Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui                26 Novembre 2020 - 10 Kislev 5781
LA CERIMONIA ALLA CORTE D'APPELLO A ROMA 

Avvocati e magistrati espulsi,
una targa per fare Memoria

“Ritrovarci quest’oggi significa dare un segnale forte. È nei momenti di massima difficoltà che occorre fare appello sui valori su cui si fonda la nostra democrazia repubblicana”. 
Così Maria Elisabetta Alberti Casellati, la presidente del Senato intervenuta quest'oggi allo scoprimento della targa posta in Corte d’Appello a Roma in ricordo degli avvocati, dei magistrati e del personale dell’amministrazione giudiziaria espulsi dalla professione e dal servizio dopo la promulgazione delle leggi razziste. 
“La ferocia delle leggi razziali del 1938-39 colpì, la giustizia degli uomini oggi ripara” si legge sulla targa, realizzata in collaborazione con l’Ordine degli Avvocati di Roma, l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, la Comunità ebraica di Roma e l’Associazione italiana Avvocati e Giuristi Ebrei. L’odierna cerimonia, seguita da una riunione degli avvocati romani con all’ordine del giorno l’annullamento della delibera di radiazione del 1939, rappresenta in questo senso “un’occasione preziosa” per ribadire il concetto che “solo una società giusta costruisce il suo futuro”. Una giornata quindi all’insegna della Memoria attiva. Una Memoria declinata, ha aggiunto Casellati, “secondo principi di verità e responsabilità”. 


Di “riparazione di un torto” ha parlato il presidente della Corte d’Appello Giuseppe Meliadò. “Ripariamo oggi non solo con la giustizia degli uomini – ha affermato – ma anche con la forza del ricordo”. Mentre il presidente dell’Ordine Antonino Galletti ha ribadito l’impegno degli avvocati “a lottare contro ogni forma di discriminazione”. Un impegno che non può prescindere dalla consapevolezza di quel che furono le leggi razziste, introdotte da Galletti con una citazione da un testo di Primo Levi. 
“La Shoah in Italia – ha sottolineato Noemi Di Segni, presidente UCEI – non è stata solo opera dell’occupante nazista, non si è perpetrata solo nei crematori di Auschwitz, ma anche in Italia, in campi italiani, da italiani che credevano nel fascismo o semplicemente indifferenti, con criminali nel dopoguerra quasi mai giudicati, con aule di corti silenziose. Questa la responsabilità di una memoria se davvero si vuole sentenziare un ‘mai più'”. 



 

“Oggi – è poi intervenuta Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica di Roma – si rimette un po’ d’ordine in quello che è giusto e in quello che non lo è stato. L’apposizione di una targa non cambia la storia, ma ci rimette nella giusta via”. Un pensiero è andato alla memoria di Ugo Foà, allora presidente della Comunità romana, tra le vittime dei provvedimenti antisemiti.
A concludere la cerimonia (tra i presenti Roberto Coen e Davide Jona Falco per conto dell’Associazione italiana Avvocati e Giuristi Ebrei) le parole del rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, che ha ricordato il nonno Elia Di Segni. Cancelliere capo del tribunale, trovò sulla sua scrivania una busta con dentro la lettera di deposizione dall’incarico. “Nessuno – ha detto – ebbe il coraggio di consegnargliela a mano”. A colpire il rav Di Segni la “solerzia dello Stato nell’applicazione dei decreti”. Una persecuzione sistematica avviata con il sostegno del re Vittorio Emanuele III che, ha ricordato il rabbino capo, appose la propria firma personalmente su ogni documento.

(Nelle immagini, dall'alto in basso, lo scoprimento della targa; l'intervento della Presidente Casellati; la riunione del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma). 

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L'INTERVENTO DELLA PRESIDENTE UCEI 

"Qui oggi per lanciare un messaggio forte"

Illustrissimi Presidente del Senato Casellati, Presidente della Corte d’Appello Meliadò, Presidente Galletti, Cara Presidente Dureghello, Rav Di Segni, Illustri Autorità presenti, amici dell’Associazione Giuristi ebrei, Carissimi nonno Ettore Di Segni e nonno Jacob Sacerdote (Bino),

