Il buco nero

Non si approssimano tempi neri ma, piuttosto, sopravviene l’età del grigiore, quella in cui non sapendo come posizionarsi rispetto a quelle stesse cose di cui si sa che sono comunque destinate a pesare sulla vita di ognuno di noi, si nutre un qualche senso di espropriazione, di emarginazione, in sostanza di personale irrilevanza. Non si prende parte non tanto quando non si abbiano idee ma soprattutto nel caso in cui si ritenga che esse, comunque, siano destinate a non contare. Nulla di peggio – per quanti vorrebbero invece ancora sentirsi protagonisti della propria esistenza – di una condizione segnata dalla conclamata marginalità. Si è marginali non solo quando non si può decidere riguardo a sé e agli altri, ma dal momento in cui ci si sente “decisi” da qualcosa, o qualcun altro. L’epoca che stiamo vivendo, priva di passioni e identificazioni collettive che non siano ispirate al solo principio dell’autodifesa dell’esistente (difendo il mio stile e la mia condizione di vita; difendo quello che ho raggiunto e che comunque sento messo a rischio, a prescindere; difendo il mio perimetro esistenziale: tre situazioni accomunate dal senso di una qualche minaccia incombente), rivelano che la vera angoscia che stiamo vivendo è quella del futuro, un tempo percepito come incomprensibile e, quindi, potenzialmente disastroso. Beninteso, nei fatti non sarà necessariamente così ma ciò che per davvero importa non è mai quel che potrà avvenire ma come ci si disponga rispetto al tempo futuro, concependo il proprio presente come attesa di liberazione o premessa di assoggettamento.
L’uomo che sta sulla difensiva è come un animale che attende da subito un’aggressione, disponendosi quindi nel senso della difesa ad oltranza del suo perimetro di sopravvivenza. È un essere senziente ma non di certo consapevole. Vive l’orizzonte a venire come un tempo non solo grigio ma potenzialmente cupo, se non fosco e quindi scuro. Un buco nero, quindi. Se l’animale libero ha una sua spontanea istintualità, l’uomo incatenato alla sue paure è invece un soggetto che viene retrocesso agli stimoli più elementari. La vera battaglia “politica”, oggi, è quella che impegna a liberare gli esseri umani dal bisogno di nutrire una qualche paura per sentirsi ancora parte del consesso collettivo. L’autentica linea di divisione, ovunque, tra umanità e disumanità corre su questo sottile linea di separazione, dove quel che conta non è tanto quello che per davvero si è ma quanto di intenda comprendere di ciò che sta intorno a noi, determinando quindi il nostro destino nel momento stesso in cui invece, del tutto illusoriamente, ci reputiamo signori assoluti. Al pari di quei naufraghi, solitariamente perduti su un’isola non segnata in alcuna cartina, che credono di avere avuto accesso all’Eden quando invece vivono il più totale isolamento. A rigore di metafora, nessun servo indigeno Venerdì verrà a salvarci, poiché il più grande impegno che ci è chiesto è di diventare capaci di salvare noi stessi.

Claudio Vercelli