Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui       5 Luglio 2021 - 25 Tamuz 5781
DOSSIER MUSEI - LA VICEDIRETTRICE DEL POLIN A PAGINE EBRAICHE

"Storia ebraica, storia di una nazione"

“Abbiamo avuto oltre due milioni di visitatori dalla nostra apertura, costruito un rapporto duraturo con il pubblico, realizzato programmi educativi per le scuole, corsi di formazione, organizzato festival. Siamo diventati un punto di riferimento in città: chi viene a Varsavia ha in agenda di venire al Polin”. 
A distanza di otto anni dalla sua inaugurazione, con una pandemia di mezzo, la vice direttrice del Polin – il Museo della storia degli ebrei polacchi, Jolanta Gumula, guarda con orgoglio a quanto è stato realizzato fino ad oggi. Il Polin, di cui Gumula cura la programmazione, è diventato un punto di riferimento nazionale e internazionale. “Si viene da noi per scoprire la storia della Polonia”, spiega la vicedirettrice a Pagine Ebraiche. “Sento ancora persone che dicono, non sono ebreo quindi il Polin non mi riguarda. Ma è una considerazione sbagliata: se non si conosce la storia degli ebrei polacchi non si conosce la storia polacca. Sono due elementi inscindibili. Ed è questo su cui noi lavoriamo, così come sul nostro impegno a diventare un luogo dove porsi domande sul passato e sull’identità”.


Come per tutte le istituzioni museali e culturali, la pandemia ha rappresentato un sfida inaspettata. “Dopo una prima fase per capire come procedere, abbiamo riproposto in rete tutti i nostri programmi. Abbiamo implementato il progetto ‘Il Museo Polin a casa tua’, una selezione speciale di visite alle mostre, podcast e registrazioni che ci ha permesso di mantenere il contatto con il nostro pubblico su base quotidiana. Un esperimento che ha avuto grande successo, tanto che abbiamo deciso di mantenerlo”. Se infatti i mesi di chiusura forzata hanno rappresentato un duro colpo, sono stati anche una lezione, spiega Gumula.

 

“Ora andiamo avanti in parallelo: realizziamo iniziative per il museo dal vivo, ma anche virtuali”. Tra queste ultime, grande seguito durante la pandemia ha avuto la campagna online per commemorare la rivolta del Ghetto di Varsavia. “Normalmente abbiamo centinaia di volontari che distribuiscono i narcisi, simbolo della rivolta, per le strade della città. Quest’anno non è stato possibile, e quindi abbiamo realizzato una versione scaricabile del fiore e una campagna online.
La partecipazione è stata enorme. Oltre 400 scuole e 400mila studenti vi hanno preso parte. Sarà uno strumento da usare anche in futuro”. Se la rete è stato uno strumento formidabile per costruire nuove relazioni con il pubblico, riaprire le porte del museo è stato comunque un sollievo. “Il 20, 25% del nostro bilancio poggia sulla biglietteria, avere le porte chiuse è stato un duro colpo, anche economico. Abbiamo bisogno dei visitatori. E la risposta alla riapertura è stata eccezionale, sembrava una nuova inaugurazione”.
Tra le nuove offerte del Polin post-pandemia c’è la mostra Such a Landscape dell’artista polacco Wilhelm Sasnal: una coraggiosa riflessione sui luoghi della Shoah in Polonia, che mette in discussione molte delle narrazioni della politica al potere nel paese.

(Alcune immagini del Polin, il Museo della storia degli ebrei polacchi)

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IL MESSAGGIO PER IL 4 LUGLIO 

"Israele-Usa, un legame speciale"

“Buon 4 Luglio ai nostri migliori amici e alleati”.
Nel giorno della festa nazionale, tra i tanti messaggi rivolti al popolo americano uno è arrivato dal Primo ministro d’Israele Naftali Bennett. “L’America ha un posto speciale nel mio cuore”, ha affermato il premier. Parole che nel suo caso hanno un significato che travalica i soliti riti della diplomazia.
Bennett è infatti figlio di due ebrei californiani che nel ’67 hanno preso la decisione di fare l’aliyah, di emigrare nello Stato ebraico. In America ci ha poi lavorato, facendo fortuna nel mondo degli affari. Una storia, la sua, indicativa “di come le vite di molti israeliani e americani siano intrecciate attraverso legami familiari e sociali che sono alla base del rapporto speciale tra i nostri due paesi”. Secondo Bennett, che ha evidenziato come questa relazione sia anche al centro dell’azione del nuovo esecutivo, il 4 luglio costituisce un’occasione “per riflettere sui valori sanciti dalla Dichiarazione americana d’Indipendenza”. E per proiettarsi anche nel futuro, “un futuro di amicizia ancor più profonda, basata su valori condivisi di libertà e democrazia”. Anche Benny Gantz, il ministro israeliano della Difesa, si è posto sulla stessa lunghezza d’onda: “Israele non ha partner più grande degli Usa. Abbiamo in comune valori e visione”. 

