Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui      25 Settembre 2020 - 7 Tishri 5780
L'ANNIVERSARIO E IL RICORDO DEL PROFONDO SEGNO EBRAICO

Porta Pia, una memoria riconquistata

“In memoria del capitano Giacomo Segre che il 20 settembre del 1870 con il preciso fuoco dei suoi pezzi della quinta batteria del nono reggimento di artiglieria aprì la breccia da cui irruppero i fanti e i bersaglieri per acquisire Roma alla patria”. 
È quanto si legge su una targa apposta da qualche giorno in via Nomentana al civico 133. Siamo nei luoghi della breccia di Porta Pia, l’azione militare che avrebbe innescato il crollo dello Stato pontificio e l’inizio di una nuova era politica. Un traguardo che per gli ebrei romani avrebbe anche significato la fine del ghetto e l’acquisizione di libertà e diritti negati per secoli. 
Si tratta di un’eredità su cui l’Italia è apparsa spesso distratta. A colmare il vuoto ci ha pensato, con questa iniziativa molto partecipata anche sul piano istituzionale, l’Associazione Nazionale Artiglieri d’Italia. Merito in particolare del generale di divisione Vero Fazio, profondo conoscitore delle vicende militari e dei meriti acquisiti in questo campo dagli esponenti della famiglia Segre. Giacomo, l’uomo di Porta Pia. E suo figlio Roberto, che quasi 50 anni dopo sarebbe stato al comando dell’artiglieria della sesta armata del regio esercito durante la celeberrima “battaglia del Solstizio”. E cioè lo scontro decisivo per le sorti del conflitto. 
Di padre in figlio, un passaggio di testimone tra i più significativi per ricordare il contributo offerto dagli ebrei italiani al Risorgimento prima e al consolidamento dello Stato unitario in seguito. Un lungo appassionato impegno poi disconosciuto, come noto, dal tradimento delle Leggi razziste che il fascismo avrebbe promulgato nel 1938. 

Lo svelamento della targa è stata anche l’occasione per puntualizzare alcuni concetti. Intanto, spiega Fazio, “per correggere l’idea veicolata da una certa iconografia che a Roma ci siano stati solo i bersaglieri; senza nulla togliere a questo glorioso corpo, i meriti vanno suddivisi anche con gli altri reggimenti”. A partire dall’artiglieria, “cui si deve la rottura materiale della cinta muraria” e “l’apertura del varco da cui irruppero le truppe di fanteria e i bersaglieri”. E in questo ambito, oltre a ricordare chi perse la vita per “questo sublime scopo”, così si legge sulla targa, per fare giustizia di quello che appare un modo distorto di rapportarsi con il ruolo del principale protagonista di quell’azione. “Quando si parla di Segre – contesta Fazio – si è soliti liquidare la questione di Porta Pia in un certo modo: tale compito, si racconta, gli spettò perché in quanto ebreo non sarebbe stato soggetto alla scomunica del papa. Si tratta però di un’affermazione fuorviante. Segre fu scelto innanzitutto per le sue competenze militari. Dire o scrivere altro da ciò significa perpetuare un grave torto nei suoi confronti”. 


A svelare la targa Emanuel Segre Amar, presidente del Gruppo Sionistico Piemontese e discendente del capitano Segre. Qualche giorno prima della cerimonia romana aveva animato un convegno storico a Saluzzo, città natia del suo avo, per riflettere su Porta Pia ma anche sulla partecipazione ebraica alle sorti dell’Italia unitaria. Nel 1870, come nel 1918. Anche a queste più recenti vicende, strettamente legate alle prime, è andata la sua attenzione.
“Se non ci fosse stato il generale Roberto Segre – ha infatti sottolineato alla vigilia del convegno – gli austriaci, invece di accusare il colpo dall’Italia, sarebbero usciti vittoriosi: questo perché Roberto Segre sapeva a che ora gli austriaci avrebbero attaccato. Con queste informazioni, a fatica, convinse gli altri generali che bisognava attaccare prima, quando le forze nemiche erano tutte concentrate in un punto solo per il loro assalto finale”. Quindici minuti prima dell’attacco austriaco iniziò così il bombardamento dell’artiglieria italiana, “convinta appunto dal Segre ad anticipare l’attacco”.
Un’intuizione vincente: preso di sprovvista, l’esercito nemico si diede alla fuga. Ancora una volta, un ebreo saluzzese aveva lasciato il suo segno nella Storia. 

