LA CERIMONIA DI INSEDIAMENTO
Il giorno di Herzog, il nuovo presidente di Israele
Ha giurato sulla stessa Bibbia del padre

È il giorno del passaggio di consegne. Da quest'oggi Isaac Herzog entra ufficialmente in carica come undicesimo presidente dello Stato di Israele. La cerimonia di insediamento è in corso in questi minuti ed è stata caratterizzata anche dallo svelamento di un busto in onore del suo predecessore Reuven Rivlin. Accanto una targa, con la citazione di una frase ritenuta tra le più significative del suo mandato: "Senza la capacità di ascoltare, non c'è la possibilità di imparare. Senza la capacità di imparare, non c'è la possibilità di riparare".
Il neo presidente ha giurato su una Bibbia di famiglia, con una lunga storia alle spalle. Sopravvissuta alle tempeste del Novecento, fu usata per lo stesso scopo anche dal padre Chaim, presidente dello Stato ebraico dal 1983 al 1993. Nel suo primo discorso pubblico dopo l'elezione Herzog aveva già messo in fila alcune priorità: curare le ferite del paese, “costruire ponti” all’interno della società israeliana e con la diaspora, “combattere l’antisemitismo e l’odio verso Israele” e “mantenere le basi della nostra democrazia”.
Temi che tornano al centro dell'attenzione in questa importante giornata di festa e democrazia.
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DOSSIER MUSEI - LA DIRETTRICE DEL MUSEO EBRAICO DI FRANCOFORTE
"Un luogo per porsi domande, anche difficili"

Dopo cinque anni di ricostruzione e rinnovamento, il Museo ebraico di Francoforte ha riaperto in ottobre la sua struttura principale al pubblico. È stata un’inaugurazione agrodolce però. Nel pieno della seconda ondata, le restrizioni avevano costretto a limitare in modo rigido gli accessi.
“La cosa un po’ triste è stata che, dopo cinque anni intensi di lavoro, non abbiamo avuto quel momento catartico di festeggiare insieme il traguardo raggiunto. Per fortuna ci sono state le recensioni entusiastiche della stampa. Ma noi aspettiamo ancora di avere quel momento” racconta a Pagine Ebraiche la direttrice del museo, Mirjam Wenzel. Anche loro si sono riadattati alla vita virtuale, anche perché il museo è molto proiettato sul presente. “Noi siamo ora”, è il motto di questa sua versione rinnovata. La struttura inaugurata nel 2020 – che si affianca a quella aperta nel 2016 e che si trova poco distante – incorpora il palazzo neoclassico costruito dalla famiglia Rothschild nel 1820, più un nuovo blocco realizzato dallo studio Staab Architects. Insieme, si crea una sinergia da presente e passato che rispecchia bene la filosofia del museo: raccontare la storia ebraica di Francoforte, ma anche aprire a riflessioni sulla società attuale.

La mostra permanente si estende su diversi livelli, spiega la direttrice Wenzel, e offre approcci diversi per capire l’identità e la storia ebraica. “Nel museo Judengasse (la struttura aperta nel 2016) si apre lo sguardo sull’antico ghetto di Francoforte, raccontando cosa volesse dire una vita ebraica all’epoca, con ritrovamenti archeologici, oggetti cerimoniali, ma anche registrazioni di come la musica potesse essere allora. Il nostro obiettivo è sempre quello di dare un’impressione vivida al visitatore”. E così è anche nella struttura del palazzo Rothschild: al terzo piano l’esposizione si intitola Storia e Presenza. “In questo spazio raccontiamo la realtà ebraica a partire dall’oggi e attraverso storie personali, cercando di dare sempre un inquadramento storico a livello europeo. Anche perché si tratta di famiglie che hanno emigrato, che hanno costruito reti in tutta Europa”.
Il secondo piano è intitolato Tradizione e riti. “La domanda qui è come l’ebraismo si sia trasformato in una religione con diverse correnti, ricordando che a Francoforte c’è stato uno scontro interno e la nascita della neo-ortodossia. Parliamo di questo, ma ci interroghiamo anche sul presente, chiedendo ai rabbini di rispondere a domande su questioni di etica legate all’attualità”. Al primo piano infine si percorre un viaggio all’interno di tre famiglie di Francoforte e tre generazioni: i banchieri Rothschild, la famiglia di commercianti borghesi Frank e la famiglia dell’Europa dell’Est dell’autore e giornalista Valentin Senger.
“Entriamo dentro anche ai dettagli, raccontando ad esempio le ricette di cucina. Oppure, cosa è stato tramandato di padre in figlio, o di madre in figlia”. A questo si affiancano le mostre temporanee, come quella dedicata al “Lato femminile di Dio”.
