LA RATIFICA ALLA KNESSET DEGLI ACCORDI DI ABRAMO
"Israele ha un nuovo posto in Medio Oriente.
Per molti siamo alleati e non più nemici"

Una “pace calda” che dimostra come nel Medio Oriente sia in atto un profondo cambiamento. “Molti Paesi arabi stanno cambiando il loro approccio nei nostri confronti. Israele, che era percepito come un nemico, oggi è percepito come un alleato”. È quanto ha dichiarato il Primo ministro Benjamin Netanyahu presentando alla Knesset l'intesa di normalizzazione dei rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, parte dei cosiddetti Accordi di Abramo, firmati a Washington il 15 settembre scorso. In un lungo discorso al parlamento israeliano, Netanyahu ha respinto l'ipotesi che dietro agli accordi con Abu Dhabi ci siano “allegati segreti o un'agenda nascosta”. Il riferimento è alle notizie secondo cui con l'intesa siglata a Washington, Israele avrebbe dato tacito assenso alla vendita di armi da parte degli Usa agli Emirati Arabi Uniti. Nel suo intervento poi Netanyahu ha passato in rassegna la decennale ricerca di pace da parte d'Israele, invitando i palestinesi e il Libano a negoziare accordi con lo Stato ebraico e prevedendo che molti altri Paesi arabi e musulmani seguiranno gli Emirati e il Bahrein nella normalizzazione delle relazioni con Gerusalemme. Questo passaggio è stato contestato dalla Lista araba alla Knesset - l'unica che ha annunciato il voto contrario alla ratifica – che considera l'intesa un modo per allontanare la pace con i palestinesi e isolarli.
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PAGINE EBRAICHE - GLI USA E LE ELEZIONI, L'INTERVISTA A MICHAEL WALZER
"Basta con le censure e la retorica populista"

Contro la censura e lo scambio libero delle idee: è la netta posizione del filosofo Michael Walzer, tra le voci più influenti dell’area liberal. “Nel Talmud c’è un passaggio in cui si ricorda che ‘Le une e le altre sono parole del Dio vivente, ma la regola sarà secondo l’opinione della casa di Hillel’. È un principio che ci spiega che c’è una direzione da prendere ma che quella opposta merita comunque di essere ricordata” spiega Walzer a Pagine Ebraiche, parlando del clima sempre più censorio che si respira negli Stati Uniti.
In particolare a sinistra: “C’è uno spirito della purga che non mi piace” afferma Walzer, tra i firmatari negli scorsi mesi di una lettera aperta in cui si invocava il rispetto della libertà di espressione. Uno dei cardini di una grande democrazia.
“Il libero scambio di informazioni e di idee, linfa vitale di una società liberale, si fa ogni giorno più stretto. Se da un lato ci aspettiamo questo da parte della destra radicale, dall’altro la censura si sta diffondendo sempre più nella nostra cultura”, si legge nella lettera siglata dal professore emerito di Princeton e da altri celebri intellettuali americani e non. “Un’intolleranza di opinioni opposte, una foga per la gogna pubblica e l’ostracismo, e la tendenza a dissolvere questioni politiche complesse in una certezza morale accecante. Sosteniamo il valore di una controproposta robusta e persino caustica da tutti i punti di vista. Ma è ormai fin troppo comune sentire appelli per una punizione rapida e severa in risposta alle trasgressioni percepite del discorso e del pensiero”.
Nell’intervista con il giornale dell’ebraismo italiano Walzer sottolinea uno dei passaggi della lettera rispetto al preoccupante asservimento a questo spirito della purga da parte di istituzioni che dovrebbero invece farsi paladine della libertà di espressione. Soprattutto nello spazio della cultura e del mondo accademico, sottolinea il filosofo americano, non è la logica del consenso che deve primeggiare. I giornalisti, gli scrittori, gli artisti non possono essere costretti a non esprimersi perché preoccupati di eventuali ritorsioni di zelanti difensori di una presunta morale unica.
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LE COMMEMORAZIONI PER L'ANNIVERSARIO DELLA RAZZIA NAZIFASCISTA
16 ottobre, la ferita di Roma
Inizierà come di consueto all’alba, con il suono dello shofar, l’appuntamento con il ricordo del 16 ottobre 1943. Momenti istituzionali e iniziative per i più giovani caratterizzeranno un anniversario con modalità di trasmissione e condivisione inevitabilmente segnate dall’emergenza sanitaria. “Roma non dimentica la tragedia della Shoah, perché senza Memoria non c’è futuro” ha sottolineato lo scorso anno la sindaca Virginia Raggi, che nel corso della mattinata sarà accanto alla Comunità ebraica per deporre una corona commemorativa davanti al Tempio Maggiore e poi a Largo 16 Ottobre, davanti alla Casina dei Vallati dove ha sede la Fondazione Museo della Shoah.