Oggi dedichiamo un momento di memoria a coloro che sono stati radiati dall’albo o dispensati dal servizio nel novembre del 1939 perché nati ebrei. Giudicati con un processo sommario, per direttissima a loro insaputa e offesa. Non per aver commesso un illecito disciplinare o penale.
Delibere adottate puntualmente in ossequio a leggi e circolari che, emanate in pochi mesi, completando un iter che è iniziato in realtà molti anni prima con un preciso piano di propaganda e strumenti del regime fascista. Un iter che rappresenta un apice legislativo di secoli e secoli di persecuzione antiebraica e antisemitismo sempre estrinsecati in editti e decreti. Leggi che nulla avevano di quel sacro principio di legalità e che hanno infatti dato l'ultimo sigillo per legalizzare la persecuzione e lo sterminio.
Quest’oggi arriva dopo oltre ottant’anni per condividere con ogni passante in queste aule un messaggio di forte condanna pronunciata coralmente con chi oggi rappresenta le medesime istituzioni, assumendosi la responsabilità di agire nel segno opposto, facendo memoria di questa Storia, fatta di singoli e di famiglie, nelle minute e nelle immense decisioni che sono chiamati ad adottare. La targa qui posta e l’annullamento della delibera di allora da parte del Consiglio dell’Ordine non cancelleranno quanto avvenuto, quanto ancora oggi presente che riemerge con nostalgiche negazioni, ma certamente ne esprimono il chiaro disconoscimento e rigetto. Noi siamo qui al vostro fianco, con i nostri ricordi indelebili, taciuti o narrati, con l’eco della sofferta ingiustizia subita dei nostri genitori, nonni e bisnonni che arriverà ai nostri figli nipoti e pronipoti, siamo qui con le nostre pretese di legislazione tutt’oggi da correggere da aberrazioni applicate con il medesimo rigore.
La Shoah, in Italia, non è stata solo opera dell’occupante nazista, non si è perpetrata solo nei crematori di Auschwitz, ma anche in Italia, in campi italiani, da italiani che credevano nel fascismo o semplicemente indifferenti, con criminali nel dopoguerra quasi mai giudicati, con aule di corti silenziose. Questa la responsabilità di una memoria se davvero si vuole sentenziare un “mai più”. Alla memoria di tutti i deportati, dei sopravvissuti, Alla memoria dei Giusti che li hanno salvati o accuditi nonostante le leggi vigenti, rispondendo al precetto più alto dell’uguaglianza e dignità degli uomini tutti. Alla vita di tutti i nostri discendenti. 

Noemi Di Segni, Presidente UCEI

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IN CRISI I RAPPORTI TRA NETANYAHU E GANTZ

Israele e lo spettro di nuove elezioni

Lo scontro interno al governo israeliano era in atto da tempo. Sin dall’inizio giornalisti e analisti hanno evidenziato le fragilità di un esecutivo nato nel segno della mancanza di fiducia. Quasi nessuno, nel marzo scorso, si è chiesto se l’intesa tra Benjamin Netanyahu (Likud) e Benny Gantz (Kachol Lavan) sarebbe durata. La domanda era fino a quando il governo d’emergenza nazionale avrebbe retto. Ora quel conto alla rovescia sembra arrivato alle battute finali, con lo spettro di nuove elezioni sempre più concreto (quarta volta dall’aprile 2019). Intervenendo in queste ore il Primo ministro Netanyahu ha dichiarato che, se non saranno rispettati gli accordi tra i partiti della coalizione, “non c’è dubbio che le elezioni arriveranno”. 

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PER TRE VOLTE PROTAGONISTA IN ISRAELE 

Quando Maradona incontrò Rabin:
"Ammiro i suoi sforzi per la pace"

“Un vero amico di Israele”. Non è forse la definizione che calza più a pennello se si pensa al Maradona pensiero sul Medio Oriente. Lo stesso è stata usata dalle massime cariche dello Stato ebraico, dal Presidente Reuven Rivlin al Premier Benjamin Netanyahu, per ricordarlo. In fondo, come mettono in evidenza anche diversi media israeliani, a uno come il Pibe de Oro è possibile perdonare ogni cosa.
Circola in rete una bella foto che lo vede accanto all’ex Presidente israeliano Yitzhak Rabin. Era il maggio del 1994, l’Argentina si preparava alla sfida del Mondiale americano. L’ultimo di Diego. Giorni euforici per i fan israeliani, che in migliaia andarono allo stadio Ramat Gan ad assistere all’incontro amichevole tra la nazionale argentina e i padroni di casa. Una tradizione a cadenza quadriennale. Era già avvenuto nel 1986, con l’Argentina vincitrice per 7 a 2 (due le reti di Maradona). Nel 1990 vittoria più di stretta misura: due a uno (con marcatura del 10 argentino). Nel 1994 un più rotondo tre a zero.
Tutti gli occhi quel giorno erano puntati su Maradona, che a Rabin in precedenza aveva detto: “Provo grande considerazione per gli sforzi da lei compiuti per la pace”.

