PAGINE EBRAICHE - DOSSIER ANZIANI
Liliana Segre, Testimone e nonna d’Italia
“Sarei stata una vecchia comune se non mi fossero capitate tutte le cose che ben sapete. E che mi sono capitate quando ero già vecchia, vecchissima”. Diventare senatrice a vita, essere guardata come un punto di riferimento dall’intero paese, dover essere protetta da una scorta. Liliana Segre, la nonna d’Italia che ha parlato a generazioni di nipoti, ricorda a Pagine Ebraiche come la sua vita sia stata stravolta proprio nella fase della vita in cui in genere alle persone non capitano grandi cambiamenti. “Sicuramente avrei smesso lo stesso di testimoniare, perché a 90 anni comunque uno dice basta. In generale però avrei avuto una vita molto tranquilla con i miei affetti, con le amicizie che man mano si assottigliano per questione di anagrafe. E basta. Invece sono diventato una persone che, anche quando vuole andare a letto perché è stanca, le capita la scarica di adrenalina perché riceve una chiamata dal Presidente Mattarella o da un altro personaggio. E quindi la mia vecchiaia è molto particolare”. Particolare anche perché segnata dalla decisione di diventare Testimone della Shoah e raccontare la propria tragica esperienza di persecuzioni, dalle Leggi razziste del 1938 alla deportazione ad Auschwitz. Una decisione maturata una volta divenuta nonna e che l’ha portata a girare l’Italia. “Il fatto che io sia stata sempre a contatto con le scuole, con migliaia di ragazzi, ha fatto sì che oggi incontro per la strada adulti che mi ringraziano, mi dicono che 20 anni fa hanno ascoltato la mia testimonianza e oggi sono professori e la ricordano ai loro studenti”.
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LA CONTESTATA CANDIDATURA DEL POLITICO ED EX GENERALE EFFI EITAM
"Yad Vashem è un'oasi di consenso.
No a un presidente divisivo"
Nelle prossime settimane il governo israeliano sarà chiamato a confermare o meno Effi Eitam, ex generale e politico della destra nazionalreligiosa, alla guida dello Yad Vashem, l'Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme. A promuovere la candidatura di Eitam è stato il ministro per l'Alta formazione e le risorse idriche, Zeev Elkin. Una scelta che però sta incontrando molta resistenza con appelli pubblici al governo affinché cambi candidato. A preoccupare sono le posizioni espresse in passato dallo stesso Eitam, che ha pubblicamente chiesto “l'espulsione della maggioranza degli arabi dalla Giudea e Samaria”, ha definito gli arabi israeliani una “quinta colonna” e ha auspicato che fossero esclusi dal sistema politico del Paese. “Non è un uomo che considera tutti uguali, il che è un presupposto fondamentale per chiunque gestisca un'istituzione come Yad Vashem”, la posizione di Shraga Milstein, presidente dell'Associazione israeliana dei sopravvissuti di Bergen-Belsen. “Lo Yad Vashem è l'incarnazione di un'istituzione che parla a nome delle minoranze. È davvero molto difficile accettare dichiarazioni come quelle fatte da Eitam”, ha dichiarato all'Associated Press Colette Avital, ex diplomatica israeliana e presidente del Center Organizations of Holocaust Survivors d'Israele (organizzazione ombrello delle associazioni per i sopravvissuti alla Shoah in Israele). “Ci sono abbastanza persone, che si tratti del BDS o dei negazionisti della Shoah, che diranno 'Guarda, come può parlare a nome dei sopravvissuti alla Shoah quando questo è ciò che dice degli arabi?'". D'accordo con queste posizioni critiche, il demografo Sergio Della Pergola, membro della commissione Yad Vashem per i giusti tra le nazioni. “Yad Vashem è uno dei pochi luoghi del consenso in Israele, un'oasi che va preservata. Non si può politicizzarla in questo modo e prestare il fianco a chi non vede l'ora di attaccare Israele e gli ebrei”, l'opinione di Della Pergola, che poi ricorda un precedente.
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MEMORIE DI FAMIGLIA E SOGNI SPORTIVI, LA PROMESSA DEL TENNIS ARGENTINO
Diego Schwartzman, la sfida a Djokovic
per chiudere il 2020 in bellezza
“Qualunque prova debba affrontare nella mia carriera non è paragonabile alle difficoltà affrontate in passato dalla mia famiglia”. L’argentino Diego Schwartzman non è solo un grande tennista, da qualche settimana tra i primi dieci al mondo. È anche una persona con i piedi ben piantati per terra.
Nato a Buenos Aires in una famiglia ebraica di origine est-europea, il 28enne tennista cita spesso come esempio i genitori Ricardo e Silvana Schwartzman. Ma anche i nonni e bisnonni, che scelsero l’Argentina per ritrovare una normalità spezzata in Europa dalle persecuzioni e della Shoah.
“Quando sono arrivati in Argentina – ha spiegato di recente – non parlavano una sola parola di spagnolo, conoscevano soltanto lo yiddish. La famiglia di mio padre veniva dalla Russia ed è giunta in questo paese su una nave. Non era semplice cambiare drasticamente vita per effetto della guerra, ma ci sono riusciti”.