“È una mostra – dice la direttrice – che abbiamo preso e riproposto perché innanzitutto il tema del genere è di stretta attualità”. Uno dei temi centrali sviluppati era la “Shechina” intesa come la “presenza di Dio sulla terra” e “descritta dal misticismo ebraico come una sfaccettatura creativa dell’unico Dio. Questa concezione costituisce il centro della mostra, che si concentra sulla riscoperta della tradizione largamente sconosciuta delle concezioni femminili di Dio nello specchio dell’arte contemporanea”.
Wenzel non nasconde che si aspettava più controversie attorno a questa mostra, ma la pandemia ha forse ridotto la sua portata provocatoria. Però la direttrice spiega che anche questo è uno dei caratteri del nuovo museo. “Che cosa c’è di più ebraico di mettere in discussione, di porre domande difficili?”
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L'INTERVENTO
Studi talmudici e studi secolari
Hanno suscitato il consueto scalpore le recenti affermazioni con cui il rabbino capo sefardita d’Israele rav Yitzhak Yosef ha dichiarato la propria netta preferenza per la Yeshivah tradizionale rispetto a curricula di studi che associano al Talmud le materie secolari. Chi dissente dal pensiero del rabbino reagisce in genere con stizza, ribadendo la propria altrettanto ferma contestazione fino a screditare l’avversario, liquidato rapidamente come il portavoce di una visione gretta e anti-moderna. Dato il calibro del pulpito da cui viene la predica, tuttavia, non si può non tentare una via differente, a costo di rischiare l’impopolarità. Penso si debba cercar di inquadrare il messaggio analizzando le fonti e adoperando, per quanto possibile, un sano senso storico e critico.
Rav Yosef non ha fatto che riproporre l’insegnamento del suo padre e predecessore, rav Ovadia Yosef z.l. Interrogato se sia meglio che chi abbia concluso la scuola elementare continui a studiare in una Yeshivah High School, in cui si combinano gli studi tradizionali con quelli scientifici o sia invece preferibile che prosegua in una Yeshivah a tempo pieno, in cui ci si dedica solo ed esclusivamente allo studio della Torah, rav Ovadia rispose: “se è possibile studiare in una Yeshivah che non includa studi secolari, è indiscutibilmente meglio di una Yeshivah High School, in modo da essere completo in tutte le discipline della Torah. Anche Maimonide, che diceva di sé nelle sue lettere: ‘Il mio studio di altre discipline, come la filosofia e la medicina è stato solo un mezzo al servizio della Torah, per far vedere ai popoli e ai principi la sua bellezza, poiché essa è bella d’aspetto’, si lamentava che in tal modo il suo tempo per lo studio della Torah veniva ad essere limitato. Specialmente se la persona è dotata in modo particolare per cui se ‘bussa alle porte’ della nostra Torah diventerà una guida per gli altri in Israele, il cui livello è molto alto. Particolarmente in questa generazione. (Resp. Yechawweh Da’at 3, n. 75, traduzione inglese in “Crossroads, Halakha and the Modern World”, I, Zomet Institute, Jerusalem, 1987, p. 105-108).
Queste poche righe ci consentono di trarre qualche conclusione. 1) La preferenza accordata agli studi talmudici non è pensata per tutti, ma per coloro che vi sono dotati. Se portati avanti con serietà, richiedono un impegno intellettuale non indifferente. Si può discutere se attribuire loro importanza, ma questo è un altro discorso. Chi ha a cuore l’avvenire della Comunità ebraica concederà che non meno della scienza, della matematica e anche della letteratura, il Talmud meriti attenzione. 2) La trita argomentazione che vede in Maimonide un fulgido esempio di combinazione degli interessi talmudici con quelli scientifici va ridimensionata. Anzitutto va ricordato che la parcellizzazione del sapere è un portato dell’età moderna, dovuto anche all’elevato livello di specializzazione che l’umanità ha nel frattempo raggiunto in ogni campo. Nel Medioevo trovare nella stessa personalità attitudini intellettuali differenti era consueto, soprattutto nei “grandi” che erano allo stesso tempo medici, astronomi, filosofi e anche teologi! In secondo luogo Maimonide stesso dichiara che la sua attività scientifica era posta “al servizio della Torah” e che questa costituisce un plus-valore per eccellenza.
Peraltro nel mondo ebraico tradizionale non tutti concordano con l’approccio “esclusivistico”. Rav Moshe David Tendler, docente di Talmud e di microbiologia alla Yeshiva University di New York, sostiene che le due discipline sono emanazione della stessa Unica Divinità, Hashem echad. Dopo aver molto insistito sul fatto che l’ebraismo è profondamente radicato nella natura e che la conoscenza delle leggi e dei fenomeni naturali è indispensabile per comprendere molti aspetti della Halakhah, egli cita un passo in cui il Talmud afferma che colui che è in grado di fare calcoli astronomici ma se ne astiene non merita menzioni, perché il versetto dice di quelli come lui: non guardano l’opera di H. e non scorgono l’azione delle Sue mani (Yesha’yahu 5, 12). Il commentatore Sforno (sec. XVI), che era medico, scrive che se il popolo ebraico non mantiene un profilo intellettuale elevato profana il Nome Divino (chillul ha-Shem). Ne consegue che approfondire la conoscenza scientifica è per rav Tendler un precetto a se stante.
