Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui     19 Maggio 2021 - 8 Sivan 5781

L'INTERVENTO DI RAV ALBERTO MOSHE SOMEKH 

Noi, Israele e la forza di andare avanti

Il 4 gennaio 2006 sedevo nella hall di un grande albergo di Yerushalaim, dove aveva luogo l’annuale convegno internazionale dei rabbini. Quella mattina il Primo Ministro Ariel Sharon era entrato nel coma irreversibile che lo avrebbe accompagnato fino alla morte otto anni più tardi. A pochi passi da me udii il maitre dell’hotel, un arabo israeliano in livrea verde con i gemelli ai polsini, imprecare in ebraico con parole irripetibili all’indirizzo del capo del governo. Pensai fra me e me: “Non ti vergogni di sputare nel piatto in cui mangi? Decine di camerieri qui dentro stanno ogni giorno ai tuoi ordini. Chi saresti tu oggi se non fosse stato per lui e per ciò che egli rappresenta?”.
Mi alzai, gli pagai la consumazione ma non gli lasciai neppure uno sheqel di mancia. Temo purtroppo che gli arabi comprendano solo il linguaggio della forza. Più concessioni fai loro, più alzano pericolosamente il capo, interpretandole come una debolezza dell’avversario. Triste dictu l’umanesimo dei pacifisti, ammesso che sia buona fede e non una copertura elegante dell’ignavia ebraica di molti di loro, resta un wishful thinking. La domanda è semmai che tipo di forza adoperare. Sono almeno altrettanto persuaso che l’emergenza militare che Israele sta vivendo in questi giorni, al di là del casus belli, sia in parte la conseguenza di una profonda crisi interna della compagine dello Stato ebraico, il nostro stato. È difficile non mettere in relazione gli incidenti di Lod e altre località, dove i protagonisti sono stati loro, gli arabi israeliani che credevamo integrati, con l’ipotesi ventilata nelle ultime settimane di rendere i loro partiti partecipi di una coalizione pur di salvare un quadro politico che quattro tornate elettorali in due anni non sono riuscite a puntellare. Si era pronti a un passo epocale, in contrasto con gli ideali che i padri del sionismo ci hanno da sempre insegnato, pur di tutelare a oltranza degli interessi che poco o nulla potrebbero coincidere con quelli della nazione.
La spada non rappresenta l’ideale ebraico: è la forza dei nostri nemici (Bereshit 27,40). La forza di Israel sta piuttosto “nella sua bocca” (Rashì a Bemidbar 22,4). Cosa ciò implica? Nell’incontro che Itzchaq ebbe con Ya’aqov prima di morire disse: “la voce è la voce di Ya’aqov, mentre le mani sono le mani di Esaù” (Bereshit 27,22). Lasciamo dunque agli altri “venire alle mani”, strumento di violenza, e concentriamoci sulla voce, che è la nostra specialità. La parola qol in ebraico ha anche un altro significato. Qol designa il voto elettorale. Affermare che ha-qol qol Ya’aqov vuol dire asserire che la forza di Israel deve trovare espressione in un governo che sia democraticamente eletto e autorevole espressione della nazione nello stesso tempo. Solo così “i popoli vedranno che il Nome di H. è proclamato su di te e ti rispetteranno” (Devarim 28,10). Non voglio esprimere qui alcuna preferenza per un leader, per un partito o per un sistema elettorale. Recuperare l’unione perduta del popolo d’Israel significa oggi anzitutto trovare al più presto una soluzione politica stabile e condivisa che, in quanto espressione legittima della volontà popolare, rappresenti tutti.
L’opinione pubblica internazionale è il secondo aspetto di un problema vecchio come il mondo. Ancora una volta ci siamo illusi di trovar comprensione fra le nazioni. Non è possibile, perché non solo di questione politica si tratta, bensì anche teologica. L’uomo occidentale secolarizzato rifugge da questo tipo di considerazioni per due motivi collegati fra loro. Ritiene l’approccio religioso non più aggiornato, tipico di tempi andati e nello stesso tempo ne teme le conseguenze: a differenza della politica, che regala l’illusione di poter discutere tutto, la religione porta ad asseverazioni assolute, irrevocabili. Sia per il cristianesimo che per l’Islam la ricostituzione di uno Stato ebraico nella Terra dei nostri Padri è un’aberrazione teologica. Ricordiamolo! Un problema dei soli credenti? No. Per dirla nel linguaggio di Karl Gustav Jung l’antisemitismo è un archetipo che permane nell’inconscio collettivo di centinaia di milioni di persone, praticanti o miscredenti, simpatiche o antipatiche che siano. Si può indorare la pillola, mai eliminarla. È quanto i Maestri ci hanno voluto insegnare con l’affermazione: “Per la halakhah è noto che Esaù odia Ya’aqov” (Rashì a Bereshit 33,4). Come la halakhah non si presta a cambiamenti, così questa situazione per taluni aspetti di fondo non è mai destinata a essere superata radicalmente!
Una volta riconosciuta la realtà per ciò che è proseguiamo pure il dialogo. Dobbiamo evitare che l’inconscio dei popoli tracimi nel conscio con tracotanza. Non interrompiamo gli sforzi diplomatici! A condizione di accettarli solo come metodo e non come sistema, nel senso cartesiano dei termini. Prendiamo il buono che ci viene di volta in volta offerto. Lo stesso Ya’aqov si preparò ad affrontare il fratello in tre modi: gli inviò donativi, rivolse una preghiera all’Altissimo e, perché no, non escluse neppure l’eventualità di una guerra (Rashì a Bereshit 32,9). Ma ricordiamoci nello stesso tempo dell’ammonimento dei nostri antichi Profeti. Israel deve trovare in se stesso e nel suo D. la forza di andare avanti, non nelle alleanze terrene. Quelle sono legate a interessi, passano e vanno. Solo la Torah rimane. E con essa l’essenza e la coscienza di Israel, che sono eterne. Confidiamo fermamente nel fatto che presto anche questa emergenza sarà solo un terribile ricordo. Amèn.

