NEL TRENTESIMO DALLA SCOMPARSA
Ascoltare, testimoniare, accogliere:
la lezione di Renzo Gattegna

Ricorre quest’oggi il trentesimo giorno dalla scomparsa di Renzo Gattegna, dal 2006 al 2016 Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Sul numero di dicembre di Pagine Ebraiche, attualmente in distribuzione, un dossier e molte pagine speciali sono dedicate alla sua figura. Il dossier del giornale dell'ebraismo italiano si apre con un intervento del direttore della redazione giornalistica Guido Vitale.
In memoria di Gattegna si svolgerà stasera un limmud online, che potrà essere seguito in diretta streaming qui a partire dalle 20.30. Interverranno la Presidente dell’Unione Noemi Di Segni, il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, il direttore dell’area Cultura UCEI rav Roberto Della Rocca. Modererà la serata Simonetta Della Seta.
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Una rotta per gli ebrei italiani
Rivolgere un pensiero a Renzo Gattegna non è in questa redazione né un esercizio sporadico, né tantomeno una novità. Lo si è fatto per anni ogni giorno quando era fra noi come Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e nostro Editore. Lo si deve fare oggi. E si continuerà a farlo immancabilmente domani, anche ora che Hashem lo ha richiamato e lui ha lasciato la sua vita terrena. La sua grandezza senza magniloquenza crediamo sia destinata a brillare, il segno che ha inciso non svanirà come le tante bave delle lumachelle della vanagloria che si incrociano per la via. E non tanto, non solo perché in lui si sommavano qualità eccellenti di coerenza, di cultura, di umanità e di impegno. Certo è stato un uomo fuori dall’ordinario e un professionista di valore. E, non dimentichiamolo, è stato in tutta la sua grandezza un ebreo romano. Per dimostrare come, nonostante tante storture, si possa essere ebrei a Roma ed essere grandi e per testimoniare il suo amore profondo per la nostra città, mi ricordava sempre “In definitiva, io sono un fiumarolo”. Ed era pure capace di sbaragliare la mia perplessità con la terribile forza della sua ironia: “Tu non puoi capire, perché te…hai viaggiato”.
Con una battuta fulminea ai tavolini del Caffè Tommaseo, il germanista triestino Claudio Magris mi aveva raccontato che una volta un suo amico partenopeo, lo scrittore Raffaele La Capria, parlando di identità e di luoghi, di triestinità, di romanità, di napoletanità di volgarità e di grandezza nell’Italia di oggi, gli aveva detto: “Una cosa è fare i napoletani, una cosa è essere napoletani”. Sì, in questo senso Renzo, che in ogni situazione “era” sempre e non “faceva” mai, è stato anche un grande romano. Eppure la sua grandezza non era quella di farsi grande per proprio conto. La sua dimensione è stata quella di rappresentare e preservare la ricetta collettiva che ha tenuto assieme e garantito la sopravvivenza dell’ebraismo italiano per due millenni e passa. Una ricetta che di generazione in generazione, attraversando indicibili difficoltà e stagioni più felici, gli ebrei italiani si sono tramandati e che oggi, come in tutte le stagioni difficili, corre il rischio di andare perduta. Una ricetta che era fatta certo di fedeltà, di solidità e di prudenza, ma soprattutto era costituita dalla somma di tutte quelle qualità di fede e di grandezza d’animo che attraverso i tempi ci hanno dato in consegna un ebraismo italiano vivo. Se vogliamo guardarla da vicino, la sua politica di leader ebraico è stata proprio questa: ricondurci all’essenza degli ideali che sono capaci di tenere unito l’ebraismo italiano. Mai tradire la lezione proveniente dalle generazioni che ci hanno preceduto, mai discostarsi dalla strenua difesa delle ragioni di Israele, mai inchinarsi ai prepotenti, mai vergognarsi delle inevitabili fragilità e delle contraddizioni dei nostri padri. Ma soprattutto, soprattutto, mai cadere nella tentazione di definire la propria identità attraverso la negazione dell’identità altrui. Mai chiudere la porta del dialogo e dell’accettazione, mai restringere quella piazza, mai ostruire quello spazio comune dove gli ebrei italiani hanno da sempre l’esigenza di incontrarsi, di parlarsi, di accettarsi reciprocamente. Questa capacità di distillare ogni giorno e in ogni sua comune azione, come leader ebraico, come Presidente dell’Unione e come Editore, le qualità essenziali di misura e di grandezza d’animo che sono da sempre la vera risorsa dell’ebraismo italiano, hanno fatto di Renzo qualcosa di più della sua grandezza personale. E a poco vale commuoversi, o ricordare i tanti indimenticabili aspetti di un uomo esemplare negli affetti e nella professione, se non siamo capaci di vedere la sua dimensione universale, che travalica di molto la sua singola persona. La sua grandezza, infatti, non era di essere grande, ma di essere tutti. Di compendiare un’intera collettività con le sue storie e i suoi valori. Di essere lo sguardo, il sorriso, il tono in cui ognuno poteva ritrovarsi e sentirsi a casa.