Entrambe le scuole peraltro concordano che “H. ci ha presentato due creazioni: la Torah e il mondo. La prima ci insegna la volontà del Creatore, la seconda ci fornisce gli strumenti per eseguirla. Come un artigiano è tenuto a conoscere non solo la sua arte, ma anche i suoi materiali, così l’ebreo deve acquisire famigliarità con il mondo per condurre una vita di Torah. Per questo motivo la conoscenza del mondo ha sempre avuto una posizione di rispetto nell’ebraismo. D’altro lato questa conoscenza ha per solo scopo la promozione e la perfezione della vita basata sulla Torah. Di conseguenza lo studio della scienza è sempre subordinato allo studio della Torah (Yehudah Levy, Torah Study: A Survey of Classic Sources on Timely Issues, Feldheim, Jerusalem-New York, 2002, p. 241).
Chi sceglie la linea “esclusiva” deve sorvegliare affinché la sua Torah non si distanzi eccessivamente dal mondo reale, ma chi opta per la combinazione di Torah e scienza ha un’altra grossa responsabilità: deve sorvegliare affinché il difficile equilibrio che instaura non si alteri. L’ebraismo italiano ha apparentemente scelto questa via da almeno cinque secoli. Ma negli ultimi duecento anni quanti talmudisti abbiamo avuto nel “bel paese”, a fronte del gran numero di scienziati e letterati che abbiamo prodotto?
Rav Alberto Moshe Somekh
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LA SENTENZA ACCOLTA CON FAVORE DALLE ISTITUZIONI EBRAICHE FRANCESI
Carcere e una multa per Dieudonné, il "comico"
che soffia sul fuoco dell'antisemitismo
Quattro mesi di carcere e diecimila euro di multa. La giustizia francese ha scelto di punire così alcune recenti intemperanze, a sfondo anche antisemita, del “comico” francese Dieudonné M’Bala M’Bala. Una delle figure più inquietanti emerse in questi anni Oltralpe, con un grande seguito sia online che offline. Dieudonnè è, per molti versi un paradigma. Il simbolo più rappresentativo, come ricordava su queste pagine lo storico Claudio Vercelli, “delle incestuose contaminazioni tra quello che resta di una certa sinistra radicale, in questo caso autodefinitasi ‘anti-imperialista’, e le vecchie e nuove ramificazioni di una destra fascistoide alla ricerca di un uovo respiro populistico, che trovano nell’antisemitismo un loro punto di coagulo”. E questo poiché, “proveniendo dal magmatico arcipelago dell’antirazzismo, spesso contraddittorio, dal quale ha preso le mosse prima come autore e attore, poi come politico sui generis, ha raccolto su di sé molti aspetti della transizione dalla legittima lotta contro il rifiuto della diversità, laddove quest’ultima è invece intesa come uno stigma sociale, all’enfatica valorizzazione della ‘differenza’ come tratto sul quale costruire una piattaforma ideologica di rigetto del repubblicanesimo francese e, più in generale, europeo”.
Ad esprimere la propria soddisfazione il Crif, il Consiglio rappresentativo degli ebrei di Francia, che ha parlato di “bella sentenza”.
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LA SENTENZA AD AOSTA
Neonazista e negazionista della Shoah condannato
La Comunità ebraica: "Un nuovo punto di partenza"
Un’aquila nazista esposta sul cancello della propria abitazione di Saint-Vincent è costata al 55enne Fabrizio Fournier il rinvio a giudizio con l’accusa di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa.
Apertosi in dicembre, il processo sul suo caso è arrivato a sentenza in queste ore: il Tribunale di Aosta ha riconosciuto la colpevolezza dell’imputato e disposto una sanzione pecuniaria di 5mila euro. Ad essere riconosciuti anche i risarcimenti alle parti civili: 20mila euro andranno alla Comunità ebraica di Torino; 10mila alla Regione Valle D’Aosta, 5mila alla sezione locale dell’Anpi.
Fournier, propagandista di tesi negazioniste della Shoah anche attraverso i social network, dovrà inoltre farsi carico delle spese processuali e dei compensi dei legali delle parti.
