Israele – Lo strappo di Gideon Saar“Lascio il Likud. Sfido Netanyahu”
Per la seconda volta Gideon Saar, il più autorevole sfidante interno di Benjamin Netanyahu, ha annunciato che lascerà il Likud. Lo aveva fatto nel settembre 2014, stupendo l’opinione pubblica e decidendo di ritirarsi temporaneamente dalla vita politica. Lo ha fatto nuovamente nelle scorse ore, ma questa volta con un obiettivo diverso. Rimanere in politica per togliere a Netanyahu la guida del paese. Cresciuto nel Likud sotto l’ala protettiva dello stesso Netanyahu, Saar ne è diventato col tempo il più strenuo avversario interno. A più riprese ha cercato di strappargli la leadership del partito, senza mai riuscirci. L’ultima volta, nel dicembre 2019 sfidando Netanyahu in campo aperto attraverso le primarie. Uno scontro concluso con una chiara disfatta: il 27% degli iscritti al Likud scelse Saar, il 72,5% Netanyahu. Praticamente un plebiscito per quest’ultimo. Ora Saar, stupendo nuovamente molti osservatori, ha deciso di sfidare ancora il suo ex capo, ma questa volta uscendo dal Likud e creandosi un partito proprio. “Il Likud è stato la mia casa politica e, in una certa misura, la mia casa emotiva per tutta la vita”, le parole di Saar, annunciando il suo addio al partito e le dimissioni dal parlamento.
“Negli ultimi anni il Likud ha cambiato sempre più e drammaticamente il suo percorso. Il partito è diventato uno strumento per servire gli interessi del primo ministro, compresi quelli relativi al suo processo penale”, ha attaccato Saar, sottolineando i processi a carico di Netanyahu per corruzione, frode e abuso d’ufficio. “Non posso più sostenere un governo guidato da Netanyahu e non posso essere un membro del suo partito”, ha aggiunto. “Ho deciso di fondare un nuovo movimento politico che si schiererà contro Netanyahu per la premiership, con l’intenzione di sostituirlo”.
Dal palco Saar ha giurato di costruire un partito ampio e pluralistico, che includa le “migliori forze israeliane nella vita pubblica”, per lavorare “esclusivamente per gli interessi dello Stato”. E, secondo le indiscrezioni dei media, potrebbero entrare a far parte di questa nuovo entità politica, i due parlamentari di Derech Eretz Zvi Hauser e Yoaz Hendel, ex sottosegretari di Netanyahu ed ex Kachol Lavan, così come il generale Gadi Eizenkot, ex capo di Stato maggiore d’Israele. Secondo un sondaggio flash del quotidiano Maariv, un partito a guida Saar potrebbe raggiungere 17 seggi e rendere così impossibile per Netanyahu avere i numeri per formare una maggioranza. Secondo questa proiezione infatti, il Likud prenderebbe 25 seggi, il partito di destra Yamina 19, Yesh Atid 14, la Lista araba 11, Shas 9, Yisrael Beytenu 7, l’ebraismo unito della Torah 7, Kachol Lavan 6 e Meretz 5. Sommando gli alleati naturali del Likud, si arriverebbe a 60 seggi. E in ogni caso con questa nuova svolta non è detto che l’altro leader della destra, Naftali Bennett (capo di Yamina), non decida per abbandonare Netanyahu. Così come Saar, anche Bennett non ha un buon rapporto con il suo ex capo che da tempo sogna di sostituire. E questa nuova evoluzione potrebbe in qualche misura avvicinare questa opportunità.
Queste proiezioni sono da prendere con molta cautela, ma dimostrano che l’addio di Saar lascerà diversi segni questa volta. Tanto che, secondo il giornalista Ben Caspit, Netanyahu vorrebbe evitare le sempre più probabili nuove elezioni. Dopo aver ostacolato l’approvazione di un bilancio biennale, secondo Caspit il leader del Likud ora sarebbe pronto ad approvarlo, dando seguito alle richieste di Gantz e a quanto previsto nell’accordo tra i due. Sarebbe anche pronto a rispettare la rotazione sancita nell’intesa e passare la premiership a Gantz. Un’eventualità che gli analisti, pro e contro Netanyahu, hanno sempre considerato praticamente impossibile. L’ingresso di Saar ha sparigliato le carte e il rischio di rimanere fuori dal prossimo governo starebbe spingendo Netanyahu a riconsiderare le proprie strategie. Il tempo però è poco: il Likud per evitare le urne dovrà trovare un accordo sul Bilancio entro il 23 dicembre, altrimenti il parlamento si scioglierà automaticamente e a marzo si andrà al voto.
dr