Per questo la morte di Renzo Gattegna evoca con molta forza il messaggio che una delle voci più limpide della letteratura del Novecento, quella di Thomas Mann, ha lasciato nella sua Montagna incantata: “La scomparsa di un uomo è un problema per tutti, tranne che del diretto interessato”. La sua scomparsa non costituisce solo un immenso dolore, ma soprattutto lascia noi con una domanda scomoda. Siamo noi in grado di affermare la nostra identità come una autentica benedizione e non come una negazione? Siamo in grado di onorare il popolo ebraico e Israele dimostrando l’umile gioia di essere ebrei? Siamo capaci di intrattenere l’inevitabile dialogo con le altre componenti della società guardando gli interlocutori a testa alta? Siamo capaci di essere e di accogliere al tempo stesso? Possiamo essere, per semplificare al massimo, ebrei di buon umore? Noi, insomma, che vogliamo? Chi siamo davvero? Possiamo sperare di far brillare almeno un frammento della sua grandezza d’animo? O crediamo invece che ci sarà consentito fingere a lungo di poterne fare a meno. Sarà forse il caso di deciderlo, ora che un’intera generazione di padri e di madri inevitabilmente ci lascia.
Renzo Gattegna ci ha donato fatti, prima ancora che parole. E soprattutto ci ha consegnato istituzioni dell’ebraismo italiano che attraverso una saggia politica di rappresentanza e di comunicazione hanno raggiunto l’apice della loro capacità di raccogliere le risorse necessarie e il punto più alto di relazione con le massime cariche dello Stato e delle altre identità nazionali. Ma al di là dei fatti tangibili è importante tornare anche alle testimonianze che più volte, attraverso questo giornale, il giornale dell’ebraismo italiano da lui fortemente voluto, ha consegnato al lettore. Qualcuno, mentre si preparava questo dossier a lui dedicato, ha ironizzato sostenendo che più che gli scritti di Renzo, per capire davvero la grandezza d’animo di quest’uomo e la sua incrollabile pazienza, bisognerebbe collezionare e pubblicare tutto il pattume velenoso che altri, disperatamente di cattivo umore, hanno tentato senza successo di mettere in circolo per tentare imprudentemente di sbarrargli il passo. Sarebbe certo stata una lettura istruttiva. Ma di nuovo, più viva dei vivi, si è sentita la sua voce per ripetere come alla fine, nel dare e avere che tiene miracolosamente in piedi l’ebraismo italiano, contano solo i fatti. I fiumaroli lo sanno, a volte c’è da andare controcorrente e impugnare saldamente il remo, senza temere i flutti e le correnti. Agli ebrei italiani non è data un’altra rotta.
g.v. – Pagine Ebraiche dicembre 2020
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LO STRAPPO DI GIDEON SAAR
"Lascio il Likud, sfido Netanyahu"

Per la seconda volta Gideon Saar, il più autorevole sfidante interno di Benjamin Netanyahu, ha annunciato che lascerà il Likud. Lo aveva fatto nel settembre 2014, stupendo l’opinione pubblica e decidendo di ritirarsi temporaneamente dalla vita politica. Lo ha fatto nuovamente nelle scorse ore, ma questa volta con un obiettivo diverso. Rimanere in politica per togliere a Netanyahu la guida del paese. Cresciuto nel Likud sotto l’ala protettiva dello stesso Netanyahu, Saar ne è diventato col tempo il più strenuo avversario interno. A più riprese ha cercato di strappargli la leadership del partito, senza mai riuscirci. L’ultima volta, nel dicembre 2019 sfidando Netanyahu in campo aperto attraverso le primarie. Uno scontro concluso con una chiara disfatta: il 27% degli iscritti al Likud scelse Saar, il 72,5% Netanyahu. Praticamente un plebiscito per quest’ultimo. Ora Saar, stupendo nuovamente molti osservatori, ha deciso di sfidare ancora il suo ex capo, ma questa volta uscendo dal Likud e creandosi un partito proprio
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L'INIZIATIVA NELL'AMBITO DEI LAVORI DELLA COMMISSIONE UE
Lotta all'antisemitismo, leader europei a confronto

Nuovo incontro del gruppo di lavoro contro l’antisemitismo recentemente istituito presso la Commissione europea. La riunione, cui hanno partecipato per l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane la Presidente Noemi Di Segni e il segretario generale Uriel Perugia, si è focalizzata sull’implementazione delle indicazioni giunte in sede continentale e sulle diverse strategie adottate a livello nazionale. Collegati molti leader ebraici europei e i coordinatori designati dai vari governi per orientare le azioni nel contrasto all’odio antiebraico. Tra loro Milena Santerini, in carica dallo scorso gennaio, che ha tenuto un intervento sulla definizione di antisemitismo dell’International Holocaust Remembrance Alliance.