Drammatica in particolare la storia della bisnonna, che fu arrestata, imprigionata e deportata su un treno destinato a un campo di sterminio. Miracolosamente, per effetto di un guasto, riuscì a sfuggire da quella condizione e a mettersi in salvo. “Penso alle loro storie e mi sento fortunato”, ha ammesso Schwartzman.
Il 2020, questo complesso 2020, è stato per lui un anno di svolta. Un anno in cui ha potuto mettersi in mostra come mai finora, arrivando anche a sfiorare una prestigiosa vittoria agli Internazionali di Roma. Se consacrazione sarà lo si vedrà anche questo pomeriggio, quando sarà chiamato a sfidare il fortissimo Novak Djokovic nel match d’esordio delle ATP Finals (finora, negli scontri diretti, ha sempre vinto il serbo).
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IL VOLUME AL CENTRO DI UNA SCENA DEL NUOVO FILM DI EDOARDO PONTI
“La mia Torah”, il libro UCEI in luce sul set
Adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Romain Gary, “La vita davanti a sé” è uno dei film di cui più si parla in questo momento. Merito in particolare del ritorno sul set di Sofia Loren, diretta dal figlio Edoardo Ponti, che veste i panni di Madame Rosa. Un’anziana donna sopravvissuta alla Shoah che ospita bambini in difficoltà e stringe un’amicizia inattesa con un ragazzino di strada che l’ha derubata.
Molti sono i riferimenti ebraici nel film, disponibile da qualche giorno su Netflix. Come la scena in cui appare, nel dialogo tra due piccoli protagonisti, un libro dalla colorata copertina azzurra. Qualcuno l’avrà senz’altro riconosciuto. Si tratta di “Bereshit-Genesi”. Il primo volume della collana “La mia Torah” (ed. Giuntina) ideata e sviluppata dalle insegnanti romane Anna Coen e Mirna Dell’Ariccia sotto l’egida dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
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Il ritorno della diva Loren tra errori e paradossi
Il lancio del nuovo film di Sofia Loren è stato geniale, uscito il primo venerdì di lockdown quasi totale in tutta Italia, ha fatto trionfare Netflix, anche in assenza di controprogrammazione delle reti in chiaro. La Palomar, la casa di produzione di Carlo Degli Esposti, può intestarsi l’unico successo del film.
Mentre la scelta della location per La vita davanti a sé incomprensibilmente – Bari, Trani, Barletta – sembra più dovuta ai contributi di Apulia Film Commission, che ad una richiesta del regista, per diritto dinastico. Venendo agli attori bravi i ragazzini e la bambina, anche se poco contestualizzati, solo il dottor Cohen interpretato da Renato Carpentieri è perfetto e la Loren un dogma che non si discute, ma non si capisce che ci azzecca con il coté juif, il numero tatuato di Auschwitz può funzionare come indizio, ma non basta.
Vittorio Ravà
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La distruzione del sapere
Durante la grande pandemia di peste del 1348-49, che uccise quasi un terzo della popolazione, la colpa fu gettata principalmente sugli ebrei. Ne seguirono violenze e pogrom che devastarono le comunità ebraiche in molti luoghi, particolarmente in Germania. Non soltanto si credeva che gli ebrei spargessero volontariamente la peste, ma anche si pensava che si trattasse della collera divina perché si lasciavano vivere gli infedeli in mezzo alla cristianità. In altre epidemie, i capri espiatori sono di volta in volta mutati – con il colera e la spagnola addirittura i governi – ma la tendenza ad attribuire ad altri la colpa è sempre rimasta uguale. Ma nessuno se l’è mai presa con i medici o con le guaritrici.
Anna Foa
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Oltremare - All'ora di Neilà, la guerra più terribile
Qualcosa di storico sta succedendo in queste settimane in Israele. Qualcosa che può sembrare piccolo, relativamente: una serie tv, niente di più. Otto episodi che però, nei limiti di una fiction, sono la cosa più vera, presente e tremenda che sia mai stata messa su schermo per provare almeno a raccontare la Guerra del Kippur. Anche se si concentra su soli tre giorni e solo sul fronte del Golan, attaccato dalla Siria, i temi che apre valgono abbastanza anche per il fronte sud con i fortini sul canale di Suez azzerati dagli egiziani in 48 ore, e la stessa dinamica di sorpresa, difesa, contrattacco troppo lento, perdite enormi, shock nazionale. Non sarà un caso che siano passati 47 anni da allora e il paese sia ancora largamente in post trauma da Yom Kippur.
Daniela Fubini
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Controvento - A confronto con Gantz
L’ultima clamorosa operazione del Mossad, l’eliminazione di Abu Muhammad al-Masri a Teheran, condotta su richiesta americana – e non smentita da Israele. Le ragioni per le quali l’Iran ospita in lussuosi quartieri della capitale i suoi irriducibili nemici di Al Quaeda (nonostante ufficialmente lo smentisca). La normalizzazione dei rapporti tra Israele, Uae, Bahrein e Sudan e la possibilità di estenderli, in particolare all’Arabia Saudita. Le prospettive che si aprono, politiche, economiche e commerciali per Israele nel nuovo assetto mediorientale. Il futuro dei territori palestinesi e del progetto di pace promosso da Trump e le reazioni israeliane se Biden sceglierà di riprendere gli accordi nucleari con l’Iran promossi da Obama.
Viviana Kasam
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