Il mondo intorno ad Hagar
Mi si consenta un poco di nostalgia e qualche ricordo personale. È morta a Gerusalemme, a più di novant’anni, Hagar Sereni, figlia di Enzo Sereni e di Ada Ascarelli Sereni. Suo padre, fondatore a Roma del gruppo sionista-socialista Avodah, aveva fatto l’aliyah nel 1927, tra i pochi ebrei italiani a fare quella scelta. Ha fondato kibbutzim, molto pensato e scritto, lavorato nell’intelligence, è stato fra gli organizzatori del gruppo dei paracadutisti, nato per portare aiuto agli ebrei nell’Europa occupata, quello di cui fece parte anche Hannah Senesc, e in quest’ultima missione, compiuta sotto lo pseudonimo di capitan Barda, era morto assassinato a Dachau. È considerato uno dei padri d’Israele. Sua madre Ada era stata l’organizzatrice infaticabile in Italia dell’aliyah clandestina del dopoguerra, come ci racconta in un libro bellissimo, I clandestini del mare.
Hagar aveva sposato in Israele un importante storico, Michael Confino, che guidava il Dipartimento di Studi Russi alla Hebrew University, insignito del premio Israel. Ho conosciuto brevemente Michael, mentre non ho mai conosciuto Hagar ma per uno strano destino, con il matrimonio di mio fratello Renzo con la nipote di Emilio Sereni, il fratello di Enzo, la sua famiglia si era intrecciata con la mia e la mia nipotina porta su di sé tanto l’eredità sionista dei Sereni che quella dei Foa, lontani dal sionismo.
Pensando ad Hagar penso al mondo che le era intorno, di cui ho fatto in tempo a conoscere le ultime tracce nelle mie prime visite in Israele, all’inizio degli anni Novanta. Il kibbutz Givat Brenner, fondato da Enzo e dove Hagar era nata, con tanti ebrei italiani ormai vecchi che mi raccontavano le loro vite in Italia e nella Palestina mandataria. E altri pezzi di quel mondo scomparso. Carla Malvano, che avrebbe potuto essere mia zia dal momento che aveva vissuto un grande amore a Torino con mio zio Beppe, un amore distrutto dalle leggi del 1938. Mio zio emigrò in America, Carla con sua sorella Paola in Palestina. Quando la conobbi, che aspettava a casa la morte forte e serena dopo aver rinunciato alle cure di un cancro terminale, mi raccontò della Torino ebraica e antifascista e di mio zio ma mi mostrò anche con orgoglio lo stemma dello Stato d’Israele disegnato da suo marito Gavriel Shamir e dal di lui fratello.
Intrecci fra i mondi di cui non troviamo davvero più tracce in un’Israele tanto mutata, forse più di quanto sia mutato il resto del mondo? No, forse no, forse quei fili al tempo stesso di memoria e di progettualità culturale e politica restano vivi, sia pure in modi diversi. Penso alla figlia di Paola Malvano, Dina Wardi, psicoterapeuta, autrice di un libro fondamentale sui figli dei sopravvissuti, Le candele della memoria, una tappa basilare nella riflessione sulla memoria. O a chi, fra i discendenti di Enzo Sereni, non smette di interrogarsi sulla storia del sionismo, usando i suoi strumenti culturali per decifrarla ed anche rimetterla in discussione, attirandosi l’accusa di eresia ma ricollegandosi invece, nella libertà del suo pensiero, all’universo delle origini, riaccendendone l’anima che credevamo scomparsa.
Anna Foa
(5 luglio 2021)