La distruzione del sapere
Durante la grande pandemia di peste del 1348-49, che uccise quasi un terzo della popolazione, la colpa fu gettata principalmente sugli ebrei. Ne seguirono violenze e pogrom che devastarono le comunità ebraiche in molti luoghi, particolarmente in Germania. Non soltanto si credeva che gli ebrei spargessero volontariamente la peste, ma anche si pensava che si trattasse della collera divina perché si lasciavano vivere gli infedeli in mezzo alla cristianità. In altre epidemie, i capri espiatori sono di volta in volta mutati – con il colera e la spagnola addirittura i governi – ma la tendenza ad attribuire ad altri la colpa è sempre rimasta uguale. Ma nessuno se l’è mai presa con i medici o con le guaritrici.
Ora qualcosa è mutato. I post che appaiono sui media dove sono fotografati medici o infermieri esausti dopo turni allucinanti sono ricoperti di improperi dai commenti. È impressionante, sembra quasi che siano loro a provocare l’epidemia. Eppure si ammalano, muoiono, e curano, soprattutto curano, Allora, che cosa è cambiato? che cosa si vuole colpire in loro? Che cosa si invidia? Non certo la ricchezza, i medici ospedalieri non sono ricchi e dei compensi del personale sanitario è meglio non parlare. E allora? L’unica cosa che si può voler colpire è la competenza. Vorrebbero che i medici e gli infermieri non ci fossero? No, certo, non ne possono fare a meno, vogliono che ci siano ma li odiano per questo. Perché sono la prova vivente che la malattia esiste, mentre loro vorrebbero nascondere la testa sotto la sabbia e dimenticarsene. Ma c’è qualcosa di ancora più profondo: in questo rifiuto delle competenze. Da molti anni a questa parte ci siamo abituati a considerare il sapere come un fatto negativo, le competenze come frutto del caso e non del lavoro. Tutti sono competenti, basta saper digitare su una tastiera. E nessuno è più esperto di niente, e se lo è, è uguale a chi non ha mai aperto un libro in vita sua. Forse ad un certo punto la pandemia scomparirà, sarà debellata. Ma la distruzione del sapere, delle competenze, del duro lavoro di chi impara, quello ci vorrà molto di più a cancellarlo.
Anna Foa, storica
(16 novembre 2020)