Ad aprire i lavori Katherina von Schnurbein, coordinatrice contro l’antisemitismo della Commissione europea. La parola è poi passata al vicepresidente della Commissione, il greco Margaritis Schinas. Sono quindi intervenuti i vari coordinatori nazionali oltre a numerosi rappresentanti di governi europei e di istituzioni ebraiche. Punto di riferimento due importanti iniziative assunte dal Consiglio europeo: la dichiarazione unitaria del dicembre 2018 con l’invito a tutti gli Stati membri ad adottare la definizione dell’Ihra; e l’intervento unitario della scorsa settimana in cui il tema è riproposto con urgenza insieme all’appello ad agire in modo stringente ed efficace. “L’Unione Europea – si ricorda – è fondata sul rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza. Ogni forma di antisemitismo, di intolleranza o di razzismo è pertanto incompatibile con essa”.
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IL CONFRONTO CON GLI INTERVENTI DEI RABBINI
"Il Covid e l'impatto sulla vita ebraica:
ecco cosa ci dice la Halakhah"
Pensiero ebraico e Halakhah al tempo del Covid. È il tema che ha fatto da filo conduttore a un limmud organizzato nel 20esimo anniversario dalla scomparsa di Isacco Levi, a lungo chazan della Comunità di Torino. Numerosi i rabbini intervenuti all’iniziativa, organizzata dalla Comunità in collaborazione con la Fondazione Scuola Rabbinica Margulies-Disegni.
Ad aprire la serata, introdotta e moderata dal rav Alberto Moshe Somekh, i saluti del presidente degli ebrei torinesi Dario Disegni che ha ricordato la figura speciale di Levi. Un uomo che molto si è speso “per fare Tzedakah in segreto, in ossequio a quel che dice la Halakhah: chi riceve non deve sapere chi ha dato”. Molte ferite personali, ma il sorriso sulle labbra “per attuare la sua religione, la religione del cuore”.
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Ticketless - Ascolta, mondo!
 Ritorna, a ondate successive, la discussione sull’unicità della Shoah. Ho seguito i vari interventi che si sono susseguiti su questo portale nell’ultima settimana, con interesse, ma anche con un filo di stanchezza. Li trovo un po’ superati dai tempi. La questione della memoria e delle politiche necessarie per conservarla correttamente temo sia stata male impostata in Italia, fin dall’inizio. Non da oggi a prevalere è stata una memoria ingenua, poco critica, indirizzata a confrontare come se fossero la stessa cosa brutture e delitti compiuti in contesti diversi.
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Arginare le pulsioni
 In queste ultime settimane si è avuta un’ulteriore testimonianza dell’arretratezza delle nostre classi dirigenti. Con una disinvoltura che preoccupa non poco c’è chi non ha trovato altro modo di insultare il suo rivale politico, accusandolo di voler «aprire i campi rom». Strizzando neanche tanto velatamente l’occhio alle pulsioni razziste rivolte verso Rom e Sinti, assai trasversali in Italia. Il rivale politico ha immediatamente replicato dandole della pazza.
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Periscopio - La ferrovia sotterranea
 Il romanzo La ferrovia sotterranea di Colson Whitehead (ed. it. SUR) – più che giustamente insignito del Premio Pulitzer e del National Book Award – rappresenta un’opera dalla straordinaria carica emotiva, in grado davvero di coinvolgere il lettore in un percorso di conoscenza inquietante e sconvolgente, alla fine del quale – come accade con tutti i grandi libri – ci si accorgerà di non essere più gli stessi di prima.
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