Rav Alberto Moshe Somekh

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L'INCONTRO TRA NETANYAHU E I DIPLOMATICI INTERNAZIONALI 

"L'obiettivo d'Israele è la deterrenza.
Poi parleremo di tregua con Hamas"

“Non siamo con il cronometro in mano, ma vogliamo piuttosto raggiungere gli obiettivi dell'operazione”. A spiegarlo a una settantina di diplomatici stranieri, riuniti per un aggiornamento sulla situazione del conflitto con i terroristi di Gaza, il premier israeliano Benjamin Netanyahu “Precedenti operazioni - ha evidenziato Netanyahu - sono continuate per un periodo prolungato. Per questo non è ancora possibile stabilirne ora la durata”. Il riferimento è all'operazione Guardiano delle Mura, in corso a Gaza con l'obiettivo di fermare il lancio di razzi da parte dei terroristi di Hamas e Jihad Islamica. Un'aggressione che prosegue anche in queste ore: nel centro d'Israele infatti continuano a risuonare le sirene antimissile, con la popolazione costretta a correre nei rifugi. 
Nel suo intervento, Netanyahu ha spiegato che l'obiettivo è “raggiungere uno stato di deterrenza contro Hamas per arrivare alla fine dei combattimenti”, ma “non escludiamo altre opzioni”. Seppur come extrema ratio, un possibile intervento militare via terra a Gaza è ancora sul tavolo. "Puoi conquistarli - e questa è sempre una possibilità aperta - o puoi dissuaderli", ha dichiarato Netanyahu in riferimento ai terroristi. "In questo momento siamo impegnati in una deterrenza forte, ma devo dire che non stiamo escludendo nulla. Speriamo di poter ristabilire la tranquillità. Speriamo di poterla ripristinare rapidamente".
“Il popolo palestinese non è il nostro nemico e Israele distingue tra la popolazione civile e i miliziani di Hamas che sono agenti del terrore”, ha sottolineato il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi, parlando con i diplomatici stranieri. “La comunità internazionale deve garantire che i finanziamenti, le infrastrutture e i materiali raggiungano la popolazione e che Hamas non li usi per i suoi scopi militari. La preoccupazione per la qualità della vita dei palestinesi in Cisgiordania e Gaza è una questione regionale. Interessa Israele, l'Autorità nazionale palestinese e la comunità internazionale”.

