Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   17 Ottobre 2021 - 11 Cheshvan 5782
LE ELEZIONI PER IL RINNOVO DEL CONSIGLIO UCEI 

Da Milano a Roma, Italia ebraica al voto

Rimarranno aperte fino alle 22 di questa sera le urne delle Comunità ebraiche di Milano e Roma, con gli iscritti di entrambe chiamati a votare per il rinnovo del Consiglio dell'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Nella capitale sono cinque le liste che si sono candidate - Per Israele, Binah, Ebrei di Roma per l'Unione, Menorah, Dor Va Dor - con 20 posti in Consiglio a disposizione. Gli elettori romani possono esprimere fino a sette preferenze per una lista, senza possibilità di voto disgiunto.

A Milano sono invece 10 i Consiglieri che verrano eletti all'Unione e anche qui si sono presentate cinque liste - Italia Ebraica, Tradizione e Futuro per Israele, Gesher, Rinnovamento, Unione per il Pluralismo. Si possono votare fino a un massimo di cinque persone ed è possibile il voto disgiunto. Per gli iscritti milanesi l'impegno alle urne sarà doppio: si vota infatti anche per il rinnovo del Consiglio comunitario, con due liste – Beyahad-Insieme e Milano Ebraica – che si sfidano per guidare la Comunità. Diciassette i Consiglieri da eleggere con la possibilità per ogni elettore di esprimere fino ad un massimo di 12 preferenze e con la possibilità del voto disgiunto.

(Nelle immagini: in alto, un'iscritta in uno dei seggi della Comunità ebraica di Milano; in basso, il segretario della Comunità di Roma Emanuele Di Porto insieme a due giovani scrutatori)

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IL NUOVO LIBRO DEL GIURISTA GIORGIO SACERDOTI 

Diritto ed ebraismo, una vita di battaglie civili

Sessanta anni di battaglie civili appassionate ripercorsi in un libro-antologia ricco di spunti che spaziano dagli effetti della persecuzione nazifascista alla nascita della Repubblica costituzionale, dalla stagione delle Intese al complesso cammino delle libertà e della laicità. Si presenta così Diritto ed ebraismo. Italia, Europa. Israele, volume che raccoglie una serie qualificata di interventi prodotti da Giorgio Sacerdoti dal 1960 ad oggi e che arriverà nelle librerie, dal 21 ottobre, con l’editore Il Mulino.
Protagonista di primo piano nel mondo del diritto e attento osservatore della società, dei suoi umori e delle sue trasformazioni, Sacerdoti è presidente della Fondazione CDEC oltre che dell’Associazione Italiana Giuristi e Avvocati Ebrei. Professore emerito dell’Università Bocconi, dove ha insegnato Diritto internazionale ed europeo, è stato giudice all’Organizzazione Mondiale del Commercio ed è inoltre autore di numerose opere a tema giuridico, oltre che di due libri di memorie familiari: Nel caso non ci rivedessimo. Una famiglia tra deportazione e salvezza 1938-1945 (ed. Archinto) e Piero Sacerdoti. Un uomo di pensiero e azione alla guida della Riunione Adriatica di Sicurtà (Hoepli). In passato è stato anche Presidente della Comunità ebraica di Milano, oltre che Consigliere dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

L’opera in uscita condensa una vita d’impegno e valori. Ed è molto di più di una semplice raccolta di scritti giuridici autorevoli. Si tratta infatti, spiega il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni in uno dei due testi introduttivi all’antologia, di “una sorta di libro di storia dell’ebraismo italiano nell’ultimo secolo, analizzato dalla prospettiva dei suoi problemi organizzativi, istituzionali, di rapporti con la società”. Sacerdoti d’altronde, ricorda il rav, “ha avuto un ruolo di primo piano in tutte le questioni principali dibattute negli ultimi decenni, intervenendo con documentazione e dottrina”.

La mole stessa del volume, riconosce l’ex Presidente del Consiglio Giuliano Amato nell’altra prefazione, “dice da sola al lettore quanto dobbiamo, in termini di analisi e di riflessioni, a un giurista non solo sempre presente davanti agli eventi e ai dibattiti che i sono succeduti, ma che tale è stato anche su temi diversi da quelli qui trattati”.
 