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DUE BRANI IN SUO RICORDO
Tullia Zevi e la musica dell’anima
“Quando nacqui avevo le dita lunghissime, dita di ragno, e mio padre disse: ‘Suonerà l’arpa!'”.
Indimenticabile leader dell’ebraismo italiano, per quindici anni alla guida dell’UCEI, Tullia Zevi (1919-2011) è stata anche una raffinata arpista. Un talento che, in gioventù, l’ha portata a lavorare al fianco di leggende della musica contemporanea come Leonard Bernstein e Frank Sinatra.
Disponibile da qualche ora su tutti gli store digitali, “Niggun per Tullia Zevi” rende omaggio a questa sua vocazione attraverso i due brani composti dal Maestro Riccardo Joshua Moretti nel centenario dalla nascita. Si tratta di “Niggun per Tullia Zevi” e “Kaddish per un canto mai nato”, entrambi eseguiti davanti al Capo dello Stato Sergio Mattarella. Una produzione Compagnia Nuove Indye, con il patrocinio della Fondazione per i Beni Culturali Ebraici in Italia.
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Setirot - Il peso delle parole
 Andiamo con ordine. Il ministro Roberto Speranza, nel corso di una intervista televisiva di circa mezz’ora, in un frammento di non più di 30 secondi, alla domanda "Ma come si fa a vietare una festa? Chi è che va a controllare e a bussare alle porte degli appartamenti per vedere se c'è una festa?" risponde "Intanto, quando c'è una norma, va rispettata. In questi mesi gli italiani hanno dimostrato di non avere bisogno di un carabiniere o di un poliziotto a controllarli personalmente. Ma è chiaro che aumenteremo anche i controlli, ci saranno segnalazioni. Io mi fido molto anche dei genitori del nostro Paese...".
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I giovani arabi che vogliono fuggire
 Il Corriere della Sera dello scorso 6 ottobre ha pubblicato un articolo di Danilo Taino (“Quei giovani arabi che vogliono fuggire”) che a sua volta riportava i risultati di una ricerca condotta in 17 Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa dalla quale risulta che, prima della pandemia, il 42% dei giovani arabi ha preso in considerazione l’idea di andarsene dal proprio Paese perché non vi vede prospettive per il proprio futuro. La ricerca fornisce dati disaggregati più analitici: uno dei più interessanti indica che solo il 13% dei giovani nati nei Paesi del Golfo Persico vorrebbe emigrare, mentre la percentuale sale al 47% per quelli del Nord Africa e addirittura al 63% per i Paesi del Levante (Giordania, Iraq, Libano, Territori palestinesi, Siria, Yemen). Altrettanto interessante è il dato relativo al Paese nel quale si vorrebbe emigrare: quasi la metà (il 46%) vorrebbe emigrare negli Emirati Arabi Uniti, una percentuale superiore a quella di chi indica negli Stati Uniti, nel Canada e nel Regno Unito le mete preferite.
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Machshevet Israel - Apostati moderni
 Siamo abituati a pensare l’apostasia come un abbandono della fede ebraica per altra fede religiosa. Ma la storia degli ebrei nella modernità conosce nuove forme di apostasia, segnatamente l’abbandono del giudaismo religioso a favore di visioni del mondo laiche, imperniate sui valori: l’uomo, l’etica, il progresso dell’umanità, il dovere per il dovere.
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Spuntino - Tov meod? Non esageriamo!
 Nel primo brano di BeReshit, che descrive la creazione del mondo giorno dopo giorno, ricorre una frase di compiacimento - "e il Signore vide che era buono" - (la prima volta in Gen. 1:4) con riferimento a ciò che D-o aveva appena concepito. Fa eccezione il secondo giorno, in cui vengono divise le acque superiori da quelle inferiori. L'acqua tende a unirsi ed è indivisibile, essendo formata da una miriade di goccioline coese. Non sorprende che in ebraico la parola acqua ("mayim") esista solo al plurale. Pertanto la divisione delle acque, rompendo questa coesione, potrebbe essere interpretata come una machloket (=disputa, dalla radice ch-l-k, la stessa di partizione) (Bereshit Rabbà 4:6).
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