L'INTERVISTA AD AHMAD RAFAT

"Zarif tra Roma e Vaticano:
l’offerta iraniana è un ricatto"

“Quella dell’Iran è un’offerta chiara, ma sarebbe meglio definirla un ricatto. Ai Paesi europei non coinvolti direttamente nel negoziato sul nucleare, ma cui riconosce un’influenza, propone questo: aiutateci nel far pressione su Biden affinché cancelli il maggior numero possibile di sanzioni e noi in cambio faremo smettere gli attacchi di Hamas su Israele. La visita di Zarif a Roma la vedo così. Più difficile da interpretare l’incontro con Bergoglio. Probabilmente una copertura per il vero obiettivo di giornata: un colloquio riservato con l’ex segretario di Stato Usa John Kerry, attuale inviato di Biden per il clima, che guarda caso era in Vaticano anche lui. Tra i due corre da tempo buon sangue. Un legame storico e, come noto, anche piuttosto discusso”.
Giornalista, intellettuale, attivista per i diritti umani, Ahmad Rafat è una delle voci più autorevoli del dissenso iraniano. Tra qualche giorno festeggerà 70 anni. Oltre due terzi della sua vita li ha trascorsi lontano dal Paese d’origine. Presupposti per un ritorno, al momento, non ce ne sono.
“La visita di Zarif – prosegue nella sua analisi – è una sorta di addio. Tra poche settimane l’Iran tornerà al voto. Con Rohani fuori dai giochi per via del limite di mandati consecutivi raggiunto, le possibilità che venga ricandidato sono pochissime. Molto vicine allo zero”.
L’obiettivo, prima di lasciare la scena ad altri, è il colpo grosso: l’allentamento della pressione su un Paese che Rohani e i suoi sodali hanno portato, a un livello economico e sociale, a un passo dal baratro. “Le sanzioni sono un totale di 1600. Biden è disposto a toglierne 1050. La partita si gioca sulle altre 550, le più delicate. Si parla di terrorismo e in gioco ci sono importanti entità nazionali. A partire – sottolinea Rafat – dalla banca centrale”.

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IL REPORT DEL DIPARTIMENTO DI STATO USA

Tutela della libertà religiosa, l'impegno dell'Italia

Dalla tutela della libertà religiosa alla lotta contro le discriminazioni. Il nuovo Rapporto sulla libertà religiosa internazionale, redatto dai funzionari del dipartimento di Stato Usa, fa un quadro della situazione nei diversi paesi del mondo rispetto a questo tema molto complesso e delicato. Il rapporto segnala le politiche dei singoli governi a tutela della libertà religiosa o che violano le pratiche religiose di gruppi, confessioni e individui. Presentato in queste ore, il report presenta anche il quadro della situazione italiana, soffermandosi, per quanto riguarda il mondo ebraico, nell'ampio impegno contro l'antisemitismo. “A settembre, i funzionari dell'ambasciata hanno incontrato il coordinatore nazionale per la lotta all'antisemitismo, il presidente dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (UCEI), e i leader della comunità ebraica di Roma per discutere su come sostenere i loro sforzi per contrastare l'antisemitismo tra i gruppi di estrema destra e nella società civile", si legge nel report, redatto in merito a quanto accaduto nel 2020.

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LA SQUADRA ISRAELIANA GRANDE RIVELAZIONE DI QUEST'ANNO

Strade bianche, il Giro nella leggenda
Israele punta su Daniel Martin

Il Giro d’Italia entra nel vivo. E lo fa in uno dei contesti agonistico-paesaggistici più affascinanti in assoluto: le mitiche “strade bianche”, trentacinque chilometri di sterrato, tutte in provincia di Siena, che molto diranno sulle ambizioni dei singoli e delle squadre. 
Un punto di svolta forse decisivo, a metà esatta di una corsa che ha già dato le prime indicazioni: per la vittoria finale il grande favorito sembra il colombiano Egan Bernal, attuale maglia rosa, che in montagna ha dimostrato di essere il più forte. Occhio però alle sorprese. Una di queste veste maglia Israel Start-Up Nation, la squadra israeliana che mai come quest’anno si sta rivelando all’altezza della più dura delle grandi corse a tappe. Seconda per prestigio solo al Tour de France, ma senz’altro prima per quoziente di difficoltà. 

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LA MOSTRA A CAGLIARI 

Eva Fischer, emozioni a colori

Eva Fischer, l’ultima testimone Scuola Romana del dopoguerra, avrebbe compiuto 100 anni lo scorso 19 novembre.
Riparte nel suo segno, nel segno di una delle più importanti artiste del Novecento, l’attività dei Musei civici di Cagliari.
Alla celebre pittrice, che fu amica tra gli altri di Marc Chagall, Pablo Picasso e Salvador Dalì, è infatti dedicata un’ampia retrospettiva: “Si aspetta la luna – Dialoghi tra i colori di Eva Fischer”, curata dal figlio Alan David Baumann e da Efisio Carbone.
Centoquaranta opere accompagneranno il visitatore in un affascinante viaggio dentro la storia culturale del secolo scorso, ma anche dentro la storia personale di un’artista e di una donna la cui vita fu drammaticamente segnata in gioventù dal nazifascismo.