(Nelle immagini: Giorgio Sacerdoti; la copertina del libro; in visita dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini; la firma delle Intese)

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IL NUOVO LIBRO DI GIORGIO SACERDOTI - LA PREFAZIONE DI RAV DI SEGNI

Ebraismo italiano, la storia di un secolo

Oggi “La Zanzara” è il nome di un programma radiofonico discusso e di successo, che si richiama non solo al fastidioso insetto, ma all’ormai storico titolo di un giornaletto scolastico del liceo milanese Parini che negli anni ’60, con le sue prese di posizioni a quell’epoca innovative e provocatorie, suscitava lo scandalo dei benpensanti. Tra gli altri autori, scriveva su quel giornaletto l’adolescente studente Giorgio Sacerdoti, che da allora non ha smesso di scrivere; questo libro, che presenta un’ampia raccolta di suoi scritti, più maturi nella forma e nella sostanza ma sempre pungenti, ce ne offre una ricca e preziosa testimonianza.
Giorgio Sacerdoti come giurista ha dedicato molto del suo tempo e della sua passione professionale e umana alle questioni ebraiche, come uno degli esperti più qualificati che ha rappresentato le istanze ebraiche davanti alle istituzioni e allo Stato in una lunga storia di rapporti. Il momento di svolta ufficiale in questi rapporti nella recente storia italiana è stato quello della stipula e della ratifica delle Intese tra Stato e Comunità ebraiche del 1987; ma una quantità di problemi sono nati prima e dopo e hanno visto Sacerdoti in prima fila nella loro discussione.
I rapporti tra religione e Stato sono regolati in ogni luogo in base a un complesso ordinamento giuridico che è il risultato di una lunga storia di conflitti e discussioni; ma anche tenendo presente l’equilibrio raggiunto da una legislazione consolidata, chi pensa che questi rapporti siano questioni ormai consolidate, superate o facilmente superabili sbaglia; ogni momento si pongono problemi nuovi e questo avviene in tempi recenti sempre più frequentemente, per l’evoluzione della scienza e delle tecniche che questa offre, e per l’evoluzione delle mentalità, per cui si affacciano rivendicazioni di nuovi diritti. Le polemiche recenti intorno alla legge Zan ne sono una prova evidente.
Ogni religione poi ha la sua storia e le sue necessità e anche i suoi modi di interagire nei confronti delle istituzioni. L’ebraismo costituisce un caso a sé in Italia, per la sua presenza radicata e bimillenaria, per la lunga tradizione di leggi dello Stato (o dei tanti Stati del passato) che ne regolano gli ordinamenti e la libertà religiosa, per le drammatiche vicende della persecuzione, per la continua esposizione a atti di ostilità. Inoltre gli ebrei in Italia, benché siano una minoranza numericamente poco incidente, sono simbolicamente rilevanti. Come essi possano o debbano partecipare al dibattito pubblico per difendere le loro posizioni è oggetto di discussione anche vivace al loro interno. Esiste sempre la domanda dei limiti, dell’interferenza, della minaccia alla libertà collettiva. La casistica è però complessa: in alcuni casi la legge dello Stato potrebbe proibire qualcosa che è lecito per la religione (come la diagnosi pre-impianto nella legge sulla fecondazione assistita, o lo scioglimento del vincolo matrimoniale , messo in discussione nel referendum sul divorzio) o ciò che è obbligatorio per la religione (come la macellazione rituale e la