice ebreo entrato a far parte della Corte suprema – oltre che la seconda donna – si è battuta non solo per i diritti delle donne, ma per tutte le minoranze. Favorevole alle unioni omosessuali recentemente il suo voto, assieme a quello dei correligionari Stephen Breyer ed Elena Kagan, era stato determinante per la sentenza sui matrimoni gay.
Mai allontanatasi da una lettura puntuale e osservante della Costituzione, era cresciuta con una ferrea educazione ebraica, e riflettendo sulla propria identità Ginsburg aveva dichiarato: “Sono fortunata ad avere questa eredità e vivere negli Stati Uniti in un tempo in cui agli ebrei non vengono chiuse le porte in faccia e possono essere se stessi senza vergogna”.
Era anche un’icona pop, diventata parte dell’immaginario collettivo. Le sono stati dedicati blog, libri, documentari. Ma anche imitazioni nei programmi televisivi di prima serata, magliette, tazze e spilline. Il suo volto è tra i tatuaggi più richiesti dagli studenti di diritto, ma è anche la copertina di un fumetto, per bambini, e il simbolo di mille lotte per i diritti delle donne. Ma non solo. Minuscola, apparentemente fragile, si allenava quotidianamente – una routine che comprendeva almeno venti flessioni, “ma solo dieci per volta”, raccontava ridendo – anche grazie a una enorme disciplina, tratto caratteristico di un personaggio amato e ammirato. E temuto.
Come raccontato anche in “Alla corte di Ruth”, il documentario diretto da Betsy West e Julie Cohen uscito lo scorso anno, la sua autodisciplina andava di pari passo con una capacità di lavoro al limite dell’impossibile. Era meno noto il suo gusto per la vita, qualcosa che non l’aveva abbandonata neppure nei momenti più difficili: due figli, un marito amatissimo mancato qualche anno prima di lei, è stata una donna di sfolgorante bellezza, con un debole per i famosi collari con cui adornava la toga (il più famoso annunciava un dissenso) e una passione per l’opera che spesso frequentava con il giudice Antonin Scalia, avversario all’interno della Corte suprema e grande amico.
“I am a judge, born, raised and proud of being a Jew. The demand for justice, for peace and for enlightenment runs through the entirety of Jewish history and Jewish tradition”. Sono un giudice, nata, cresciuta e orgogliosa di essere ebrea – diceva. E continuava spiegando che l’esigenza di giustizia e di pace è parte integrante dell’intera storia ebraica, e delle tradizioni di quella che per RBG non era un’appartenenza astratta e teorica.
Dedita a dare nuova luce a una visione femminista dell’ebraismo, nel suo ufficio aveva appesa una citazione dal Deuteronomio: “Tzedek, Tzedek, tirdof”/ “Giustizia e giustizia, questo ricercherai”.
E si dice che di Rosh Hashanah muore solo chi è tzadik / tzaddeket, una persona buona e retta. E tzedakah è parola che in italiano viene spesso resa con “carità“, ma la traduzione corretta è “giustizia”.
Un cerchio che si chiude.

Ada Treves twitter @ada3ves

(Nell’immagine in alto Ruth Bader Ginsburg con la Presidente UCEI Noemi Di Segni, in basso mentre sfoglia Pagine Ebraiche assieme alla giornalista Ada Treves)