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Ticketless - Atavismo alla tastiera
Di tutte le stramberie uscite fuori dalla mente geniale di Cesare Lombroso, l’atavismo è la teoria che, nonostante le smentite ricevute, continua su di me a esercitare il suo fascino. Mi capita spesso di pensare che l’atavismo non sia una teoria da gettare via. Ci ripenso seriamente ogni volta che assisto a una rissa televisiva, a un presentatore o un invitato che fanno smorfie animalesche, ruggiti leonini, suoni inarticolati sberleffi davanti alla telecamera ringhiando contro l’avversario. Lombroso aveva ragione: mi capita di pensare alla teoria dell’atavismo anche quando leggo le frasi di odio prodotte dagli odiatori seriali, i delinquenti della tastiera, cui il grande antropologo dedicherebbe oggi un volume intitolandolo Il blogger delinquente.
Alberto Cavaglion
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I conflitti cambiano
Nel solito fiume di parole, iniziative, manifestazioni che si solleva per ogni cosa che coinvolge Israele (è persino stancante dire che si aspettano analoghe iniziative per il Darfour, lo Yemen, la Libia) mi pare che ci sia un pericoloso fraintendimento di fondo. È del tutto inutile approcciarsi al conflitto in corso come fosse un conflitto locale, magari interpretandolo con l’armamentario ideologico anni ’70, che già era logoro allora. Quando i conflitti durano decenni non restano sempre uguali, si stratificano nel tempo. 
Davide Assael
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Periscopio - Levi e l'inferno dantesco
Abbiamo accennato, la scorsa settimana, all’importanza del linguaggio e della poesia di Dante come strumento di interpretazione dell’indicibile orrore della Shoah. C’è una pagina, del libro di memorie Se questo è un uomo, di Primo Levi, che fornisce, al riguardo, una testimonianza di straordinaria potenza, e che entra a pieno titolo, a mio avviso, nel ristretto novero delle più nobili ed eroiche dimostrazioni della capacità dell’uomo di difendere, anche nel più profondo degli abissi, il senso della propria umanità. Come una candela accesa, la si può spegnere, certo, ed è molto facile farlo. Ma non la si può trasformare, fintanto che resterà accesa, in qualcos’altro. Finché brillerà, resterà una fiamma, una luce. Potrà essere spenta, ed essere così sopraffatta dal buio, ma non la si vedrà mai irradiare oscurità.
Francesco Lucrezi
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Il violino di Goldstein
Sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale il direttore d’orchestra italiano Bernardino Molinari fu direttore artistico dell’Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma (già Orchestra dell’Augusteo); Molinari aderì al regime fascista e Roma non lo dimenticò tanto che il 9 e 12 luglio 1944, in occasione di due concerti (Roma era già stata liberata), fu fischiato e contestato dal pubblico costringendolo a interrompere le esecuzioni e infine a dimettersi dall’Orchestra.
Francesco Lotoro
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Shavuot e i frutti della terra
Shavuot è una ricorrenza con numerosi aspetti che determinano i vari nomi con cui viene identificato: oltre a Ḥag Shavu‘òth (Festa delle settimane); (Esodo: 34,22 e Deuteronomio: 16, 10) nello stesso Esodo (23,16) è chiamata "Festa della mietitura" (Ḥag ha-Katsir); ed ancora "Festa delle primizie", Yom ha-Bikkurim; (Numeri 28, 26). La prima denominazione fa riferimento all’intervallo da Pesach, ma le due altre denominazioni sono più interessanti per capire la vita del Popolo d’ Israele nella sua terra. Mentre a Pesach comincia il periodo dell’Omer, cioè del “covone”, con riferimento al primo covone di cereale che veniva offerto al Santuario i nomi diversi di Shavuot fanno riferimento alla mietitura. Non c’è mai un’indicazione delle specie. L’indicazione dell’orzo o del frumento è frutto delle analisi dei traduttori e degli studiosi del testo..
Roberto Jona
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