circoncisione); oppure autorizzare qualcosa che è proibito (nelle problematiche del fine vita, se un giorno si arrivasse a autorizzare l’eutanasia attiva, o i matrimoni omosessuali). La risposta delle rappresentanze comunitarie ebraiche è stata di ferma difesa del diritto religioso quando si è cercato di proibirne l’esercizio, e di astensione da posizioni ufficiali quando la legge dello Stato dava aperture su cose religiosamente proibite, limitandosi, in campo ebraico, a prese di posizione individuali per ribadire i principi della propria tradizione; ogni cittadino in definitiva ha il diritto di esprimere la propria opinione quale che sia l’origine del suo pensiero.
Se un tempo il problema per l’ebraismo si poneva nei termini di diritti conculcati, le questioni sono diventate sempre più complesse quando si è passati al conflitto tra diritti: quello di esercitare liberamente la propria religione in opposizione ad altri diritti invocati, come quello dell’animale a non soffrire, mentre la macellazione rituale potrebbe invece provocare dolore, o il diritto del bambino all’integrità fisica che sarebbe violato con la circoncisione; e più di recente nel dibattito sui limiti alla libertà di insegnamento e regolamentazione religiosa che potrebbero porre, se non meglio definite, le norme di tutela della diversità di orientamento sessuale
Molti di questi temi vengono affrontati nella ricca rassegna di articoli del prof. Sacerdoti di questo libro. Sacerdoti ha avuto un ruolo di primo piano in tutte le questioni principali dibattute negli ultimi decenni, intervenendo con documentazione e dottrina. Il suo campo di interesse si è esteso alla discussione di interessanti aspetti giuridici nel rapporto con lo Stato di Israele e dell’impatto che hanno in Italia in particolare nel diritto matrimoniale; e ha approfondito anche altre tematiche, da excursus storici al rapporto tra le religioni, in particolare con la Chiesa cattolica ora dialogante ma un tempo ostile e limitatrice di diritti.
Questo libro quindi non è solo una raccolta di scritti giuridici autorevoli ma una sorta di libro di storia dell’ebraismo italiano nell’ultimo secolo, analizzato dalla prospettiva dei suoi problemi organizzativi, istituzionali, di rapporti con la società.
Le questioni giuridiche non sono poi solo quelle che contrappongono, o mettono in dialogo, lo Stato con le rappresentanze ufficiali ebraiche; i membri delle comunità ebraiche sono per natura “dialettici”, per non dire litigiosi e ogni aspetto della vita comunitaria è per loro sempre fonte di dibattito. Vi sono forti problemi identitari e di rapporto con la religione, perché come nello Stato si dibatte tra diverse posizioni, “laiche” o non, così nell’interno delle comunità la discussione è vivace; ne sono esempi importanti la questione delle conversioni e quella della riforma religiosa. In questi casi Sacerdoti non è il rappresentante della comunità davanti allo Stato, ma l’esponente di un pensiero personale o condiviso da un gruppo, certamente autorevole e da rispettare, ma spesso in contrasto con altre posizioni, come quella di chi scrive queste note; ma non è una prefazione la sede per discutere con l’Autore, vista la complessità degli argomenti.
Il dissenso da certe posizioni non toglie importanza a questo libro, anzi ne accresce l’interesse, come stimolo alla discussione e testimonianza della perenne vitalità della condizione ebraica.

Rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma

(Diritto ed ebraismo. Italia, Europa, Israele – Giorgio Sacerdoti, ed. Il Mulino)

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IL NUOVO LIBRO DI GIORGIO SACERDOTI - LA PREFAZIONE DI GIULIANO AMATO

Una lezione civile per i giuristi

Ha fatto bene Giorgio Sacerdoti a raccogliere in questo volume i tanti scritti con i quali, nel corso dei decenni. ha trattato sotto diversi profili il rapporto fra ebraismo e diritto. La mole stessa del volume dice da sola al lettore quanto dobbiamo, in termini di analisi e di riflessioni, a un giurista, non solo sempre presente davanti agli eventi e ai dibattiti che i sono succeduti, ma che tale è stato – non dimentichiamolo – anche su temi diversi da quelli qui trattati. Sacerdoti è, a dir poco, uno studioso e un operatore del diritto molto versatile, con una meritata notorietà nel campo del commercio internazionale e dei relativi arbitrati, in quello dell’anticorruzione, nello studio dell’europeismo, delle sue radici e delle sue finalità.
Certo, il tema dell’ebraismo e il diritto lo ha studiato e soprattutto vissuto più di ogni altro, in primis attraverso le vicende che hanno interessato la sua famiglia e lui stesso a partire dalle leggi razziali del 1938. E sebbene siano tanti, tantissimi i casi che dimostrano gli effetti sconvolgenti di quelle leggi, il caso della famiglia Sacerdoti sottolinea come pochi la tragica assurdità del solco che si volle scavare fra gli italiani sulla base di una diversità religiosa definita e maltrattata come diversità razziale. Penso, nel dir ciò, al padre di Giorgio, Piero Sacerdoti, alto dirigente assicurativo che apparteneva a quell’elite di manager umanisti incarnata anche da altri italiani del tempo e simboleggiata da Raffaele Mattioli. Non c’erano differenze fra questi uomini, ma ci fu chi, tra loro, dovette abbandonare tutto e fuggire, evitando solo in tal modo di essere deportato e quindi ucciso.
È e rimane una macchia senza pari nella storia dell’Italia unita, specie per il legame che ebbe con l’orrore della Shoah, e su di essa intendo tornare prima di concludere questa breve prefazione. Ora però, per offrire a chi si accinge a leggere il volume chiavi di lettura utili, serve anche ricordare che nella lunga storia dell’ebraismo la vicenda delle leggi razziali italiane è, purtroppo, soltanto una delle tante che hanno abituato le persone di quella religione a mantenere e a difendere la propria identità nelle condizioni più difficili. In particolare, ci si è trovati molto spesso affidati soltanto a se stessi e alla propria capacità di sopravvivenza in condizioni nuove, alle prese con situazioni che nulla e nessuno aveva prima insegnato a fronteggiare. Nemmeno i principi e le regole della religione.
Ebbene, io leggo anche questo in uno dei tratti dell’ebraismo che più mi colpiscono e che Sacerdoti, non solo attraverso le pagine qui pubblicate, mi ha insegnato a capire. La religione ebraica è fra quelle più dotate di regole comportamentali e quindi, potenzialmente, è fra le più intrusive nella vita quotidiana delle persone. Eppure, se vi sono comunità ortodosse che pretendono e praticano tale intrusione, sono per converso tanti gli ebrei che vivono la medesima religione con molta maggiore libertà interpretativa Ma tutti condividono, quando la frequentano, la stessa sinagoga e gli stessi riti. Che cos’altro se non la storia ci spiega questa diversità di atteggiamenti e ci aiuta a capire, insieme, che essa non rompe la comune identità ebraica, ma la connota con una sorta di ormai acquisito pluralismo interno?
C’è poi un altro aspetto del rapporto con le regole, su cui pesano, a mio avviso, le medesime matrici storiche. È il bilanciamento che in più momenti si è saputo fare fra il mantenimento delle proprie regole e l’acquisizione di statuti migliori dei precedenti nelle società di cui si era parte. La fine del ghetto a Mantova dopo l’arrivo delle truppe napoleoniche a fine Settecento portò all’ingresso entro le regole generali e, con esse, alla rinuncia a regole tutte esclusivamente ebraiche che nella separatezza del ghetto avevano avuto vigore. Più di recente – ed è una vicenda che Sacerdoti ed io abbiamo vissuto insieme – la stipula dell’intesa con lo Stato italiano comportava la rinuncia all’obbligatorietà del contributo finanziario, che le regole interne imponevano invece a tutti gli appartenenti alla comunità. E la rinuncia c’è stata.