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LA CARTA DI GARIWO

"Memoria, strumento per la democrazia"

Si fonda su degli interrogativi la Carta della Memoria promossa da Gariwo, la foresta dei Giusti.
“Dobbiamo porci delle domande sul senso della memoria nel nostro tempo – si legge nel documento siglato da molte personalità delle istituzioni e della società civile italiana – non tanto per ricercare delle soluzioni pretenziose e irrealizzabili, ma per delineare un percorso che sia in sintonia con le dinamiche di un mondo che è in costante evoluzione”.
Domande finalizzate dunque a capire il ruolo della Memoria nel presente e nel futuro della nostra società, sconvolta da un’emergenza sanitaria, economica e sociale senza precedenti.

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IL PROGETTO UCEI E MACHSHAVA TOVA 

Web e digitale, la sfida della consapevolezza

Ritorna, in versione aggiornata, “Insieme a casa”, il progetto rivolto a quanti non abbiano dimestichezza con internet e con le nuove tecnologie, diventate ancor più importanti e utili in questo periodo di emergenza sanitaria. Realizzato dall’organizzazione no-profit israeliana Machshavà Tovà (che in ebraico significa “Buon pensiero”) insieme all’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, e pensato in particolare per le persone anziane, che si sono ritrovate negli ultimi mesi a dover colmare il “digital divide” per fruire delle potenzialità della rete, il nuovo corso del progetto inizierà lunedì 30 novembre.

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Setirot - Menti annebbiate
Antony Blinken, Segretario di Stato. Janet Yellen al Tesoro. Alejandro Mayorkas, Interni. Sono pezzi da novanta della squadra del neo presidente americano Joe Biden. Ed ecco, puntuali e irritanti come zanzare-tigre in una notte d’estate, arrivano le punture: "Ebrei che odiano se stessi"; "Ma sono reform o orthodox?"; "L’Halakhah come li considera?".
Già, e poi c’è chi sostiene che l’ideologia non annebbia le menti.
 
Stefano Jesurum
 
Machshevet Israel - Mekhiltà
Le edizioni Qiqajon di Bose hanno appena pubblicato la traduzione italiana della Mekhiltà di Rabbi Shim‘on bar Yochai, popolarmente conosciuto come il grande mistico cui a lungo fu attribuito lo Zohar e che, in termini storici che si basano sulle fonti talmudiche, fu uno dei principali allievi di Rabbi ‘Aqivà. Forse il suo allievo più radicale, dicono gli esperti, nel senso che la sua propensione all’ascesi, alla trascendenza e alla dedizione allo studio potevano persino urtare altri maestri più inclini a vedere il tov, il bene, implicito nel fare semplicemente il proprio dovere in questo mondo, come Rabbi Yishmael. È quest’ultimo a dare il nome alla versione della Mekhiltà (che significa ‘trattato’) che meglio conosciamo, tra i più antichi midrashim all’Esodo.
 
Massimo Giuliani
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Il silenzio su Israele
In un intervento su la Repubblica di lunedì 23 novembre (“Biden-Starmer e i progressisti italiani”) il leader del Pd Nicola Zingaretti esprime la propria soddisfazione sia per l’elezione del nuovo presidente americano che per la scelta di un nuovo leader del Partito laburista britannico indicando anche tutta una serie di punti programmatici sui quali ci può essere una convergenza tra le posizioni del Partito democratico e quelle dei laburisti e dei democratici americani. Non entro nel merito dei punti esposti sui quali si può essere anche d’accordo, magari limando un po’ la patina ideologica che non manca mai nel linguaggio dei dirigenti che provengono dal PCI. Ma non si può non rilevare una “dimenticanza”. 
Valentino Baldacci
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Spuntino – Perpetua polvera
La parashà (anzi, la sidrà, come sarebbe più corretto indicare ogni brano della Torà che si legge settimanalmente) di VaYetzè è tutta d’un pezzo, senza pause o interruzioni (che in un Sefer Torà appaiono come uno spazio di nove lettere lasciato in bianco), le stesse che ricorrono invece piuttosto regolarmente nel Testo in altre parashòt (sdaròt!). Una possibile spiegazione è che questo blocco monolitico allude al fatto che Giacobbe rimase ermeticamente assorto nello studio della Torà (per 14 anni) senza distrazioni.
Raphael Barki
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