(Nell’immagine Bennett in occasione di un recente incontro con l’ambasciatore ad interim degli Usa Michael Ratney)

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LA CONVENZIONE SIGLATA TRA MEIS E ISTORECO 

"La sinagoga un luogo di formazione per i giovani"

Tra i grandi edifici simbolo dell’emancipazione ebraica post-risorgimentale, la sinagoga di Reggio Emilia ha cessato da tempo la propria funzione precipua. Resta però, con il contributo anche della Comunità ebraica modenese di cui Reggio è sezione, un importante baluardo a livello culturale, educativo, didattico. Una vocazione rilanciata da una recente convenzione con il Comune che ha affidato ad Istoreco, l’Istituto per la Storia della Resistenza e della Società contemporanea, la gestione quinquennale di questi spazi su un piano scientifico e operativo.
Sulla strada della tutela e valorizzazione si innesta ora un nuovo accordo, siglato nelle scorse ore proprio all’interno della sinagoga, tra lo stesso Istoreco e il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah di Ferrara. “Un rapporto privilegiato rivolto alla formazione” ha affermato il direttore del Meis, rav Spagnoletto, prima di apporre la propria firma sul documento. Al suo fianco Arturo Bertoldi, presidente di Istoreco, e Matthias Durchfeld, co-direttore dell’Istituto.
Il momento conclusivo di un evento segnato da numerosi interventi. Con rav Spagnoletto che ha spiegato la genesi e le specificità dell’istituzione sinagoga. E Durchfeld che si è soffermato nello specifico su quella reggiana. Significativi, a distanza, anche i contributi del sindaco Luca Vecchi, del rabbino capo Beniamino Goldstein, della direttrice del Museo ebraico di Bologna Vincenza Maugeri. A moderare la serata Alessandra Fontanesi di Istoreco.
“Fare rete sul territorio emiliano è una priorità”, ha sottolineato rav Spagnoletto. “La regione – ha poi ricordato – è stata per secoli il cuore pulsante dell’ebraismo italiano e custodisce antiche sinagoghe, oggetti, documenti e storie tutte da riscoprire”.
Storie da riscoprire. E passi e voci che idealmente tornano a riecheggiare. “Nulla – spiega rav Goldstein – può sostituire la presenza vitale di una Comunità. Abbiamo comunque un compito da svolgere: portare avanti il racconto di una storia e di una vita ebraica”.

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L'EVENTO A CASALE

I 91 Nobel e il segno di Ronda

Recentemente la Comunità ebraica di Casale Monferrato ha inaugurato la Mostra ‘Nobel Prize Frozen’, una serie di 91 ritratti dedicati ai tantissimi premi Nobel di origine ebraica realizzati da Omar Ronda nel 2017. È stato l’ultimo divertissement di questo artista biellese, capace di conquistare il mondo dell’arte internazionale, ma anche di fermarsi in questo luogo della cultura casalese che stimava e di cui era spesso ospite. Un artista così complesso che però era impossibile raccontare in modo esauriente con un solo appuntamento, come ha sottolineato lo stesso Elio Carmi, presidente della Comunità ebraica monferrina. E così ecco una tavola rotonda con protagonisti amici che lo conoscevano molto bene. A cominciare da Vittoria Coen, storico dell’arte e curatrice della mostra.

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Il mondo intorno ad Hagar
Mi si consenta un poco di nostalgia e qualche ricordo personale. È morta a Gerusalemme, a più di novant’anni, Hagar Sereni, figlia di Enzo Sereni e di Ada Ascarelli Sereni. Suo padre, fondatore a Roma del gruppo sionista-socialista Avodah, aveva fatto l’aliyah nel 1927, tra i pochi ebrei italiani a fare quella scelta. Ha fondato kibbutzim, molto pensato e scritto, lavorato nell’intelligence, è stato fra gli organizzatori del gruppo dei paracadutisti, nato per portare aiuto agli ebrei nell’Europa occupata, quello di cui fece parte anche Hannah Senesc, e in quest’ultima missione, compiuta sotto lo pseudonimo di capitan Barda, era morto assassinato a Dachau. È considerato uno dei padri d’Israele. Sua madre Ada era stata l’organizzatrice infaticabile in Italia dell’aliyah clandestina del dopoguerra, come ci racconta in un libro bellissimo, I clandestini del mare.
Anna Foa
Oltremare - Attrito
Riassumendo l’ultimo anno e mezzo in modo israeliano, si può tranquilamente dire che credevamo all’inizio di aver vinto una novella guerra dei Sei Giorni e invece ci troviamo impantanati in una guerra di attrito, la cosa peggiore che qui si possa concepire in termini di definizione di vincitori e vinti. Mentre la guerra dei Sei Giorni aveva avuto un inizio, una breve durata e una fine molto chiari, con tanto di foto ricordo al Kotel e slogan ancora oggi usati per esprimere il senso di vittoria assoluta, “Har Habayit Beyadenu (il monte del Tempio è in mano nostra)”, quello che sta succedendo perlomeno dall’estate scorsa, in epoca ancora pre-vaccini, è un continuo di schermaglie fra le nostre forze, noi civili nelle retrovie e tutto il sistema sanitario in prima linea, e il coronavirus che si batte come un leone e ogni volta che sembra alle corde si rialza, cambia strategia, e torna a combattere.
Daniela Fubini
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Storie di Libia - Lucky Nahum
Lucky Nahum, ebreo di Libia. Il doppio nome gli fu assegnato negli Stati Uniti quando ottenne la cittadinanza, due volte fortunato. La sua famiglia vantava diverse attività, palazzi, terreni e vigneti grazie alle capacità del patriarca che si era insediato in Libia. Vivevano in una magnifica villa. Il patriarca era famoso per la sua generosità verso la popolazione locale, soprattutto verso i più poveri. Una fama che purtroppo gli costò la vita: dieci arabi lo torturarono e uccisero durante una rapina.
Lucky ricorda il difficile rapporto con la popolazione araba, la necessità di evitare i luoghi in cui non era consentito agli ebrei di entrare. Con ragazzi ebrei, cristiani e alcuni arabi frequenterà la migliore scuola di Tripoli.
David Gerbi
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