Grande la soddisfazione del presidente della Comunità ebraica Dario Disegni, che parla di “importante riaffermazione di principio”. Per l’avvocato della Comunità, Tommaso Levi, la sentenza fissa un elemento che viene ritenuto “un punto di partenza”. E cioè che “si possono propagandare idee fondate sul razzismo anche attraverso il negazionismo della Shoah”. Un’affermazione di responsabilità che, secondo il legale, “per una pena per quanto lieve” dice che “un paese democratico deve difendere quella che è la storia di questo continente” e “deve lottare per combattere queste idee che si portano dietro odio, razzismo e quant’altro”.
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LA SCOMPARSA DEL GIORNALISTA CHE HA SVELATO I CRIMINI DEL FASCISMO IN AFRICA
Angelo Del Boca (1925-2021)
“Italiani brava gente”. Un mito smascherato grazie a un lavoro appassionato su carte, testimonianze, memorie. Alla ricerca della verità, contro ogni possibile infingimento.
Angelo Del Boca, scomparso a Torino all’età di 96 anni, è stato un grande giornalista e storico del colonialismo italiano. Un precursore, un vero e proprio pioniere. I suoi studi sono andati infatti in terreni dove nessuno era andato prima, svelando verità scomode spesso sottaciute: i crimini del fascismo nella Campagna d’Africa, coperti dall’oblio anche decenni dopo la fine della dittatura. Il laboratorio della futura discriminazione contro i cittadini ebrei, sancita dalle leggi del ’38.
Del Boca era nato nel 1925 a Novara. Di quel mito ricordava come, alla prova dei fatti, fosse “un artificio fragile, ipocrita”. E quindi senza “alcun diritto di cittadinanza” e “fondamento storico”.
Tra i suoi molti libri uno portava proprio questo titolo, “Italiani, brava gente”, seguito però dal punto interrogativo. Oggetto della sua ricognizione i fatti avvenuti in territorio africano ma anche, tra le tante macchie d’infamie, la consegna ai nazisti, da parte delle autorità fasciste di Salò, di migliaia di ebrei votati a sicura morte. Crimini abietti, che rendono quel cliché insopportabile.
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Ticketless - Matrimoni
 La bella mostra inaugurata al Meis, “Mazal Tov! Il matrimonio ebraico”, che spero di vedere presto recandomi a Ferrara e la lettura di un libro appena uscito (Flora Aghib Levi D’Ancona, “La nostra vita con Ezio e Ricordi di guerra”, a c. di Luisa Levi D’Ancona Modena, Firenze University Press), mi hanno fatto ritornare alla mente una cosa su cui avevo già avuto modo di riflettere girando e rigirando nei carteggi di molti intellettuali ebrei dell’Ottocento e inizio Novecento. Nel libro sull’accademico, filologo e ispanista Ezio Levi si racconta di una sua visita a riverire il vecchio professor Alessandro D’Ancona, direttore della Normale e sindaco di Pisa dal 1906 al 1907. Piaceva a D’Ancona, che viveva sui lungarni, di rimanere sulla soglia dell’uscio. Lo chiamava “il codicillo della conversazione”. Poi diede al giovane, che viveva a Livorno, un biglietto di presentazione per la nipote Margherita Aghib e aggiunse: “A proposito, ella mi ha scritto per pregarla di suggerirle il nome di un professore che vada a leggere i classici della letteratura italiana con sua figlia Flora”. Era un modo garbato, tutto ottocentesco di trovare un marito alla nipote, cosa che puntualmente accadde. Non è l’unico biglietto redatto dal grande e illustre critico e professore, espertissimo, a quanto si vede, anche nei panni del sensale. I tre più solerti erano, appunto: D’Ancona, Ascoli e Lombroso.
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Periscopio - Dante e l'antisemitismo
 Nel dare inizio a queste brevi riflessioni su “Dante gli ebrei”, abbiano chiarito, lo scorso mercoledì 5 maggio, che, con tale locuzione, si può fare riferimento a tre cose distinte: innanzitutto, al modo in cui il poeta è stato e viene considerato nell’ambito della cultura ebraica, nei diversi contesti storici e culturali; poi, alla specifica collocazione che l’ebraismo e il popolo ebraico assumono, nel generale quadro teologico della Commedia; infine, al modo in cui i versi di Dante sono stati utilizzati, dopo il suo tempo, e indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue intenzioni, nella costruzione dell’immagine degli ebrei e dell’ebraismo, in modo più o meno ostile, benevolo o indifferente.
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Giona e Pinocchio
 Le pressioni ideologiche sull’attività musicale in Unione Sovietica, dalla composizione alla performance, creavano inevitabilmente cortocircuiti e traumi in numerosi musicisti; a farne le spese erano coloro che difficilmente si allineavano alle prescrizioni del Partito comunista e, in tal caso, il talento, la tenuta psicologica nonché la vita privata del musicista erano messi a dura prova.
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