(Nelle immagini, dall’alto in basso, la targa apposta nell’anniversario della breccia di Porta Pia; il generale Vero Fazio in visita nelle scorse ore assieme alla presidente UCEI Noemi Di Segni; il generale assieme a Emanuel Segre Amar, discendente del capitano Segre)

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SORGENTE DI VITA 

Yom Kippur al tempo del Covid 

Si apre con un servizio su Yom Kippur la puntata di Sorgente di Vita che andrà in onda domenica 27 settembre. Il giorno del pentimento e dell’espiazione dei peccati quest’anno cade il 27 (vigilia) e il 28 settembre. Tra le principali solennità dell’anno ebraico, è un momento di raccoglimento, di preghiera, di riflessione su se stessi e di digiuno.

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Ripensare la nostra funzione
Alla vista ci sono, sembrerebbe, nuove chiusure di spazi pubblici e di attività economiche, culturali e ricreative. Se i numeri non sono un’opinione, e se le dinamiche di trasmissione virale sono quel che sono (a prescindere dal covid19), le autorità saranno costrette nelle prossime settimane a ricorrere a provvedimenti di emergenza che seppure non auspichiamo, siamo costretti a prevedere. In ballo ci sono vite umane e la tenuta di interi sistemi sociali. L’impressione di fronte a questa catastrofe è che le classi dirigenti politiche ed economiche siano spaesate e facciano fatica a gestire in maniera programmatica ed efficace l’emergenza. Si va un po’ a tentoni, sperando che finisca presto. Ma così non si governa, si subisce. E si compiono errori. Uno degli errori più evidenti che balzano agli occhi è l’indisponibilità a comprendere appieno la portata della svolta culturale che ci viene imposta dalla situazione che stiamo vivendo.
Gadi Luzzatto Voghera
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Kippur, una storia di Primo Levi
“…La sera della vigilia ci disponemmo in fila per ricevere la zuppa, come ogni sera; davanti a me c’era Ezra, orologiaio di mestiere, cantore il sabato in un remoto linguaggio lituano. […] Quando fu di fronte ad Otto non porse la gamella ed invece gli disse: – Signor capo-baracca, oggi per noi è un giorno di espiazione, ed io non posso mangiare la zuppa. Le domando rispettosamente di conservarmela fino a domani sera. Otto era alto quanto Ezra, ma due volte più spesso di lui. Aveva già attinto dal mastello la razione di zuppa e si arrestò di colpo, col mestolo sollevato a mezz’aria: si vide la sua mandibola scendere piano piano, senza scosse, e la bocca rimanere aperta...". 
Anna Segre
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Il Sabato del pentimento
“Zekhor jemot ‘olam binu shenot dor wador, sheal avikha we jaghedkha zeqenekha we jomerù lakh – ricorda i tempi antichi, comprendete i gli anni dei secoli trascorsi; interroga tuo padre e ti racconterà i tuoi vecchi e te lo diranno”. È uno dei forti ammonimenti che Moshè, nel suo ultimo discorso, prima di morire, rivolge al popolo. Quante volte sentendo parlare gli anziani che raccontano le loro vicissitudini abbiamo sbuffato dicendo loro: “Erano altri tempi”! Oggi più che mai, invece, abbiamo il dovere di ascoltare i loro racconti e le loro testimonianze. 
Rav Alberto Sermoneta
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L'ebraismo per Judt
“Per Tony essere ebreo era un dato di fatto, il suo corredo più antico. Era la sola identità che possedeva inequivocabilmente. Non era religioso, non andava mai alla sinagoga, né praticava in casa; gli piaceva citare Isaac Deutscher (i cui libri gli erano stati regalati dal padre quando era ragazzo) a proposito degli ‘ebrei non ebrei’. Se accennava al fatto di essere ebreo, si riferiva al passato...". 
Francesco Moises Bassano
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