Si afferma, con questa capacità di adattamento imparata nel corso della storia, una qualità nel rapporto con lo Stato che non saprei definire altrimenti che con la parola laicità; una qualità che altre religioni, con una storia diversa, hanno avuto ed hanno ben maggiori difficoltà ad accettare. Basti ricordare che vi sono ordinamenti nei quali ancora oggi la differenza fra regole religiose e regole pubbliche non è neppure tracciata. Con la conseguenza di rendere anche concettualmente inconcepibile che le regole pubbliche possano portare, in ragione della loro natura, alla rinuncia a talune di quelle attribuite alla religione. Qui la laicità non ha proprio neppure uno spazio.
Tutto ciò va a riflettersi sulla nozione stessa di libertà religiosa, alla quale Sacerdoti tante volte fa riferimento. Per chi ha alle spalle le persecuzioni che segnano la storia ebraica, la libertà religiosa ha un suo nucleo essenziale, che neppure ha bisogno di essere definito, tanto è netto e intangibile. Ma allo stesso tempo ha anche dei limiti, laicamente e realisticamente accettati, in nome delle ragioni e dei valori degli altri e non soltanto di quelli comuni all’intera società. C’è qui un profilo, non condiviso da tutti, che è proprio Sacerdoti a segnalarci: lo spazio da riconoscere agli altri va riconosciuto alle loro stesse diversità e quindi non attraverso schermi che le nascondono in nome di una neutralità statale astrattamente intesa. Insomma –dice Sacerdoti- l’ora di religione a scuola o si fa o non si fa. Se è ora di religione vengano il prete cattolico, il rabbino, l’imam e parlino ciascuno della sua religione. Non li nascondiamo dietro un astratto insegnamento di storia delle religioni, che finisce per non parlare di nessuno. Può non piacere, ma è sempre più vero in paesi nei quali il fenomeno religioso è un fenomeno sempre più pluralista.
Torno alla memoria, alla memoria delle leggi razziali e della Shoah, perché ne scaturisce un altro, non cancellabile capitolo del rapporto fra ebraismo e diritto. E’ un capitolo del quale con lo stesso Sacerdoti avevamo rievocato il ricordo tre anni fa, in occasione dell’ottantesimo anniversario di quelle leggi. Ed è non cancellabile perché non può esserlo la vergognosa pavidità con cui il ceto dei giuristi di allora, salvo rare eccezioni, le condivise o, quanto meno silenziosamente, le accettò. Si trattò di un autentico tradimento dei chierici, che tale fu dal punto di vista umano, dal punto di vista civile, dallo stesso punto di vista del dritto e dei suoi principi fondanti.
Lo fu dal punto di vista umano, perché a causa di quelle leggi colleghi con i quali si era lavorato per anni in condizioni di naturale eguaglianza, vennero espulsi senza trovare in chi restava alcuna difesa, alcuna attiva solidarietà; anzi, generando in più casi la vile soddisfazione di quelli che così poterono prenderne il posto. Lo fu dal punto di vista civile, perché si assistette a una tragedia individuale e collettiva che lacerava come mai era accaduto la nostra società, accettandone in silenzio le conseguenze, anzi teorizzandole e avallandone sul terreno del ridimensionamento “razziale” della stessa cittadinanza, senza vergognarsi di farle acquisire obbligatori connotati ariani. E qui viene il tradimento dello stesso diritto, giacché i nostri giuristi sapevano bene che quello che in inglese si chiamava rule of law e nelle lingue continentali Rechtsstaat o Stato di diritto è tale non quando si è governati da una qualunque legge, ma quando la legge, cioè il diritto, risponde ad alcuni ineludibili principi fondanti, a partire dall’eguaglianza. Sapevano perciò che quelle leggi consumavano una rottura insanabile con ciò che loro stessi avevano sempre letto nelle costituzioni del tempo ed anche nel nostro Statuto albertino, ben al di là delle lacerazioni già consumate dal regime fascista. “Questo è davvero troppo” era il minimo che tutti avrebbero dovuto dire. Ma lo dissero in pochi, i più tacquero, alcuni concorsero alla elaborazione e all’applicazione di quel troppo.
Poi vennero le deportazioni, le vite spezzate e i milioni di morti nei campi di concentramento nazisti.
Al sacrificio di tutti costoro, ai quali non cesseremo mai di essere grati, dobbiamo l’ingresso nelle Costituzioni del secondo dopoguerra della dignità, come tratto inviolabile della persona da riconoscere a ciascun essere umano; e quindi quella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, nella quale sta scritto che tutti siamo nati eguali in dignità e diritti. C’è questo nella rule of law, nello stato di diritto del nostro tempo. Ma stiamo attenti. Le società peggiorano, incattiviscono, dimenticano. Perché non si ritrovino giuristi (e non solo giuristi) come quelli di ottant’anni fa, ricordarli, e ricordare ciò che essi accettarono, è essenziale per non scivolare, ancora una volta, in un diritto che cancella il diritto.
C’è anche questo nelle pagine di Giorgio Sacerdoti. Ed anche e direi in primo luogo per questo gli siamo grati del volume che ci ha offerto.

