Se non leggi correttamente questo messaggio, clicca qui   28 Novembre 2021 - 24 Kislev 5782
LOTTA AL COVID, IL PROVVEDIMENTO D'URGENZA

Variante Omicron, Israele chiude le porte

Misure drastiche, in Israele, per il contenimento della minaccia posta dalla variante Omicron appena scoperta. Il comitato per la lotta al Covid ha infatti disposto un blocco all’ingresso di cittadini stranieri per almeno due settimane. Isolamento obbligatorio di tre giorni per tutti gli israeliani che stanno rientrando dall’estero. Quarantena in strutture specifiche per chi sta facendo ritorno dai Paesi più a rischio (Sudafrica in testa), con il divieto di lasciarli fino alla negatività del proprio tampone. I nuovi provvedimenti entreranno in vigore questa sera. 
“Vogliamo mantenere l’enorme successo nel confronti dell’ondata della variante Delta: un Israele aperto e funzionante, con un’economia funzionante e un sistema educativo attivo con i bambini che vanno a scuola. Questa è la priorità assoluta”, ha detto ieri il Primo ministro Naftali Bennett. Una priorità che, ha aggiunto, passa necessariamente da “uno stretto controllo sulle frontiere”.
Il mondo torna a guardare con attenzione a Israele, spesso un modello anche per altri Paesi in questi due anni di impegno globale contro il virus. Per il coraggio delle scelte forti intraprese, ma anche per la capacità di mettere in campo le sue risorse migliori.
"Dobbiamo avere pazienza e non improvvisare. Questo virus è furbo, dobbiamo conviverci e usare tutte le armi a disposizione per fermarlo" ricordava qualche giorno fa, intervistato da Pagine Ebraiche in occasione di una sua visita in Italia, il responsabile della task force anti-Covid per la cassa mutua Maccabi Arnon Shahar. 

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30 NOVEMBRE, L'ESODO EBRAICO DIMENTICATO / 1 

"Ebrei di Libia, una storia di resilienza"

"Un evento che resterà nella storia. Un evento per i nostri nipoti”.
Gino Mantin è il presidente onorario dell’associazione Ebrei di Libia 1967. Oggi, intervenendo ai lavori del convegno internazionale “Storie di rinascita: gli ebrei di Libia” in svolgimento a Roma, si è commosso. L’ha fatto al pensiero dell’importanza che riveste, nell’ebraismo, il passaggio di testimone. Il condividere, in un filo ininterrotto che si dipana da secoli, i propri vissuti, ma anche i propri valori e le proprie emozioni. Quelle degli ebrei di Libia sono state purtroppo anche drammaticamente violente, tra pogrom e persecuzioni che hanno posto fine a una bimillenaria presenza sul territorio non molto più di mezzo secolo fa. Ma sono anche le emozioni di chi ha saputo rimettersi in gioco e ripartire da zero, spesso ancorandosi un orizzonte saldo di consapevolezza, identità e Tradizione.
Mantin stesso, oggi quasi 90enne, ne è un emblema. Fu proprio lui, insieme alla moglie Giuliana, a salvare da distruzione certa una quantità significativa di rotoli della Torah che poterono poi approdare altrove, lontano dall’inferno scatenatosi in Libia, venendo accolti in luoghi vivi di identità ebraica. Un impegno per assolvere il quale, senza pensarci troppo, di vita mise più volte a rischio la sua.
Sua una delle numerose testimonianze che stanno animando la conferenza organizzata dallo psicanalista David Gerbi in concomitanza con il Giorno nazionale dei rifugiati ebrei dai paesi arabi e dall’Iran istituito nel 2014 dalla Knesset. Protagonisti dell’iniziativa i diretti testimoni dell’esodo forzato, ma anche giovani e studenti della scuola ebraica cui è dedicato la giornata conclusiva del 5 dicembre. Una scelta indicativa della centralità che riveste quel confronto intergenerazionale auspicato, oltre che da Mantin, dallo stesso Gerbi.

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30 NOVEMBRE, L'ESODO EBRAICO DIMENTICATO / 2

"Ebrei d'Egitto, tradizioni da salvare"

Fino a pochi decenni fa ad Alessandria d’Egitto esisteva una comunità ebraica fiorente, composta da circa 30mila individui molto attivi a ogni livello della società egiziana. Presenti nelle istituzioni, ma anche al vertice del commercio e della cultura. Oggi a quel computo dobbiamo togliere tre zeri, per un totale di circa trenta persone che orbitano attorno alla grande sinagoga da poco riaperta al pubblico.
Dal 1948 ad oggi, passando per varie guerre, ma arrivando infine a un trattato di pace, i rapporti tra i due Paesi sono senz’altro migliorati. La dimostrazione è sotto gli occhi di tutti: oggi un cittadino israeliano può recarsi con relativa sicurezza in Egitto, visitarne le città e meraviglie. E recarsi anche nelle numerose sinagoghe rimasti in piedi. Spazi affascinanti, ma purtroppo sempre più spesso vuoti.
È un mondo piccolo ma tenace di cui poco si sa in Italia. Chi ben conosce questa storia è rav Avraham Dayan, rabbino capo di Livorno, che dal 1998 al 2004 è stato rabbino capo proprio di Alessandria. “Sono arrivato lì – racconta – che ero poco più di un ragazzo, avevo all’incirca vent’anni. Ero in Egitto per visitare il Paese da cui la mia famiglia proveniva e che aveva lasciato di propria volontà nel 1951, prima quindi dell’avvento di Nasser. Tutto è nato un po’ per caso: un ebreo di Alessandria volle chiedermi un aiuto per fare minian. Fu l’inizio di una collaborazione significativa, fino ad un incarico più ufficiale”.

