La vicedirettrice del Polin
a Pagine Ebraiche
Storia ebraica, storia di una nazione

“Abbiamo avuto oltre due milioni di visitatori dalla nostra apertura, costruito un rapporto duraturo con il pubblico, realizzato programmi educativi per le scuole, corsi di formazione, organizzato festival. Siamo diventati un punto di riferimento in città: chi viene a Varsavia ha in agenda di venire al Polin”.
A distanza di otto anni dalla sua inaugurazione, con una pandemia di mezzo, la vice direttrice del Polin – il Museo della storia degli ebrei polacchi, Jolanta Gumula, guarda con orgoglio a quanto è stato realizzato fino ad oggi. Il Polin, di cui Gumula cura la programmazione, è diventato un punto di riferimento nazionale e internazionale. “Si viene da noi per scoprire la storia della Polonia”, spiega la vicedirettrice a Pagine Ebraiche. “Sento ancora persone che dicono, non sono ebreo quindi il Polin non mi riguarda. Ma è una considerazione sbagliata: se non si conosce la storia degli ebrei polacchi non si conosce la storia polacca. Sono due elementi inscindibili. Ed è questo su cui noi lavoriamo, così come sul nostro impegno a diventare un luogo dove porsi domande sul passato e sull’identità”.
Come per tutte le istituzioni museali e culturali, la pandemia ha rappresentato un sfida inaspettata. “Dopo una prima fase per capire come procedere, abbiamo riproposto in rete tutti i nostri programmi. Abbiamo implementato il progetto ‘Il Museo Polin a casa tua’, una selezione speciale di visite alle mostre, podcast e registrazioni che ci ha permesso di mantenere il contatto con il nostro pubblico su base quotidiana. Un esperimento che ha avuto grande successo, tanto che abbiamo deciso di mantenerlo”. Se infatti i mesi di chiusura forzata hanno rappresentato un duro colpo, sono stati anche una lezione, spiega Gumula. “Ora andiamo avanti in parallelo: realizziamo iniziative per il museo dal vivo, ma anche virtuali”. Tra queste ultme, grande seguito durante la pandemia ha avuto la campagna online per commemorare la rivolta del Ghetto di Varsavia. “Normalmente abbiamo centinaia di volontari che distribuiscono i narcisi, simbolo della rivolta, per le strade della città. Quest’anno non è stato possibile, e quindi abbiamo realizzato una versione scaricabile del fiore e una campagna online. La partecipazione è stata enorme. Oltre 400 scuole e 400mila studenti vi hanno preso parte. Sarà uno strumento da usare anche in futuro”. Se la rete è stato uno strumento formidabile per costruire nuove relazioni con il pubblico, riaprire le porte del museo è stato comunque un sollievo. “Il 20, 25% del nostro bilancio poggia sulla biglietteria, avere le porte chiuse è stato un duro colpo, anche economico. Abbiamo bisogno dei visitatori. E la risposta alla riapertura è stata eccezionale, sembrava una nuova inaugurazione”.
Tra le nuove offerte del Polin post-pandemia, c’è la mostra Such a Landscape dell’artista polacco Wilhelm Sasnal: una coraggiosa riflessione sui luoghi della Shoah in Polonia, che mette in discussione molte delle narrazioni della politica al potere nel paese.

Daniel Reichel – Dossier Musei / Pagine Ebraiche luglio 2021