Giuliano Amato

(Diritto ed ebraismo. Italia, Europa, Israele – Giorgio Sacerdoti, ed. Il Mulino)

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LE INIZIATIVE A ROMA PER IL 16 OTTOBRE E LA TESTIMONIANZA DI SAMI MODIANO

“I giovani non vedano quel che ho visto io”

“La ferita inferta al tessuto della città è stata profonda. È una data che non può essere dimenticata, se vogliamo pensare a un futuro comune a tutti i romani”.
È il messaggio con cui la Comunità di Sant’Egidio ha scelto di dare appuntamento alla tradizionale iniziativa in ricordo del 16 ottobre 1943 organizzata insieme alla Comunità ebraica di Roma nella piazza che di quella drammatica data porta il nome. L’iniziativa si terrà alle 19 di stasera. Ad intervenire saranno Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio; rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma; Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica; Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino; il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti.
Un altro appuntamento annuale è quello con la marcia silenziosa per le strade del quartiere ebraico, organizzata dalla Comunità e scandita dal ricordo di ogni singola vittima, nome dopo nome. Un atto affidato anche ai giovani, in un ideale passaggio di testimone. “I miei occhi – la commovente testimonianza di Sami Modiano – sono passati dall’inferno. Quando esci da quell’inferno, dalla fabbrica della morte, ti chiedi perché. A lungo mi sono portato dietro tanti punti interrogativi. La mia risposta la sto trovando dal 2005 in poi, da quando ho iniziato a raccontare. Il mio augurio ai giovani è che non vedano mai quel che ho visto io”.
 

(Nelle immagini: il palco della passata edizione dell’iniziativa congiunta di Comunità di Sant’Egidio e Comunità ebraica di Roma; la testimonianza di Sami Modiano durante la marcia silenziosa di stamane)

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LE ATTIVITÀ DEL MACCABI ROMA MOTOCLUB

Marche, itinerari ebraici su due ruote

“Siamo un gruppo di amici cui piace condividere del tempo insieme. La moto è il nostro comune interesse”. Si presenta così il Maccabi Roma Motoclub, realtà nata con l’obiettivo di favorire momenti di aggregazione attraverso le due ruote e con iniziative dedicate su tutto il territorio nazionale. L’ultima in ordine di tempo un tour alla scoperta delle Marche ebraiche.
Prima tappa ad Ancona dove, sotto la guida del Consigliere comunitario Marco Ascoli Marchetti, è stato possibile visitare le due sinagoghe: una di rito italiano, l’altra di rito levantino. Ci si è poi recati a Senigallia, base di tutti gli spostamenti. Lì, raccontano dal Motoclub, i centauri hanno partecipato “alla funzione nella locale sinagoga del 1634, officiata dal dottor Zuares alla presenza del sindaco Massimo Olivetti e dell’assessore comunale Cinzia Petetta che hanno dato il benvenuto agli ospiti”. Presente anche il vicepresidente della Comunità ebraica anconetana Remo Morpurgo.

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Conti con il passato
Come 78 anni, l'ultimo 16 ottobre è coinciso con la giornata di sabato (nel 1943/5704 quello shabbat era il terzo giorno di Sukkòt). Impossibile non pensarci.
Chi vuole fare i conti col proprio passato è bene che prima parli pubblicamente a sé di sé, poi, forse, può anche fare del turismo politico o organizzare pellegrinaggi di riflessione.
Niente tweet. Prima, prima, viene una pratica di resoconto e di bilancio di sé.
                                                                          David Bidussa
Il buco nero
Non si approssimano tempi neri ma, piuttosto, sopravviene l’età del grigiore, quella in cui non sapendo come posizionarsi rispetto a quelle stesse cose di cui si sa che sono comunque destinate a pesare sulla vita di ognuno di noi, si nutre un qualche senso di espropriazione, di emarginazione, in sostanza di personale irrilevanza. Non si prende parte non tanto quando non si abbiano idee ma soprattutto nel caso in cui si ritenga che esse, comunque, siano destinate a non contare. Nulla di peggio - per quanti vorrebbero invece ancora sentirsi protagonisti della propria esistenza - di una condizione segnata dalla conclamata marginalità.
                                                                          Claudio Vercelli
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