Un'esperienza entusiasmante, afferma rav Dayan. “Parliamo all’epoca di un centinaio di persone, in gran parte donne. Malgrado i numeri ridotti si celebrava ogni festività e solennità. Ci si ritrovava in sinagoga anche in assenza di minian. Era tutto molto intenso”.
Per rav Dayan anche l’occasione per riscoprire alcune tradizioni di famiglia: “Gli ebrei egiziani – sottolinea – festeggiano un loro Purim che cade il 28 di Adar in ricordo di un mancato sterminio che sarebbe dovuto avvenire cinquecento anni fa, ai tempi dell’Impero ottomano. Fino agli Anni Sessanta era uso leggere anche una specifica Meghillah dedicata a questi fatti: così avevano voluto i rabbini dell’epoca”.


(Nelle immagini: rav Avraham Dayan insieme a rav Yosef Neffusi: suo padre fu rabbino capo di Alessandria; un’immagine del 1930 in cui si riconoscono l’allora rabbino capo del Cairo rav Chaim Nachum Effandi e quello di Alessandria rav David Prato)

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OTTO GIORNI, OTTO LUMI / 1

Chanukkah e la luce dell'Eterno

“Nel trattato talmudico di Shabbat (22b) si trova un detto di Rava: “Chi afferra una chanukkyà accesa e rimane fermo in piedi non ha fatto nulla”. La discussione che segue questo detto si conclude con il principio che si adempie al precetto dell’accensione quando ciò avviene nel posto dove il candelabro è posto. Lo Sfat Emet (Yehudah Aryeh Leib Alter 1845-1907) vede in questo l’allusione al fatto che se un individuo rimane “fermo” e non “cammina”, se afferra solamente una mitzwà e non si eleva per mezzo della stessa è come se non avesse fatto nulla. Questo concetto si collega anche alla mitzwà dei lumi di Chanukkà, grazie al versetto del profeta Isaia (2:5): “Casa di Giacobbe, venite, e camminiamo nella luce dell’Eterno”. E la luce dell’Eterno si manifesta attraverso quella dei lumi di Chanukkà.

Rav Adolfo Locci, rabbino capo di Padova

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LA PRESENTAZIONE DEL LIBRO DI FIAMMA NIRENSTEIN

"Contro Israele l'antisemitismo più estremo"

“Nella cultura occidentale odierna l’antisemitismo più estremo, ovvero il desiderio di veder sparire gli ebrei dal mondo, trova le sue ragioni in un castello di menzogne costruite intorno alla figura dell’ebreo come oppressore. È il modo postmoderno di giustificare l’odio più antico. È la nuova versione dell’antisemitismo”. Così Fiamma Nirenstein nel suo nuovo libro, Jewish Lives Matter (ed. Giuntina). Una deriva ma anche un sintomo, sottolinea la giornalista ed ex parlamentare che vive oggi tra Roma e Gerusalemme, “di una malattia cognitiva che rovescia il concetto di responsabilità e di colpa fino a definire razzista anche chi è dichiaratamente e politicamente antirazzista solo perché è bianco o, nel caso degli ebrei, israeliano”.

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Paura della libertà
“L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura, perché lo obbliga a prendere delle decisioni”. Così Erich Fromm in Fuga dalla libertà. È il 1941. Fromm è dall’altra parte dell’Atlantico e guarda il suo ex continente come un mondo alla deriva.
Più o meno negli stessi mesi altri uomini si trovano a riflettere da questa parte dell’Atlantico e hanno la stessa immagine. Tra questi Carlo Levi. Paura della libertà è il libro che dialoga a distanza con Fuga dalla libertà. Sarebbe un libro da avere in mano in questi giorni.
 
                                                                          David Bidussa
Diverso e diseguale
Come non esiste nessuna par condicio nella distribuzione del male (“un pezzo a te, uno a me e, in fondo, tutti incolpevoli poiché nello stesso modo responsabili di qualcosa per cui fingere una qualche fittizia resipiscenza”), del pari non si danno società, gruppi, comunità che siano esenti a priori da un qualche pregiudizio. Anche tra quanti ne hanno invece subito, nel passato più o meno recente, gli effetti devastanti, pagandone quindi uno scotto del tutto ingiusto in quanto immotivato. Non ci si immunizza per sempre dalle false credenze quand’anche se ne siano sopportati i disastrosi contraccolpi su se stessi. 
                                                                          Claudio Vercelli
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